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Oscar Romero

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    Argentina: il 24 marzo non è mai un giorno in cui le parole sorgono facilmente

    Letto da María Isabel Greco ed Emiliano Hueravillo di H.I.J.O.S. di La Plata, entrambi nati nell’ESMA.

    (19 Aprile 2004)

    Il 24 marzo non è mai un giorno in cui le parole sorgono facilmente. Per lo meno non più da 28 anni. I sentimenti presenti tutti i giorni della nostra vita, si condensano in questo giorno e ci prendono alla gola al momento di dire quel che vogliamo dire.

    Però ci proviamo.

    In questa casa del terrore, che oggi stiamo guardando così da vicino, si distrusse un’enorme, incommensurabile quantità di esseri amati. In questa scuola di meccanica dell’armata, l’Armata insegnò ai suoi migliori alunni la sua meccanica. La meccanica del terrore.

    Ma questo, amati esseri, non fu l’unica cosa che si distrusse. Si distrusse anche l’intangibilità dell’amore. Tutto quello che non si può toccare, ma si vede, si sente. Ciò che fa sì che un uomo e un altro uomo, una donna e un’altra donna e un altro uomo e un’altra donna, siano molto di più di questo e divengano un uragano che allo stesso tempo scuote e sostiene: un progetto in comune. Ciò che c’è fra un gruppo di persone e un altro gruppo di persone, che fanno cose diverse ma che si sanno vicine prima o poi.

    Ciò che non si può toccare, ciò che non si può accarezzare come la pelle di coloro che non ci sono più, ma che si vede, si sente, come se fosse una carezza di coloro che non ci sono più.

    No, la pelle, lo sguardo, le risate, gli abbracci nel cuore della notte, questo, non si può recuperare. Non torneranno nemmeno gli anni persi per la quotidianità per coloro che la roulette dell’orrore mise dietro le sbarre per anni. Non torneranno mai più quegli anni in cui si dovette vivere in un paese estraneo. Ma l’intangibile, quello che quelle mani modellarono, il modo di esprimere l’amore che loro provavano, questo, sì, è dentro di noi.

    Ed è vivo per sempre.

    Perché siamo qua, perché siamo da molti anni, perché ci sono altri. Perché non abbiamo mai perso la capacità di organizzarci per lottare per un paese diverso. E organizzarsi e lottare è il modo che loro avevano di amare, di esprimere il loro amore.

    Per questo motivo, questo luogo contiene ancora l’orrore e la paura, ma anche l’enorme dignità di coloro che sono morti per amore. Per amore dei compagni, per amore della gran patria, per amore del popolo, per amore di questo paese che la loro lotta stava costruendo. E per amor nostro, i loro figli.

    Oggi, noi, in questo giorno, colmi di quest’amore per le stesse cose, vogliamo che sia ben chiaro quello che vogliamo.

    Noi vogliamo che vadano in prigione, all’ergastolo, in un carcere comune, tutti e ognuno dei torturatori, assassini, sequestratori, ladri di bambini. E che vadano in prigione anche i mandanti, i beneficiari e i pianificatori del genocidio.

    Noi vogliamo che tutti quelli che furono strappati alle proprie madri che partorirono in prigionia, per essere presi dai militari o regalati ai loro amici, recuperino la propria vera identità.

    Se le Abuelas sono riuscite a trovare fino ad ora 77 nipoti, cosa non potrebbe fare lo Stato se se lo proponesse. Sono passati più di 20 anni dalla cauta della Giunta Militare. Da più di 20 anni abbiamo perso i fratelli e le sorelle, le nonne, i nonni, le zie, i cugini. Più di 20 anni hanno perso loro. Perché loro vivono da sempre prigionieri senza saperlo, e ogni governo che non li cerchi, che non restituisca loro la libertà di sapere chi sono e chi furono le loro madri e i loro padri sono governi che sostengono e avallano la sparizione forzata di persone.

    Noi vogliamo che si aprano tutti gli archivi, che si sappia assolutamente tutto quello che successe. Chi li sequestrarono, chi li torturano, chi li assassinarono, chi rubò i loro figli, i nostri fratelli, dove sono i loro corpi, dove sono.

    Per noi, per le nostre famiglie, ma soprattutto per questo paese. Nessun paese può crescere nella menzogna. Sappiamo che quei archivi esistono, sappiamo che si possono aprire, sappiamo che dipende dalla volontà politica di coloro che governano se la verità continui a rimanere sepolta o venga alla luce.

    Noi vogliamo che il Congresso, come ha annullato le leggi di impunità, annulli anche gli indulti e che la magistratura dichiari incostituzionali tutte le norme che permettano ad un genocida di essere perdonato o neppure giudicato.

    Noi vogliamo che tutti i luoghi che funzionarono come Centri Clandestini di Detenzione durante la dittatura siano luoghi preservati, perché si possa prima di tutto investigare e perché tutti sappiano che lì si torturarono e si assassinarono persone, che nessun editorialista de La Nación possa prendersi il lusso di mettere in dubbio la veridicità dei fatti. Ma vogliamo anche che in questi luoghi si ricordi e si dica perché li uccisero, chi erano, per che cosa lottavano, qual’era il loro progetto di paese.

    Noi vogliamo che si dia soluzione alle proteste. Lavoro a coloro che lottano per il lavoro, la casa a coloro che lottano per una casa, salari dignitosi a coloro che lottano per i loro stipendi. Le proteste non si fermano con cause giudiziarie, le proteste finiscono trovando le soluzioni. Non vogliamo che si criminalizzi la protesta. Non vogliamo che si processi coloro che lottano.

    Noi vogliamo che non si paghi nemmeno un centesimo del debito estero. Perché è illegittimo, immorale e fraudolento. Illegittimo perché non è stato contratto dal popolo argentino. Immorale perché si paga con la fame dei nostri bambini. Fraudolento perché è il prodotto di una truffa.

    Ma se non si paga il debito e la ricchezza continua a riempire le tasche dei ricchi e a svuotare quelle dei poveri, tutto ciò non ci serve a nulla. Vogliamo che non si paghi il debito e che la ricchezza sia distribuita equamente.

    Noi vogliamo che si smantelli l’apparato repressivo, perché i repressori della dittatura sono coloro che in democrazia assassinano i ragazzi con la scusa del grilletto facile.

    Ma vogliamo anche che tutti i politici che sostennero le atrocità commesse e che, come buoni camaleonti si riciclarono in democrazia, paghino per quello che fecero. Non solo che cessino di occupare incarichi nei governi, ma anche che siano castigati con la pena che si meritano.

    La pena che si merita chi ha firmato questo decreto nel 1975: ”Le Forze Armate, sotto il Commando Superiore del presidente della Nazione, che sarà esercitato attraverso il Consiglio di Difesa, procederanno a eseguire le operazioni militari e di sicurezza necessarie al fine di annichilire l’operato di elementi sovversivi in tutto il territorio del paese”. Decreto firmato da Carlos Ruckauf e Antonio Cafiero, fra gli altri. E questi sono solo due esempi. Siamo circondati dai Bussi, dai Patti, dai Rico, dai Cavallo, è solo questione di cercare, depurare, giudicare e castigare.

    Perché coloro che allora avallarono il genocidio continuano a farsi gli affari propri in democrazia. Solo per fare un esempio, durante il governo di Ruckauf, i servizi segreti della polizia della provincia di Buenos Aires, indagarono HIJOS in modo così esaustivo che arrivarono persino a descrivere una spaghettata che i nostri compagni di Mar de Plata condivisero.

    Tutto questo vogliamo. E quando noi diciamo vogliamo, intendiamo dire che non smetteremo di lottare fino a quando lo otterremo, come lo abbiamo fatto fino ad ora, come non smetteremo di fare. Perché noi oggi, qua, siamo venuti a fare lo stesso di sempre. Siamo venuti a lottare contro l’impunità, contro l’oblio, contro il silenzio. Non siamo venuti alla consegna di un edificio, anche se la consegna di questo immobile ci da più forza per continuare ad andare avanti, come ci ha dato forza l’annullamento al parlamento delle leggi di impunità. Non siamo venuti a ricevere alcun riconoscimento. Perché riconoscere la nostra lotta, quella delle Madres, quella delle Abuelas, quella dei Familiares, quella degli Ex Detenidos Desaparecidos, non significa altro che mettere in prigione i colpevoli, recuperare l’identità di tutti i giovani “rubati” dai militari durante la dittatura, che ci dicano tutta la verità sui nostri cari e che il progetto di paese per il quale lottavano i nostri padri e le nostre madri diventi realtà.

    Il mio nome è Emiliano Hueravillo, sono nato qui all’ESMA. Qui, mia mamma, Mirta Mónica Alonso, mi ha fatto venire al mondo. Come lei, in tutti i centri di detenzione clandestini della zona sud di Buenos Aires, centinaia di giovani coraggiose hanno fatto venire al mondo i loro figli fra medici torturatori. A tutti i nostri fratelli e a tutte le nostre sorelle nate qui e che non sono stati consegnanti ai propri famigliari, come è successo a me, vogliamo dire che sappiano che li stiamo cercando, che li stiamo aspettando, che desideriamo raccontare loro che le loro madri li amavano, che i loro padri li amavano e che erano il meglio di una generazione che si giocò il tutto per tutto per lasciarci un paese migliore.

    Compagni, compagne: non siamo nessuno per dire qual è il migliore omaggio, ognuno di voi lo saprà. Noi, scegliamo di stare insieme, scegliamo di lottare per quello che crediamo giusto, anche se ci dicono che è impossibile, che non è il contesto, che non ci sono le condizioni; scegliamo di discutere qual è, fra tutti, il migliore modo di lottare, e accettare la sfida di ascoltarci e ascoltare, anche quando siamo molto diversi e veniamo da luoghi differenti. Noi scegliamo di fare di questa lotta una lotta di tutti i giorni. Fino a quando? Fino alla vittoria, non c'è dubbio.

    Carcere comune, ergastolo per tutti i responsabili dei genocidi e per i loro complici

    Restituzione dell’identità ai nostri fratelli rubati

    Rivendichiamo la lotta dei nostri genitori e dei loro compagni per un paese giusto e solidale

    30.000 compañeros desaparecidos, presentes!
    30.000 compañeros desaparecidos, presentes!
    30.000 compañeros desaparecidos, presentes!
    Ora e per sempre

    H.I.J.O.S.
    (Hijos por la Identidad y la Justicia contra el Olvido y el Silenzio)

    Fonte

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