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(17 Ottobre 2011) Enzo Apicella

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Sulla giornata del 15 ottobre a Roma.

(24 Ottobre 2011)

I comunicati e le prese di posizione degli organi governativi, di forze politiche di maggioranza e di opposizione, di destra, di centro e di sinistra fanno a chi più si scandalizza per i disordini e l’uso della violenza di una parte dei partecipanti alla manifestazione contro il banditismo delle banche e dei banchieri, espressione di un Sistema del Capitale in crisi. Addirittura c’è chi invoca nostalgicamente la riedizione della Legge Reale, come l’ex questurino Totonno Di Pietro. Sarebbe violenza inaudita e barbara quella di alcune centinaia di giovani manifestanti per alcune auto, qualche cassonetto e un blindato dei carabinieri dati alle fiamme o dei sampietrini lanciati contro la polizia? Vien da dire: da che pulpito?!? Una grottesca retorica senza confini perché si è schierati dalla parte di un sistema barbaro e crudele asservito al dio denaro, al profitto, al mercato, alla concorrenza, all’accaparramento del plusvalore, all’accumulazione, allo sfruttamento, alla ricchezza. Certo, i manifestanti che si sono scontrati con la polizia erano una minoranza rispetto al resto dei partecipanti, ma una semplice legge fisica dice che un corpo estraneo all’organismo viene ad essere espulso o imprigionato in un bozzolo perché non nuoccia. L’esempio più plastico è rappresentato dall’ostrica che lo imprigiona con il muco che secerne e lo avvolge, producendo così la perla. Se tutto questo non è avvenuto nella manifestazione del 15, vuol dire che tutto al più la stragrande maggioranza dei partecipanti non si identificava con quella stessa volontà politica, o quanto meno non lo ha ritenuto ad esso contrapposto. Il corteo si è continuamente ricomposto, anzi ha espulso durante il suo percorso quella figura squallida di Marco Pannella. Per di più una parte di giovani ha aderito spontaneamente a rafforzare la radicalità della protesta.
La riflessione da fare non è dunque sulla violenza in sé - quella la lasciamo ai beati del quiete vivere - quanto piuttosto di una lettura oggettiva del contesto determinato, per capire se siamo in presenza di un ritorno al passato oppure se i fatti del 15 possano in qualche modo rappresentare la punta dell’iceberg, il segnale cioè, di una fase molto diversa che del passato. Leggere i fatti di oggi come la cacciata di Lama dall’università di oltre 30 anni fa non ci aiuta. Ancora meno di ipotizzare le famose due società, come le definiva Asor Rosa, tra una parte di integrati – il proletariato industriale – organizzato sul piano sindacale e politico e quelli non integrabili, cioè fasce di emarginati. Molta acqua è passata sotto i ponti, troppi guasti ha prodotto il Sistema del Capitale fino a imboccare una crisi generale dalla quale non si intravedono vie d’uscita ….capitalistiche. Pertanto lo spartiacque non è quello che propongono alcuni compagni o gruppi politici, ovvero mobilitazioni pacifiche e democratiche, contro manifestazioni violente, e se ci sono …messe al bando e in condizione di non nuocere.
Quando recentemente sono venuti a manifestare a Roma, settori di operai metalmeccanici o di altre categorie, hanno dovuto subire o le cariche della polizia o l’umiliazione di non poter arrivare intorno al parlamento, perché il rapporto di forza non consentiva loro di sfidare il divieto scontrandosi con le forze dell’ordine. Non si è trattato di lotta democratica, ma di arretramento per mancanza di forza. Oggi il proletariato delle metropoli imperialiste è totalmente avviato alla precarizzazione, perché è precaria l’accumulazione del Capitale a nord come a sud, a est come a ovest del pianeta. Certe manifestazioni violente esprimono l’esasperazione di questa precarizzazione, la punta estrema di un malessere, si presenta scomposta e disordinata, ed in quanto punta estrema, non avendo la forza di affrontare a viso aperto il nemico, cioè lo stato, le forze di polizia, per arrivare sotto i palazzi del potere politico e bancario, si fa scudo delle mobilitazioni che esprimono lo stesso malessere ma senza la determinazione a infrangere i divieti governativi e statuali. Questo è il punto, attraverso questa strettoia bisogna passare: hic Rhodus, hic salta.
L’obiezione secondo cui solo a Roma, in Italia, sono successi incidenti, mentre in tutti gli altri paesi le manifestazioni sono state pacifiche e colorite, non regge al quesito di fondo, perché la risposta sta proprio nella partecipazione straordinaria di Roma. Se si fosse trattato soltanto di poche migliaia – come in altre parti – non si avrebbero avuti gli stessi risultati. Proprio la straordinaria partecipazione dimostra che l’esasperazione può arrivare a esprimere tensioni “esasperate” . Roma 15 ottobre, è successiva a Genova 2001 e Roma 2003, non è a sé stante. La lotta delle classi – va detto nei confronti dei cantori dell’empiriocriticismo – non prosegue per accumulo di forze, ma per ondate. Ovvero avanza la crisi, in Occidente, avanza la precarizzazione e con essa l’esasperazione che può anche raggiungere livelli non messi in conto fino ad alcuni anni fa. Poi rifluirà anch’essa. La linea di tendenza da scorgere è se il futuro ci riserva la possibilità dell’azione democratica e pacifica, espressione di una condizione di vita ancora sopportabile delle classi proletarie, o se invece aumenta la povertà fino al punto che queste prendono ad agire contro i palazzi del potere senza la necessità di mascherarsi, perché la quantità maturerà a sua volta in qualità, cioè la necessità di forzare i divieti. Con questo dobbiamo fare i conti. Il futuro è la Grecia di questi giorni, piuttosto che i sabati romani degli ultimi anni. Andrebbe letto con questo spirito l’editoriale di Valentino Parlato di domenica 16 ottobre, che ha meravigliato o scandalizzato tanti compagni, ovvero meno male che siano successi gli incidenti, almeno questi si danno una mossa, in modo particolare i partiti di sinistra. Che si tratti di una illusione, è un altro tipo di ragionamento, investe l’analisi della fase di crisi del Sistema del Capitale, l’analisi dei partiti della sinistra politica e partitica in generale che sono espressione di un ciclo che abbiamo oramai definitivamente alle nostre spalle e che i nuovi movimenti saranno essi a ricomporsi e darsi in programmi e in partiti e cosi via. Quello che toglie il sonno a lor signori, è che la povertà possa esasperare gli animi ben oltre le centinaia di volenterosi votati allo scontro del 15 a Roma. Allora i problemi si pongono in ben altro modo.
Ciò detto in premessa, passiamo ad esaminarci in camera caritatis, ovvero a guardarci dentro, fra militanti e compagni che stanno dal di qua, che hanno stabilito uno spartiacque tra il Sistema e l’Antisistema del Capitale, comunque esso si esprima.
Per il passato, mi riferisco al 1977 in Italia, agli anni dell’Autonomia Operaia, lo stato “per prosciugare l’acqua” intervenne in maniera materialista facendo una legge – la famosa 285 – con la quale furono assunti nella pubblica amministrazione oltre mezzo milione di giovani, moltissimi dei quali erano ritenuti “terreno di cultura” (come si diceva allora) dell’area dell’Autonomia. Questa la carota, e una dura repressione, fu il bastone. Non è da escludere che in alcuni ambienti politici che a quell’esperienza si richiamano, si coltivi l’illusione di arrivare - forzando le forme della protesta - ad uno stesso risultato, ritagliarsi cioè un proprio spazio contrattuale in questa crisi. Si tratterebbe di pura miopia politica, ovvero si scambierebbe l’attuale fase di crisi dell’accumulazione con la coda di una fase di sviluppo dell’accumulazione come furono quelli sul finire degli anni 70. Una sorta di opportunismo di sinistra.
L’altra faccia della stessa medaglia, è rappresentata da chi spera di utilizzare - in Italia e non solo - il nascente nuovo movimento di opposizione internazionale per scalzare la destra dal governo e gestire in maniera più “democratica” la politica di lacrime e sangue che il Sistema del Capitale attraverso i suoi apparati statuali e finanziari, vuole imporre alle classi proletarie, magari criminalizzando gli aspetti della radicalità della lotta.
Tanto gli uni quanto gli altri, sono da ritenersi autoreferenziali, perché ritengono che il Nuovo Movimento di Opposizione debba fare ad essi riferimento, quando invece è esattamente vero il contrario, cioè è il nuovo che pone le condizioni, e se non lo fa da subito, è perché è agli albori, è fragile, è debole, siamo a circa lo 0,1% di quei milioni di proletari colpiti da questa crisi, sia contro le misure governative che contro gli inviti ad accodarsi alle organizzazioni e teorie politiche del precedente ciclo. Quando dico ciclo, intendo un corso storico che comprende tutta la fase ascendente dell’accumulazione capitalistica. Le manifestazioni del 15 ottobre a Roma e in tutto l’occidente, ha espresso esattamente questo quadro.
C’è poi chi si danna l’anima per l’assenza del partito rivoluzionario, la quale assenza sarebbe garanzia di sicuro riflusso e scompaginamento dell’iniziativa delle masse. A questi gruppi di militanti va fatto rilevare semplicemente che il partito sono le masse in azione, solo il loro surriscaldarsi determina organizzazione e programma. Scoraggiarsi perché manca oggi una direzione capace di dirigerne il percorso nella giusta direzione, equivale a ritenere il Sistema del Capitale in questa crisi capace di uscirne senza aggravarne oltremodo le condizioni di vita e di esistenza delle masse proletarie stesse e spingerle verso una maggiore radicalità del conflitto. Per cui non esistono “nostre” prospettive, cioè di gruppi o organizzazioni preesistenti alle ondate di lotta che possiamo magari separare e imporre alle masse con programmi e obiettivi costituenti un’altra prospettiva. Per essere ancora più chiaro, se si scrive <<….Ci riferiamo all’azione politica, certo non da inventare all’istante, volta a connotare efficacemente il corteo come azione di piazza e di massa con contenuti e prospettiva classisti. Sicché il vuoto di politica nostra si è sommato alla generale confusione di lingue, dove ciascuno ha giocato le proprie carte spaiate …..>> ci si rapporta in maniera non materialista alla questione. Meglio mi spiego.
Diamo per scontato che un pugno di avanguardie teoriche, dunque ideali, debbano preparare al meglio, volta per volta, il loro intervento nei movimenti di massa che si approssimano, è presuntuoso e dunque soggettivista pensare di orientare in un senso piuttosto che in un altro l’azione delle masse che muovono da fattori materiali piuttosto che da fattori ideali. E’ questa la vera strettoia attraverso la quale quelli che si richiamano al marxismo devono imparare a passare. Ed allora per stare al concreto, va detto che il movimento del 15 ottobre, a meno di non volerlo analizzare con uno spirito empiriocriticista, è ben più in avanti sia del movimento di Seattle, che di quello del 2003 in quanto a fattori oggettivi ed a determinate storiche. Quello di Seattle si caratterizzava come movimento per ‘Un altro Mondo è possibile’, con la coda a Genova; quello del 2003 si caratterizzava per una preoccupazione ad un possibile coinvolgimento in uno scontro di civiltà, contro cioè l’ipotesi di una reazione dei paesi islamici all’aggressione occidentale all’Afghanistan prima ed all’Iraq poi. Nel primo caso abbiamo una reazione di tipo ideologica al liberismo capitalistico priva di addentellati strutturali. Nel secondo caso abbiamo la vittoria del pacifismo occidentale che vede circoscritta l’aggressione all’Iraq senza il coinvolgimento delle proprie coltri.
Nelle mobilitazioni come quella del 15 di ottobre vanno scorti i motivi ben più strutturali di una crisi generale di tutto il Sistema del Capitale e che arriva in superficie con qualche grado appena della scala Mercalli, percepibile a livelli maggiori di scala solo in qualche anello più debole, come la Grecia. In Occidente, in tutto l’Occidente, il solo fatto che in contemporanea si manifesti contro le banche ed i banchieri con la parola d’ordine ‘Non vogliamo pagare il debito’ e si arrivi a mettere le “mani” della critica su Wall Street, vuol dire che stanno maturando nel profondo della società i presupposti per un indebolimento vero, cioè strutturale del Sistema del Capitale, e che i marxisti dovrebbero ben saper guardare e analizzare. Ed invece succede che andiamo a svilire quel che timidamente si muove - come nel caso dei compagni dei Nuclei - rapportando le necessità di risposta alla crisi del Capitale le nostre risposte piuttosto che capire il percorso obbligato delle masse e saperci in esse stare.
Un <> non si sviluppa perché suggerito da un gruppo rivoluzionario o da una mente di un grande rivoluzionario come ad esempio Lenin, ma perché maturano quelle condizioni oggettive determinate che fanno muovere milioni di uomini in un senso piuttosto che in un altro. Questo è il materialismo.
Dunque << …noi diciamo che le svariate decine di migliaia di giovani e anche di lavoratori presenti nella piazza del 15, per una giornata che tutti comunque sapevano non essere facile, è un incoraggiante dato di inizio …>>. Ecco un modo leninista di rapportarsi ai movimenti di massa ed alle masse, non in movimento; ovvero quel che di positivo emerge e quel che di positivo ancora non emerge e che è destinato ad emergere per fattori oggettivi determinati, piuttosto che andare alla ricerca del reo riformista che annacquerebbe o placherebbe, e dunque non farebbe emergere o devierebbe.
Caliamoci ancora in profondità della critica ad una visione soggettivista che i compagni dei Nuclei esprimono. Se si scrive << Quand’anche le ragioni oggettive di una mobilitazione internazionale delle classi sfruttate del mondo intero siano oggi ancora forti, noi vediamo che, di fronte alla conclamata crisi del capitalismo, difetta finanche l’idea (figuriamoci l’istanza) di un’alternativa al sistema dato, idea che invece nel cosiddetto movimento di Seattle era, sia pur confusamente, evocata …>> vuol dire che si presuppone un movimento che salti da uno stadio ad un altro fino all’ultimo ostacolo e lo abbatte. Non è cosi che procede la lotta delle classi. Essa procede per ondate che fluiscono per poi rifluire. L’ondata successiva non parte dal punto dove era rifluita quella precedente, ma da più lontano e più in profondità, Bordiga parlava di processo a cuspidi, dunque negava sia la linearità, che i salti, come presuppongono i compagni dei Nuclei.
Di fronte all’avanzare del liberismo, un movimento internazionale - indicativo erano alcuni gruppi di contadini presenti in esso – avvertiva che sarebbe stato sgretolato il precedente equilibro ed oppose al liberismo ‘Un altro mondo è possibile’, ma non specificato. I comunisti potevano idealmente pensare ma …‘senza il capitalismo’. Ma il movimento in quel ‘Un altro mondo è possibile’, potevano intendere tutto, tranne che….senza il capitalismo. Nel movimento che è sfociato momentaneamente nel 15 ottobre, si affronta un’altro degli aspetti fondamentali del modo di funzionare del Sistema del Capitale non molto presente a Seattle, ovvero il debito quale fattore di classe all’interno degli stati e si indica le responsabilità in un soggetto preciso, Wall Street e il complesso del sistema bancario. Tutto questo era scontato già prima per molti compagni, fin dal Capitale di Marx, ma è oggi che comincia ad avere gambe per camminare, solo oggi perché solo oggi il Sistema del Capitale nel suo complesso si avvia verso l’inesorabile crollo. Ora, che il Movimento sia più in avanti delle formazioni politiche preesistenti ad esso, sembra un paradosso; ma si possono meravigliare di ciò solo i non materialisti e inveire contro <> perché non si vuole in alcun modo capire che le espressioni politiche e/o partitiche di un precedente ciclo non possono in alcun modo rappresentare le istanze del ciclo successivo; Rifondazione, Sel, Pd in Italia, Ps in Francia o i Democratici negli Usa ecc. altro non sono che frammenti o espressione del vecchio ciclo attaccate come le patelle alla roccia e saranno scalzate solo con il maturare dei fattori oggettivi determinati che imporranno alle masse la necessità dell’azione, da questa nuovi programmi e nuove organizzazioni all’interno delle quali riciclare magari anche una parte del personale politico del precedente ciclo.
Un discorso a parte meriterebbe il rapporto tra i nuovi movimenti ed i “vecchi” simboli del movimento operaio, ovvero la falce ed il martello. In Occidente questo meraviglioso simbolo è stato buttato nel fango non dal riformismo – che ne rappresenta l’effetto - come sostengono moltissime organizzazioni della sinistra comunista, ma dal Capitale che ha comprato settori ampi di proletariato, le rappresentanze dei quali, sono e appaiono agli occhi delle giovani generazioni come impotenti quando non traditori e venduti. E’ del tutto naturale che ciò accada. Un materialista dovrebbe sempre capire e saper spiegare che esiste il corruttore che corrompe, rende impotenti e reprime, cioè il Sistema del Capitale, prim’ancora del corrotto. Dunque se ci si indigna perché <> o per << l’improvviso voltafaccia di Landini/Rinaldini o per <> vuol dire dare una lettura non materialista dei fatti, ma guardarli e esaminarli con i propri desideri. Giusto per stare in tema, alla manifestazione della Fiom in piazza del popolo di venerdì 21 ottobre, c’erano poco più di 3/4.000 persone, per lo più di apparati più ristrette rappresentanze di stabilimenti in crisi come la Fincantieri e la Fiat. A cosa serve - è la domanda - scomporsi se la debolezza dei lavoratori viene ad essere riflessa nelle attuali strutture sindacali e politiche “più estreme”. D’altra parte è Engels ad esprimersi in maniera chiara, senza nessuna possibilità di essere frainteso: << Compiere quest’azione di liberazione universale è il compito storico del proletariato moderno: Studiarne a fondo le condizioni storiche e conseguentemente la natura stessa e dare così alla classe, oggi oppressa e chiamata all’azione, la coscienza delle condizioni e della natura della sua propria azione è il compito del socialismo scientifico, espressione teorica del movimento proletario.>>.
C’è l’azione del proletariato, alla quale si richiama il socialismo scientifico, cioè sua espressione. Se critichiamo sempre l’azione sol perché non rispecchia i nostri canoni d’azione, siamo poco materialisti, perché l’azione è il riflesso agente commisurata ai rapporti di forza, ai torti, alle umiliazioni, ai ricatti, alle oppressioni che si subiscono.
Ora, a quanti si richiamano alla necessità di programmi dell’azione politica, va detto in maniera esplicita che è l’azione e non il programma che può infrangere i rapporti di forza del contesto determinato, perché storicamente si possono anche sostenere idealmente degli obiettivi, perché oggettivamente necessitati. Quello che determina il passaggio dalla fase delle necessità oggettive al soddisfacimento di esse, è l’azione e questa prescinde dalla volontà degli uomini. Con un esempio chiaro, mi rifaccio a quanto accaduto in Russia tra il marzo 1917 e l’insurrezione di ottobre dello stesso anno. I contadini erano organizzati nel Partito dei Socialisti Rivoluzionari e questi ponevano l’obiettivo della confisca delle terre e la loro assegnazione. Dunque necessità oggettive dei contadini organizzate in partito. Quando però ad un certo punto i contadini si convincono che per ottenere le terre devono occuparle, si scontrano con il governo Kerensky ed i loro stessi dirigenti che lo sostenevano. A quel punto Lenin ed i bolscevichi appoggiano non l’obiettivo, ma l’azione per raggiungere l’obiettivo della confisca e la distribuzione delle terre. E sarà la prima misura ad essere presa dal Consiglio Generale dei Soviet nella notte stessa dell’insurrezione vittoriosa.
Non si tratta evidentemente di tracciare un parallelo tra il 1917 e l’azione di alcune centinaia di giovani alla manifestazione del 15 ottobre a Roma, perché a differenza che in Russia, qui si trattava di una infima minoranza, là della stragrande maggioranza in azione. Ma resta valido il criterio, cioè che è l’azione che dà corpo all’obiettivo. A differenza di tante organizzazioni che si richiamano al marxismo che antepongono i programmi all’azione. Ora, che le banche vadano incendiate e distrutte, è semplicemente un dato acquisito. Che siano in grado di farlo poche centinaia di giovani, non lo pensa nessuno; che si avventurino in azioni nella giusta direzione è del tutto naturale. Che si tratti di un’avventura, lo capiscono loro stessi che sentendosi non fortissimi, cercano di mascherarsi e confondersi nella massa per non essere colpiti dalla repressione. Si tratta perciò di un’anticipazione di processi sociali destinati a ripetersi per estensione e profondità. L’errore politico in cui incorre una certa impostazione alla quale sembrano aderire la gran parte dei volenterosi - che a ragion veduta possiamo definire anarchica – è di non tener conto dei reali rapporti di forza per un verso, cioè dell’umore generale della massa che realmente si muove, e di prediligere l’azione più radicale fine a sé stessa, finendo così col far prevalere comunque e sempre l’espressione della radicalità all’espressione politica dell’estensione dell’azione. Altrimenti detto, bruciare per bruciare, scontrarsi per scontrarsi, ovvero identificando il fine ed il mezzo in un tutt’uno.
Va detto che questa posizione potrà essere superata o da destra, con una ripresa generale dell’accumulazione capitalistica che indirizzi il proletariato verso lidi democratici, oppure da sinistra, ovvero con un inasprirsi della crisi e la presa in carico del conflitto da parte di ampi settori del proletariato per uno scontro di portata storica. Non sarà la “discussione” a far maturare una posizione diversa. Per dirla fuori dai denti e senza fraintendimenti, bastava incendiare – ma per davvero - solo qualche banca e ricevere l’appoggio di una parte cospicua dei manifestanti. Finalizzare cioè l’obiettivo al fine. Questo sarebbe stato un atto politico in cui chi si sente un’avanguardia sa stare un poco più in avanti della massa ed esprimere una volontà comune concentrata in un gesto, in un’azione condivisa. Massimo risultato, minimo sforzo, zero rischi: un gesto di un gruppo, espressione di una volontà comune, condivisa e sentita da una parte della massa. Il messaggio che doveva passare era il seguente: oggi possiamo bruciare solo qualche banca e lo facciamo a scopo dimostrativo, volendo indicare in questo modo il percorso obbligato al quale siamo chiamati a fare. Esse, le banche, sono strumento di strangolamento delle classi proletarie, non chiudono, dunque vanno bruciate. Questo era il livello possibile.
Per concludere.
La differenza che passa tra chi si definisce avanguardia di classe, o comunista/i ed i movimenti di massa, sta nel fatto che i primi partono da idee, i secondi dalle loro necessità materiali oggettive. Ora, che settori di massa giovanili che approssimano alla lotta per l’incedere della crisi senza una visione ampia dello scontro di classe, è del tutto naturale. Lo è un po’ meno che gruppi e formazioni politiche del vecchio ciclo si comportino da pesce in barile scindendo completamente l’azione in patria dal come la patria si comporta fuori dai propri confini, Libia in primis, Afghanistan, e cosi via.
Sbaglieremmo però, saremmo cioè poco dialettici, se dovessimo scambiare il dato odierno del ‘vuoto politico’ del movimento di massa per come si è espresso il 15 di ottobre come dato definitivo. Così come non esiste il vuoto d’aria, non esiste il vuoto in politica. Si tratta di uno stadio ancora troppo evanescente dei contenuti di classe, troppo molecolare, poco condensato, sa più di vento di scirocco estivo che di una fredda tramontana invernale, ma esso è destinato a modificarsi coll’aggravarsi della crisi e proprio la scesa in campo d’oggi sta a dimostrare che non è possibile un ricompattamento di un fronte occidentale interclassista contro i paesi ex coloniali. Questa è la vera questione da porre e saper porre, altro che lacrimare per <>, come se questa fosse riposta in un ripostiglio da dove la si potrebbe prendere e farne uso in qualsiasi momento. Essa, una politica di classe, è frutto dell’aggravarsi della crisi, questo è il modo materialista di porre la questione. Guardare all’oggi con le lenti del passato, vuol dire non capire che il modo di produzione capitalistico è divenuto Sistema del Capitale, che come tale non può permettersi oggi quello che si è potuto permettere per il passato, vuol dire che non può ripetersi allo stesso modo di come si espresse nei due conflitti mondiali. Non incanta più nessuno il paternalismo di Draghi e soci nei confronti dei manifestanti pacifici. Pagnotte ci vogliono!!, non pacche sulle spalle.
Non sarebbe male se piuttosto che sperticarci in inutili discussioni su chi più è fallace dei raggruppamenti di sinistra, ci dedicassimo a fare il punto sullo stato di salute dell’accumulazione. Sarebbe molto, ma molto più proficuo e potremmo attrezzarci meglio, ed essere più preparati, ai compiti che in un modo o in un altro ci attendono. Questo per un verso. Per l’altro verso, incominciare a coordinarsi perlomeno fra quei compagni e gruppi che stanno grossomodo sullo stesso terreno politico. Visto che invitiamo i lavoratori a farlo – cosi come scrivono i compagni del ‘che fare’ – non si capisce perché non lo debbano incominciare a fare quelli che esortano gli altri a farlo.
Un convegno sulla crisi, un coordinamento stabile, vero, su di una piattaforma i cui contenuti sono emersi in questi giorni in tutta evidenza.

ottobre 2011

Michele Castaldo

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