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il pane e le rose

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Si parte insieme e insieme si va

(12 Novembre 2011)

Le minacce di nuove leggi che limitino la libertà di manifestare, la criminalizzazione dei movimenti, non ultimo quello No Tav, hanno messo la sordina alle ragioni che hanno portato oltre 150.000 persone a manifestare a Roma, altre quindicimila per i sentieri di Chiomonte in violazione alla zona rossa. Nelle ultime settimane innumerevoli sono state le manifestazioni di protesta in tutto il paese. Tanto che esponenti del governo parlano già di “autunno caldo” e di “terrorismo” per esorcizzare e cercare di contenere la protesta che ha caratteri di massa. Spettri e criminalizzazione sono una politica già vista. Il re è nudo!

Questo per allontanare i riflettori dalle questioni sociali, dalla crisi che morde la vita dei poveri, obbligati a pagare ancora una volta il prezzo di un ordine sociale fondato sullo sfruttamento e sull’oppressione. Il governo ha paura. Ha paura che il conflitto si estenda e si generalizzi a tutto il paese. Per questo reagisce con la violenza e i divieti, per questo vuole che le questioni sociali siano ridotte a mere questioni di ordine pubblico.

Nell’ultimo anno i padroni, sentendosi forti, sono passati all’incasso di quel che resta di garanzie, libertà, salario. Le vicende di Pomigliano e Mirafiori hanno dimostrato che, se non si inverte la rotta, non ci sarà freno alla corsa all’incasso di chi lucra sulla vita di tutti. Gli accordi per la crescita del 28 giugno hanno piazzato una pietra tombale sulla stagione che si era aperta alla fine degli anni Sessanta. Le maglie della schiavitù salariata si sono fatte sempre più strette, il futuro sempre più precario.

Il “piano sviluppo” ha come unica “novità” la proposta dei licenziamenti facili. L’acutizzarsi della crisi, la minaccia di una possibile bancarotta dell’Italia, non più in grado di far fronte al debito pubblico, concreta l’ennesimo ricatto del governo e dei padroni. Il governo ha offerto alla BCE un altro pezzo delle nostre vite, nella speranza che l’UE accetti di pagare le banche che hanno in mano il debito dello Stato. Così ancora una volta i poveracci che hanno sempre dato senza mai avere pagheranno per la polizia che li pesta in strada, per le guerre che ammazzano qualcuno in loro nome, per la chiesa che ne limita le libertà, per le scuole private, i servizi segreti, il ceto politico, le grandi opere inutili e mille altre porcherie. Il governo è diviso su tutto tranne che sulla feroce volontà di far pagare a lavoratori, precari, studenti, immigrati e pensionati il prezzo preteso da UE, BCE e FMI.

Ma c’è chi non ci sta, chi si ribella ad un destino già scritto, chi vuole riprendersi il futuro. Sono i No Tav, che da Torino alla Valsusa, resistono all’occupazione militare, allo sperpero di risorse pubbliche, alla devastazione dell’ambiente. Sono i ragazzi tunisini che violano le frontiere, sono i prigionieri dei CIE che sfondano le porte e scavalcano i muri. Sono gli sfrattati che non si rassegnano alla strada ed occupano le case vuote. Sono gli studenti che scendono in piazza perché hanno imparato a loro spese che nulla è garantito se non dalla lotta. Sono gli immigrati che si ribellano ai caporali a Piacenza come a Nardò. Sono gli anziani cui è rubata una vecchiaia serena. Sono i tanti che non ce la fanno ad arrivare a fine mese e sono stufi di pagare la crisi dei padroni. Sono i tanti che, di fronte alla violenza dello Stato, sanno trasformare l’indignazione in rabbia e in capacità di resistenza. Sono i ragazzi che in piazza S. Giovanni hanno affrontato i blindati, spesso a mani nude o armati di quel che trovavano in strada, si sono frapposti tra la furia di poliziotti e carabinieri e una piazza che il governo temeva si riempisse di un’indignazione che avrebbe potuto travalicare le intenzioni dei vari Vendola, De Magistris, Casarini. Gli stessi politici che speravano che la piazza del 15 ottobre desse loro forza nel gioco delle poltrone per le prossime elezioni. Ma la rabbia e la resistenza non possono esaurirsi in una giornata particolare.

Quelli che, all’inizio del corteo, senza riscuotere troppe simpatie, hanno spaccato banche e agenzie interinali hanno messo in scena la suggestione della rivolta ma non molto di più. Non ci uniremo certo al coro dei benpensanti che si indignano se qualcuno danneggia un bancomat o rompe le vetrine dei caporali. Resta il fatto che la scelta di imporre al corteo pratiche non condivise è nei fatti autoritaria. Da anarchici sappiamo che l’emancipazione o sarà opera degli oppressi e degli sfruttati o non sarà. Crediamo che la lotta contro quest’ordine sociale si debba coniugare con la capacità di porre concretamente le basi, oltre le rovine di questo mondo, di un mondo basato sulla solidarietà, la partecipazione diretta, senza specialisti della politica, dove ciascuno è protagonista.

Agli arresti del 15 è seguita un’ondata di perquisizioni in tutt’Italia. Contro chi ha manifestato a Roma, contro chi ha resistito alle cariche folli dei blindati si sono scagliati giornalisti, politici, magistrati.

Agli arrestati e ai perquisiti, tra cui il nostro compagno Oreste di Cosenza, va la solidarietà della Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana. Rivendichiamo l'immediata liberazione di tutti gli arrestati.

Il 15 ottobre alcuni di noi hanno partecipato al corteo di Roma. Altre ed altri erano nelle loro città (Torino, Milano, Reggio Emilia, Jesi, …), dove hanno dato vita ad iniziative di protesta e di lotta . Come anarchici federati abbiamo scelto di essere a Roma ma anche nelle altre città, abbiamo scelto di attraversare questo appuntamento con la consapevolezza che la partita vera la giochiamo ogni giorno. Ovunque.

Il 22 ottobre le nostre compagne ed i nostri compagni erano a Livorno a contestare i militaristi che “festeggiavano” il ritorno dei parà della “Folgore” dal turno di guerra in Afganistan, e rievocavano la guerra fascista nell’anniversario di El Alamein. Il 23 ottobre eravamo in Val Susa dove quindicimila resistenti hanno violato la zona rossa imposta dal Ministero dell’Interno con il plauso dell’opposizione. In cinque mesi il governo è riuscito solo a costruire un fortino cinto dal filo spinato. Lo chiamano cantiere ma è solo un avamposto di guerra alle popolazioni che si oppongono alla devastazione del territorio e al saccheggio delle risorse. Il 12 novembre molti di noi parteciperanno al corteo contro gli F35 a Novara.

Lo scrivevamo prima del 15 ottobre e lo ribadiamo qui: “Vogliamo costruire, con l'autogestione, lo spazio pubblico non statale nel quale le donne e gli uomini potranno vivere oltre la crisi del sistema. Per noi anarchici l’indignazione verso un mondo intollerabile da sempre segna il tempo della lotta per costruirne uno nuovo, tanto diverso, che comincia a vincere quando entra e si installa saldamente nei cuori di chi, ogni giorno, in ogni dove, è forzato a vivere senza dignità, che non sia quella di chi alza la testa e dice no. La dignità di chi dice “se ne devono andare tutti”, la dignità di chi non vuole un nuovo governo, la dignità di chi sa e può autogestire le lotte per autogestire la società. La dignità di chi sa che il capitalismo non è l’unico orizzonte possibile, che riprendersi la terra, le fabbriche, i saperi si può.”

Sempre più gente riempie le piazze, partecipa agli incontri, alle assemblee, alle lotte. Con loro e con chi ci starà percorreremo la strada difficile che segna il tempo della rottura della gerarchia e la nascita di un tempo altro. Con pazienza, con rispetto, con la consapevolezza che – come si dice in Val Susa – si parte insieme e insieme si va dove è necessario.

Commissione di Corrispondenza
Federazione Anarchica Italiana

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