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Libertà di licenziamento e vendita del paese. Ecco il loro «sviluppo»

(27 Ottobre 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.radiocittaperta.it

Libertà di licenziamento e vendita del paese. Ecco il loro «sviluppo»

foto: www.radiocittaperta.it

Resa nota la lettera consehnata da Berlusconi al Consiglio d'Europa. tante chiacchiere, pochi numero, un solo nemico: il lavoratore, stabile o precario, giovane o anziano, uomo o donna.
Si introduce per la prima volta il principio di alzare a 67 anni l'età pensionabile dal 2026. Modifiche allo Statuto dei lavoratori per rendere più facili i licenziamenti per le aziende, previsione per 5 miliardi di euro dalle dismissioni del patrimonio pubblico. La discussione si prevede lunga e non è escluso che le proposte italiane non vengano ritenute "sufficienti" dall'Unione Europea

Il testo della lettera è stata rivisto e limato fino all'ultimo. L'ammissione era venuta stamattina dal sottosegretario Gianni Letta incrociando i cronisti a Palazzo Chigi. A solo un'ora dal vertice dei capi di Stato e di Governo, la lettera contenente gli impegni del Governo italiano, è giunta a Bruxelles. Lo stesso Berlusconi è arrivato a Bruxelles alle 18.00 preceduto di pochi minuti dall'arrivo del documento che sostanzialmente mette l'Italia in vendita.

Le prime reazioni.

«Dai primi annunci la lettera di Berlusconi annuncia leggi speciali contro il lavoro pari a quelle del fascismo. Bisogna rovesciare il governo, questa lettera, gli intenti che la promuovono e respingere l'ultimatum europeo: ci trattano come la Grecia, faremo come in Grecia». È quanto afferma Giorgio Cremaschi, della Fiom.

«La scelta del governo di favorire i licenziamenti significa semplicemente l'uso della crisi per dare mano libera ai padroni. Riteniamo necessario arrivare subito alla proclamazione dello sciopero generale da parte delle organizzazioni sindacali». Paolo Ferrero,segretario nazionale del Prc commenta così la lettera alla Ue sulla crisi e gli interventi previsti dal governo. «È infatti del tutto evidente che dare mano libera ai licenziamenti non ha nulla a che vedere con la lotta alla speculazione finanziaria e nemmeno con la riduzione del debito pubblico».

«Le notizie che rimbalzano da Bruxelles sono allucinanti. Per affrontare un momento difficile dei conti pubblici e di credibilità internazionale, il Governo consegna un pacchetto con scelte folli, ideologiche, per nulla utili alla crescita e al recupero di fiducia». Così il segretario della Fnsi Franco Siddi commenta il contenuto della lettera del governo all'Ue. «Folle - prosegue Siddi - è un pacchetto che fa cassa sul risparmio previdenziale senza curarsi dell'equilibrio e della coesione sociale, peggio, assurdo il proposito di aprire le maglie ai licenziamenti minando le già precarie sicurezze dei posti di lavoro. È un problema grave per tutti coloro che vivono di solo lavoro».

Chi proprio non sembra averci capito un tubo è il leader, diciamo così, del Pd. Oppure (più probabile) è un complice che attende pazientemente di sedere al posto di Berlusconi per fare le stesse cose. Sentite un po':

A una prima lettura toni e contenuti del documento del governo non lasciano purtroppo intravvedere niente di serio. Evidentemente l'obiettivo del governo è di prendersi in sede europea qualche giorno di ossigeno»: così il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, in una nota.

Redazione Contropiano

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Francesco Piccioni
LA MISSIVA ALL'EUROPA Una lunga serie di misure-specchietto e un solo nemico vero: il lavoratore dipendente di ogni età
Ora il bastone si chiama «sviluppo»
Libertà di licenziare, statali «trasferiti o messi fuori», età pensionabile a 67 anni per tutti

Sembrava d'esser tornati ai tempi del cardinale Richelieu, con segreti messaggeri che percorrono l'Europa portando nel giustacuore una lettera ancor più misteriosa. Dei contenuti reali di questa missiva - che ieri a pranzo Gianni Letta correva a «rettificare» qui e là - non si riusciva a sapere molto.
Ma siamo in realtà nell'era della Rete. E non appena gli staff dei capi di governo dei paesi non-euro sono usciti dalla prima riunione - intorno alle 19 - se n'è cominciato a sapere qualcosa di più. E a capire che non era cambiato l'orizzonte «filosofico» sacconiano dell'attuale governo: la crisi debbono pagarla quei «fessi» che lavorano tutta la vita, in qualsiasi regime contrattuale l'abbiano fatto. E basta.
La volontà persecutoria del lavoro dipendente esce fuori chiaramente dalle uniche «voci» che non erano comprese nelle bozze precedenti. Elenchiamo dunque le misure principali.
Libertà di licenziamento «per motivi economici». «Entro maggio 2012» il governo varerà una legge per cui ai dipendenti assunti con contratto a tempo indeterminato sarà dovuto solo un risarcimento monetario (neppure quantificato in mesi di stipendio), ma non più il diritto al reintegro sul posto di lavoro tramite ricorso al giudice. Nella normativa attuale siste già questa possibilità, ma come licenziamenti collettivi in seguito a dichiarazione di uno «stato di crisi», verificato e certificato dalle istituzioni pubbliche. In assenza di dettagli, quindi, si è costretti a immaginere che questi «motivi economici» saranno sostanzialmente «autocertificati» dai datori di lavoro, e usati per colpire singoli dipendenti, magari «scomodi» per ragioni sindacali.
Dal lato opposto si parla di realizzare una «stretta» sull'abuso dei contratti atipici, in modo da favorire l'assunzione stabile dei più giovani. Idem per l'apprendistato e l'incentivazione del lavoro femminile. In pratica si realizza un doppio tritacarne: maggiore «flessibilità in uscita» (tradotto: licenziamenti) e un pizzico di minore flessibilità «in entrata». Il controllo della «docilità» del singolo lavoratore verrà fuori comunque da un numero di anni trascorsi tra contratti precari, apprendistato o salario d'ingresso.
In secondo luogo, viene confermato il blocco del turnover dei dipendenti pubblici (ormai decennale), aggravato dalla volontà di «mettere in mobilità» 300.000 statali e parastatali. Il meccanismo è caro al ministro Brunetta: i dipendenti pubblici «in eccesso» in alcune situazioni verranno trasferiti d'ufficio ad altra sede o incarico, anche fuori dal comune di residenza. Avranno due anni di tempo per accettare la destinazione, dopo di che verranno licenziati.
Terzo nodo feroce: l'età pensionabile («vecchiaia») sarà elevata a 67 anni da qui al 2026, sia per gli uomini che per le donne. Per le lavoratrici del settore privato inizia già a gennaio il progressivo aumento dagli attuali 60 anni ai 65, per arrivare infine alla nuova soglia.
Abbiamo dunque un combinato disposto piuttosto evidente. I lavoratori vedranno allontanarsi sempre di più l'età del ritiro in pensione, mentre le aziende vengono rese di fatto libere di mandarli via quando vogliono. Specie per le mansioni meno qualificate e più logoranti, è facile prevedere che verranno messi fuori scaglioni interi di ultracinquantenni, sostituibili con giovani senza garanzie, salari bassi e sindacalizzazione vietata (alcuni licenziamenti «selettivi» saranno più che istruttivi).
La «filosofia» imprenditoriale di questo governo è dunque singolarmente retrograda: eliminare le difese del lavoratore risulta l'unica «politica di sviluppo» che riesca a pensare. Oltre tutto, si tratta di decisioni «facili» da prendere per decreto, ma di difficile - se non impossbile - quantificazione economica. Quanto «sviluppo» produce un licenziamento?
Il resto è ordinario saccheggio del patrimonio pubblico. Le dismissioni dovrebbero essere varate gia a fine novembre, e produrre almeno 5 miliardi l'anno per tre anni. Ulteriore «ristrutturazione» di scuole e università, con chiusure selettive e aumento delle rette a discrezione locale. Un «piano straordinario per il Sud» che si riduce a utilizzare i fondi strutturali europei senza aggiungervi la quota italiana. La «privatizzazione dei servizi pubblici locali» (ma «non l'acqua... dicono).
Il tutto in un profluvio di chiacchiere senza numeri su liberalizzazioni degli ordini professionali (la «tariffa minima» diventa un «punto di riferimento derogabile»), «zone a burocrazia zero», riduzione della «litigiosità» nella giustizia civile, ecc. Naturalmente fioccano le promesse sulla riduzione del numero dei parlamentari e l'abolizione delle province. E, in un angolo una pericolosissima «riforma costituzionale» per «rafforzare il ruolo dell'esecutivo e della maggioranza». Somiglia a un golpe, è disegnato come un golpe. Forse andrebbe chiamato così...luppo - nella sua versione nota ieri sera - è stata poi inserita una frase chiave: «Le disposizioni contenute nel presente articolo si applicano a tutti i servizi pubblici locali e prevalgono sulle relative discipline di settore con esse incompatibili». Per ora rimane escluso dall'articolo quattro della manovra di agosto il settore idrico (anche perché in quest'ultimo caso la sconfessione del referendum sarebbe pacchiana e palesemente incostituzionale, a pochissimi mesi dal voto), ma con il decreto sviluppo viene rafforzata - ed esplicitamente citata - la privatizzazione del trasporto pubblico locale, anche su base regionale. Un provvedimento, questo, che da una parte attira gli appetiti dei grossi operatori multinazionali - spesso già presenti in Italia nel campo dell'acqua e dei rifiuti - aprendo, d'altra parte, la strada ad aumenti pesanti sulla mobilità.

Redazione Contropiano

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