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Bella ciao!

sulla Resistenza in Italia, sulla rivoluzione in Portogallo e sull'occupazione dell'Iraq

(16 Aprile 2004)

Il 25 aprile di questo 2004 coincide con il 59° anniversario dell'insurrezione popolare che liquidò definitivamente l'occupazione nazifascista dell'Italia e con il 30° anniversario di un altro evento che ha segnato un passaggio importante, e tuttora sottovalutato, della storia europea. Il 25 aprile del 1974, una rivolta militare mise la parola fine alla pluridecennale dittatura fascista in Portogallo, accelerando bruscamente il processo di decolonizzazione dell'Africa: la Rivoluzione dei Garofani liberava non solo il popolo portoghese, ma anche i milioni di neri dell'Angola e del Mozambico. I soldati che rovesciarono il dittatore Caetano erano giovani proletari guidati da altri figli del popolo portoghese costretti ad indossare una divisa per sopravvivere; il loro leader era un capitano di modeste origini, il cui nome divenne rapidamente una leggenda per migliaia di rivoluzionari: Otelo de Carvalho.

La storia dell'insurrezione portoghese è affascinante come il suo protagonista. Otelo era al centro di una fitta rete di contatti e collegamenti fra i militari progressisti portoghesi, ma aveva curato personalmente ogni dettaglio dell'insurrezione: aveva passato intere notti a percorrere da solo, a piedi o con la sua automobile, le strade di Lisbona, per farsi un'idea precisa dei posti di blocco, dei movimenti delle forze dell'ordine, insomma della situazione che i rivoltosi avrebbero dovuto affrontare. Il segnale convenuto per scatenare la rivolta non avrebbe potuto essere più romantico: l'esecuzione, alla radio di Stato, di una canzone considerata eversiva, la celebre Grandola, vila morena di Josè Afonso, cantautore popolare grande amico di Otelo. Grandola, vila morena andò in onda poco prima dell'alba del 25 aprile, e sulle sue note si mossero i camion e le autoblindo che rovesciarono, senza colpo ferire, la dittatura. Quella della democrazia rivoluzionaria portoghese è una storia che merita di essere raccontata e conosciuta molto di più di quanto sia avvenuto fino ad ora: fra le innovazioni della rivoluzione, è significativo ricordare, oltre alla nazionalizzazione delle banche e all'estensione del diritto di voto a tutti i cittadini maggiorenni (prima, gli analfabeti ne erano esclusi) l'abolizione della pena di morte e dell'ergastolo, con una riforma del codice penale che stabiliva un tetto massimo di pena per i reati più gravi a diciotto anni. Una grande rivoluzione in un Paese europeo e membro della NATO, che suscitò speranze ben oltre i confini lusitani. Diventa difficile, quindi, capire come faccia il giornale del PRC a parlare della Rivoluzione dei Garofani in questi termini: "una ferita ancora aperta per tutti quelli che hanno più di quarant'anni. Ma è ai giovani, che non ne hanno conosciuto le nefandezze ed i dolori sulla propria pelle, che Portas dice ....". Quello che dice Portas (capolista del Bloco de Esquerda portoghese alle prossime elezioni) lo potete leggere, insieme al resto dell'articolo di Emilio Ragno, su Liberazione (europea) di domenica 11 aprile. Quello che ci chiediamo è quali siano le nefandezze di cui parla il giornalista di Liberazione, evidentemente anche lui preda della sindrome da delirio anticomunista viscerale che imperversa ai vertici del PRC. I fatti - universalmente riconosciuti - parlano di una rivoluzione incruenta, persino ingenua nel suo rispetto di persone e procedure democratiche, elezioni comprese. E' legittimo aspettarsi che anche altri, oltre noi, facciano notare a Liberazione e al PRC che il revisionismo storico dovrebbe avere un limite.

Il 25 aprile 2004 cade nel momento in cui lo strapotere imperialista e colonialista mostra nuovamente il suo volto feroce in molte parti del mondo, a cominciare dall'Irak e dalla Palestina. I carri armati a stelle e strisce seminano sangue nelle strade di Baghdad e delle altre città dell'Irak occupato, così come quelli con la stella di David stritolano la libertà e la dignità dell'antico popolo di Palestina, uniti nel medesimo disegno criminoso di sterminio. A questa impresa infame non poteva non dare il suo contributo l'italietta di Don Silvio, e così è stato ed è: i nostri connazionali in uniforme hanno umanitariamente abbattuto una quindicina di Irakeni, compresi donne e bambini, per non sfigurare nel confronto con il fratello maggiore yankee, che ha emulato i fasti di Marzabotto bombardando, anziché una chiesa cristiana, una moschea. Ma nemmeno di fronte alle migliaia di morti ed alle immani distruzioni provocate dall'occupazione, la cosiddetta opposizione riesce a trovare il coraggio di differenziarsi dal governo Berlusconi, anzi: probabilmente, a Fassino e Rutelli non deve essere sembrato vero poter rilanciare appelli bipartisan "contro i terroristi" e per l'unità nazionale, ben sapendo - come tutti - che una guerra è per definizione un mattatoio.

Nelle vicinanze dell'irak, un governo democratico (che non si può definire nazista sennò ti salta su qualcuno a strillare che sei un antisemita), per garantire la sicurezza del suo popolo eletto chiude un altro popolo in un'immensa gabbia, che non si può chiamare lager o campo di concentramento per lo stesso motivo di cui sopra.

Fuori da ogni ipocrisia, dobbiamo alzare la voce per pretendere il ritiro immediato dei contingenti di occupazione dall'Irak, unitamente al ritiro dell'esercito e dei coloni sionisti dalla Palestina, perlomeno sui confini del 1967. Non c'è altra strada che questa, tutto il resto - ONU, piano di Ginevra e scempiaggini simili - non ha senso. Il 25 aprile dovrà essere una giornata in cui le strade e le piazze si riempiano di popolo contro le occupazioni, i governi che le sostengono e le false opposizioni. E l'augurio che possiamo esprimere è quello di una ventura Norimberga che veda sul banco degli imputati - come i carnefici di ieri Goering, Rosenberg, Hess e camerati - i carnefici di oggi.

Arcipelago

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