">
il pane e le rose

Font:

Posizione: Home > Archivio notizie > Capitale e lavoro    (Visualizza la Mappa del sito )

... e nemmeno Suleiman

... e nemmeno Suleiman

(11 Febbraio 2011) Enzp Apicella
Mubarak lascia il potere al vice presidente Omar Suleiman. La piazza contesta lanciando le scarpe in segno di protesta.

Tutte le vignette di Enzp Apicella

costruiamo un arete redazionale per il pane e le rose Libera TV

SITI WEB
(Capitale e lavoro)

Democrazia per tutti: Siria, Libia, Egitto, Italia...

(24 Novembre 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in fulviogrimaldi.blogspot.com

Democrazia per tutti: Siria, Libia, Egitto, Italia...

foto: fulviogrimaldi.blogspot.com

L'arma più potente nelle mani dell'oppressore è la mente dell'oppresso. (Steve Biko, rivoluzionario sudafricano)
Lo Stato può darti libertà e te la può togliere. Ci sei nato, come con i tuoi occhi, le tue orecchie. La libertà è qualcosa che dai per scontato, poi aspetti qualcuno che te la porti via. La misura con cui resisti è la misura di quanto sei libero. (Utah Phillips)
Commisera la nazione che deve impedire ai suoi scrittori di dire ciò che pensano... Commisera la nazione che incarcera coloro che chiedono giustizia, mentre assassini di massa, killer professionisti, speculatori multinazionali, saccheggiatori, stupratori e quelli che depredano i più poveri dei poveri, spaziano liberi. (Arundhati Roy)
Nessuno fa un errore più grande di colui che non fece niente perché poteva fare solo poco. (Edmund Burke)
La nostra razza è la razza padrona. Noi siamo gli unici semi-dei con qualità divine di questo pianeta. Noi siamo tanto diversi da tutte le altre razze inferiori quanto loro lo sono dagli insetti. (Menachem Begin, terrorista e primo ministro israeliano)
Quando non ci sarà più posto all'inferno, i morti cammineranno sulla Terra. (George Romero, regista)

Va subito detto che la ripresa dei moti rivoluzionari in Egitto, una volta scremati dall'inquinante e strumentale presenza dei Fratelli Musulmani, dà la baia a tutti gli scemi o imbroglioni che, gufando a più non posso, avevano attribuito all'insurrezione di massa del 25 gennaio 2011 una regia statunitense. Salvo poi attribuire alle compagnie di ventura islamiste, scatenate dal coacervo petromonarchie-Nato, la qualifica di "giovani rivoluzionari" avidi di democrazia e diritti umani. Rientra nel processo di inversione della realtà praticato, come s'è visto girando lo sguardo da destra a sinistra, con straordinario successo da tutti i media padroneggiati, o intimiditi, dagli organizzatori di colpi di Stato e delle successive dittature mercatisto-confessionali. Quelle affidate a fantocci tipo Mustapha Al Jalil in Libia, la giunta militare del Cairo, i vari Karzai e Maliki in Afghanistan e Iraq, coloro che la petrolcosca satrapi-Nato vorrebbe installare nell'ancora libera e sovrana Siria. Colpi di Stato per Stati di polizia inflitti anche a noi, miserabili periferie imperiali dette sardonicamente PIIGS, tramite banchieri, preti, generali (anche ammiragli) e "tecnici" specializzati nella spoliazione del famoso 99%, nelle bastonate al cane che affoga. E lo Zeitgeist di un Ottocento finalmente recuperato nella sua originalità classista. Schiavista. L'approdo finale, se lo sono scritti Marchionne, Monti e Draghi nei loro pizzini (altro che il pizzino del valletto Enrico Letta al nuovo capo cui leccare gli stivaletti chiodati): l'Arabia Felix, quella della famiglia reale saudita, con diritto di vita e di morte su plebi informi.

C'è, tuttavia, una differenza decisiva tra quanto il complotto planetario massonico-finanziar-militar-plutocratico-cattogiudioislamista riesce a realizzare qui, nelle decrepite società del subire per sopravvivere, dove tutto gli va liscio come un trampolino da sci, e tra le energie giovani ed esplosive del "Terzo Mondo" (che sia Nord, Occupy Wall Street, Piazza Syntagma, Valdisusa, o Sud arabo-islamico-lationamericano), dove tutto promette di andargli di traverso. La differenza sta certamente anche nell'età media, da noi 45, da loro 20, e nel luogo dove si posa il culo: da noi pur sempre almeno su una sedia di rafia, da loro, se va bene, su un sasso. Che poi risulta facile alla mano, più di una sedia. Ma sta soprattutto nel fatto che da noi maestri venerandi di ogni denominazione politico-culturale ci hanno condotto, con guinzagli etico-ideologico-chiesastici, allo "sradicamento" della violenza, specie nella gioventù dove meglio fiorisce per giuste cause. Sradicare, insieme alla violenza, il suo agente. E lo si "sradica" meglio, quando lo si criminalizza da teppista o tifoso, lo si banna dalla sua comunità generazionale inchiodandolo davanti a videogiochi, lo si induce fin da bambino a entrare nel mondo cattolico dell'ipocrisia e del raggiro, a deidentificarsi, a prostituirsi, con i genitori per ruffiani, negli spot commerciali delle tv, o negli applausi al presidente-gaglioffo che passa.

E' il metodo Bilderberg, dell'atomizzazione della collettività sociale ( solo quella del 99%, naturalmente) per arrivare all'agognato governo mondiale dell'1%. E' quello di Oded Yinon, il consulente militare israeliano, inventore nel 1982 della strategia della frantumazione dei popoli della regione lungo linee confessionali, etniche, tribali per arrivare al dominio, da parte dell'1% nazisionista, sui 400 milioni di abitanti dell'area (e oltre). Meno sei collettivo, meno stai in comunità, più sei solo e più facile risulterà sradicarti quella maledetta violenza che nei millenni ha visto susseguirsi rivoluzioni e liberazioni. E così devi annegare nell'ideale sciropposo, "politicamente corretto", di una nonviolenza, dichiarata apoditticamente inerente ai rapporti umani naturali, beneducata, in cui ci crogioliamo e di cui la logorrea della voce mediatica del padrone ama intrattenere la patologica illusione, come dice René Sherér sulla scia di Genet e Fourier. Questo disarmo unilaterale, grazie al quale i vecchi con culo al caldo dell'aria condizionata abbattono o omologano il "nemico infanzia e adolescenza", è passato su di noi alla grande, ma non ha attecchito più a sud, dove la violenza sacrosanta dei giovani, nell'affrontare la brutalità di regimi a noi amici, si vede sempre più affiancata dai "maturi" e dagli anziani.

Ne è prova convincente la capacità del movimento rivoluzionario delle masse egiziane, preparate - contro la vulgata maligna della "spontaneità senza capi e senza ideologie" - da anni di scioperi, lotte proletarie e studentesche, dal fermento antisionista, antimperialista, antiglobalizzazione nei giovani, donne in testa come in Latinoamerica, di tornare protagonisti e vincenti dopo 10 mesi di mobilitazione di massa, scontri, infiltrazioni (Fratelli Musulmani, rivoluzionari colorati e di velluto), repressioni, carneficine, raggiri e imposture. Vedevo ieri sera in diretta Tahrir di nuovo trasformata in assemblea nazionale e presidio rivoluzionario, con ospedali da campo e medici volontari a fare turni ininterrotti da cinque giorni per curare le migliaia di feriti e ricuperare le decine di ammazzati, sbattuti dagli sgherri di regime sulla spazzatura- Vedevo nelle strade adiacenti i ragazzi contrastare con i mezzi della creatività l'avanzata degli sbirri e dei teppisti mubaraqiani. Fantastico, tutti con mascherine e maschere antigas per neutralizzare l'arma decisiva dell'ordine dei potenti, i gas (ovunque i probiti nervini e CS (passati da Genova alle piazze del martirio palestinese): edema polmonare, convulsioni anche mortali, asfissia, lesioni cerebrali e al DNA), nelle retrovie riserve di liquidi antinfiammatori, ondate di attaccanti che ripiegano dopo aver scagliato i propri proietti, sostituite, come in un esercizio ginnico, da ondate che sincroniche spuntavano dai vicoli. E gli ascari dei generali golpisti costretti al ritiro. Quando impareremo?

Sanno di rischiare la vita - il massimo della non-violenza autentica - per tenere il punto e la piazza. La stanno spendendo a centinaia. Difendono, con la forza del numero, dei sassi, delle mazze e delle barricate, laddove alle schiere dei brutalizzatori in divisa noi ci avviciniamo con le mani alzate. E, per la seconda volta s'impongono, vincono un'altra delle battaglie che conducono alla fine della guerra, per quanto lontana, ma come dimostrano Iraq, Afghanistan, Somalia, e ora Egitto, Siria, Libia, Yemen, (e hanno da veni' gli altri), invincibile per il nemico. Ai quasi mille caduti nella prima fase, culminata con la cacciata del tiranno Mubaraq, se ne sono aggiunti in questi giorni altri 90. Migliaia i feriti. Ma tutti questi martiri sono rivissuti nel milione e mezzo che si è ripreso Piazza Tahrir, il simbolo della combattiva indignazione che incendia il terreno sotto gli anfibi della Cupola. A dimostrazione che certe morti servono. A nulla è valsa la terrificante intimidazione del feldmaresciallo Tantawi, sodale numero uno del despota cacciato, dei 12mila manifestanti sequestrati e processati da tribunali militari. Il governo fantoccio, appeso ai fili dei generali di Mubaraq, a loro volta installati dal burattinaio a stelle e strisce, ha dovuto dimettersi. Non è bastato. Venerdì a Tahrir ci saranno due milioni, e altri nelle Tahrir di Suez, Ismailia, Alessandria, ovunque. I generali, padroni del 50% dell'economia egiziana e del più potente armamentario militare del mondo arabo-africano, lancinati dalla paura, si rifugiano nel solito "governo di salvezza nazionale", la maestosa inculata di riserva là dove le armi non bastano, o non ci si può permetterle. Copioni delle truffe alla Berlusconi-Bersani-Monti, o alla Papandreu-Papademos in Grecia. Vedremo come va a finire. Intanto in questo Egitto eroico, modello dei nostri sogni, non è passata l'involuzione tunisina da moto rivoluzionario in pseudoriformismo sotto la ferula dei finto-moderati Fratelli Musulmani, vincitori delle elezioni, coccolati da tutto l'Occidente perché affini al fido Erdogan, carta di ricambio Usa. Fratelli Musulmani, copia carbone di quelli in Libia e in Siria, che, con tutto il loro impegno, non sono ancora riusciti a egemonizzare e pervertire in direzione islamocapitalista la collera e gli obiettivi del moto del 25 gennaio. Qualche esempio incoraggiante già c'è. Fu con questa fantastica tenuta di popolo in lotta, durata anche lì mesi e anni, con tanto di candelotti dei minatori, barricate e pietre dei ragazzi, che la Bolivia e l'Ecuador abbatterono despoti filo-yankee, borghesie compradore e vampiresche, apparati militari da sociocidio e che il Venezuela difese la sua rivoluzione bolivariana, il suo leader, il suo ruolo di avanguardia antimperialista continentale. E' questo il passo della rivoluzione oggi.

Lo stesso discorso vale per la Libia, la Siria, altri paesi sotto attacco da destabilizzazioni, eversione, infiltrazione armata, droni, compresa la Somalia, ora nuovamente invasa dalle truppe di Stati mercenari dell'Occidente, Uganda ed Etiopia, e massacrata dai droni Usa, contro un'irriducibile volontà di popolo di sottrarsi al destino dello Stato-caos, pattumiera del mondo, esempio a tutti coloro che mettono in discussione il ruolo di colonia e presidio geopolitico e geoeconomico assegnatogli dalla guerra infinita imperiale. Dalla Siria, ultimo baluardo regionale della resistenza nazionale, rilanciati dai tamburi di tutti i media, l'ONU, Hillary Clinton, Sarkozy, Erdogan, satrapi del Golfo e del deserto, l'UE, Lega Araba, Amnesty International, Human Rights Watch, Moreno Ocampo, ci alluvionano con storie di atrocità del regime, al solito, dittatoriale. Senza esserci mai stati. Senza sognarsi di porre un frammento di orecchio a quello che invece dice un "regime" che, ogni due per tre, vede nelle piazze di tutto il paese milionate di suoi sostenitori e che diffonde immagini e confessioni di innumerevoli "ribelli" catturati e confessi, spediti da Libano, Turchia, Giordania a far casino sparando su manifestanti inermi e sulle forze di sicurezza. Immagini e documenti trattati dai media come le ragioni di Montezuma alle prese con i ratti cristiani spagnoli. I 1.350 poliziotti e soldati uccisi da questi emuli dei briganti bengasiani, tutti con nome e cognome (e famiglia), pesano, nella bilancia redazionale, un bello zero rispetto al quintale dei "3.500 massacrati dal regime, 280 bambini" (fino a ieri, ma in 24 ore, secondo le affidabili fonti degli "attivisti" e dei loro quartieri generali a Londra e Washington, balzati a 4.500). "20 vittime a Homs, 72 a Hama, 14 a Deraa, 47 ad Aleppo...", si snocciola un rosario le cui salmodie avevamo già udito: 10mila morti in 36 ore in Libia, 50mila feriti, 300 morti a Ras Lanuf, 2.700 a Misurata... Confortati tutti dall'anonimato, quando non serva il puntello del nome di qualche morto vero, come a suo tempo le 40mila famiglie intervistate dalla famosa psichiatra di Bengasi, con altrettanti formulari spediti per posta in pieno marasma bellico, con qualche centinaio di risposte positive sugli stupri di massa dei soldati di Gheddafi, di cui la meticolosa dottoressa aveva però smarrito schede e recapiti.

Che importa, è la prima notizia che conta, non la smentita del reporter rompicoglioni. E così, pari pari, HRW, Amnesty, Ban Ki-moon, Cameron, qualche Abdallah incoronato, ora rimettono il disco del Rais che stermina la propria gente, delle torture, degli stupri, delle fosse comuni. Un deja vue, talmente pedissequamente ripetitivo e grossolano, da riuscire ancora ad abbagliarci solo grazie allo tsunami di sostegno dei media. Un disco, peraltro, di buona qualità, se è riuscito a non far smozzicare la sua puntina nonostante l'estenuante abuso che se ne è fatto nei concerti per la Serbia, l'Iraq, l'Afghanistan, la Libia. I cosiddetti ribelli dell'"Esercito della libera Siria", le solite truppe di terra Nato infiltrate travestitesi da disertori delle forze armate siriane, sono la stessa marmaglia che ha consegnata una Libia maciullata ai cannibali occidentali e che manovra in Egitto per sabotare la rivoluzione e sostituire i generali negli appartamenti della servitù degli Usa. Le masse che insistono da 10 mesi a schierarsi in difesa di governo, patria, indipendenza, proprie scelte di organizzazione politica, geopolitica e sociale, sono la versione siriana della sollevazione delle pietre in Egitto e della nascente resistenza libica. E così lo sono i giovani e meno giovani della comunità siriana a Roma che, in Piazza SS Apostoli, hanno allestito, con gigantesca bandiera, pari alla loro lealtà, una bella manifestazione contro i nemici del loro paese. E sono sulla stessa lunghezza d'onda dei giovani, dei disoccupati, degli esclusi, delle donne, che in Bahrein e Yemen, anche loro con una capacità di tenuta meravigliosa, contrastano la conferma delle tirannie filo-Usa. In Yemen, dopo 10 mesi di risposta armata e civile ai pretoriani del dittatore Ali Saleh, con migliaia di morti, gli insorti hanno conseguito la sua liquidazione.

Al passo dell'oca nelle retrovie del nuovo colonialismo obamian-europeo, la Lega Araba, addomesticata da paesi, anzi da dinastie, il cui PIL e le cui armate, tutti intrecciati alla globalizzazione imperialista, sono il centuplo rispetto al resto, ha equanimemente decretato che il governo siriano cessi i bagni di sangue degli oppositori e, con Obama e affini, che Bashar Al Assad si tolga dai piedi. Provoca capogiri la fantastica richiesta di uscita di scena di Assad avanzata da principi sauditi il cui paese sta alla Siria come un nostro CIE sta a un villaggio vacanze. Quella che lì deve instaurarsi è qualcosa del tipo Qatar: una simpatica famiglia, magari coronata, che possiede la totalità del paese, usa il popolo come strofinaccio di cucina, si dà di gomito con Israele e ospita basi statunitensi. A questo scopo, la Lega, più saudita che araba, che non si è sognata di sollevare un ciglio sui massacri egiziani e che ha ormai la credibilità del quisling Abu Mazen, ha proposto quel "piano di pace" fondato sulla fine delle violenze... del regime. Non un borbottio su una rivolta divenuta subito, come in Libia, armata e dichiaratasi tale quando la fola dei "protestatari non violenti" non reggeva più neanche sul "manifesto" e barbuti armati spediti dal gaglioffo libanese Saad Harini, dal re travicello giordano e dall' avamposto Nato turco, sacralizzati in rivoluzionari da Al Jazira, sparavano sulla gente e massacravano i difensori della Siria libera. Il piano era palese: Assad avrebbe - e ha - accettato le condizioni - ritiro dei presidi militari dai luoghi della rivolta, dialogo, elezioni, riforma costituzionale, liberazione dei prigionieri, osservatori stranieri -, ma sarebbero bastati due vigili urbani siriani che si opponessero alla prima sparatoria dei "ribelli", ovviamente non stigmatizzata, per dichiarare il governo siriano colpevole di uccidere i propri cittadini e meritevole di ultimatum, sanzioni, aggressione. In tre giorni la Siria avrebbe dovuto soddisfare tutte le richieste. Come se le sue fatiche, Ercole, le avesse dovuto compiere tra prima colazione e cena. Intanto i "giovani rivoluzionari" avrebbero dovuto mettere a ferro e fuoco un altro po' di Siria, fornendo a Amnesty e Onu altre vittime da caricare sul conto di Assad. E propiziando lampi di guerra turchi, per garantire "zone cuscinetto" di 30 km quadrati oltre il confine, dentro la Siria. Zone cuscinetto ove insediare quel coacervo coloniale made in Libya, di invasati integralisti, "legione Al Qaida della Nato", Consiglio Nazionale Siriano, Coordinamento dei Comitati dei Diritti civili e le spie nutrite a biscotti Cia e NED a Londra, Washington, Ginevra. Si proclamerà un governo di transizione e si avrà tutto il diritto, e tutta la simpatia destra-sinistra, di invocare forze speciali Nato e droni Usa. Nella carneficina araba che dovrebbe seguire, i paesi della Coalizione dei Volenterosi non perderanno di nuovo neanche un uomo. E Obama, carico di tali trionfi, potrà volare alla rielezione, prima che anche la Siria si riveli quel pantano in cui finiscono con lo sprofondare tutte le voracità e ferocie imperialiste, impegnate nell'estremo tentativo di dissanguare popoli e classi e risolvere per un altro po' i propri problemi di accumulazione. A ottundere la nostra percezione del programmino USraeliano-UE, arrivano gli assordanti clamori dell'imminente guerra all'Iran. Balle, per ora. Sarebbe come voler conquistare un castello, prima di averne abbattuto le mura di cinta. Eppoi, una guerra non si preannuncia per anni, al nemico da abbattere si salta addosso all'improvviso. Per il Giorno D si pubblicizza Calais, ma si sbarca in Normandia.

Intanto l''assemblea generale dell'ONU, con 122 paesi su 192, vota una risoluzione modellata sulla spudorata infingardaggine della Lega dei satrapi. Come la risoluzione del Consiglio di Sicurezza del marzo scorso che diede il via all'uccisione della Libia, anche questa è basata unicamente sulle affermazioni dei media (unanimemente guerrafondai), che a loro volta avallano le sparate, esagerate fino al grottesco, dei terminali locali delle centrali golpiste. Non un ispettore ONU sul posto, non un ambiguone di Amnesty, ma la Lega satrapista pretendeva di mandare 500 "osservatori" del tipo di quelli OSCE capeggiati dal criminale britannico William Walker in Kosovo e incaricati di avallare le menzogne UCK sulla "pulizia etnica". E l'universo dei pacifisti, diritti umanisti, democraticisti, si è adombrato perché il governo siriano aveva chiesto l'esclusione di certe ONG, note per il loro ruolo nelle rivoluzioni colorate alla Otpor. Di Assad e del suo governo si potranno lamentare molte cose, difficilmente di più di quelle che subirebbero i siriani se prevalessero Nato e i suoi ratti, difficilmente di più di quelle inflitteci da Berlusconi e ora nei programmi della cupola della soluzione finale. Si può deplorare la severità con cui concedono visti ai giornalisti che dovrebbero raccontare la verità vista e vissuta. Ma se penso a miei colleghi che, in piena guerra, ammessi in Serbia come stormi di cornacchie, segnalavano ad Aviano gli obiettivi da centrare, o a quegli altri che a Baghdad ridicolizzavano i bollettini, veritieri, del governo, e spandevano stronzate Nato, indifferenti alla mattanza intorno a loro, o ancora a quelli che rintanati nell'Hotel Rixos di Tripoli vedevano inesistenti attacchi di Gheddafi alla sua gente e restavano ciechi e muti davanti alle stragi Nato di civili, se penso a questo corteo di olgettine di regime, capisco la prudenza di Damasco.

Dietro al fumo dell'attacco all'Iran si cela una Siria da infilare nel forno crematorio. Washington, mentre prepara la nuova No fly zone, da affidare all'aviazione turca e petrolaraba "in difesa dei civili", invita tutti i suoi cittadini a lasciare la Siria "immediatamente". Cameron, il bulldog inglese al guinzaglio del gestore dei combattimenti, sollecita i leader mondiali a collaborare con i gruppi dell'opposizione siriana. Sarkozy riconosce il Consiglio Nazione Siriano, stanziale a Istanbul ed eterodiretto da Londra, Parigi e Washington, come legittimo (sic!) rappresentante del popolo siriano e propone di creare in Siria, in collaborazione con rinnegati arabi e complici europei, "corridoi umanitari". Ci si ricordi di quelli voluti da Napolitano per la Libia e realizzati a Misurata da forze speciali Nato, con la musica d'accompagnamento di Save the Children (quelli del Viagra di Gheddafi ai suoi soldati perchè stuprassero "bambini di 8 anni"), con lo sterminio della popolazione residente. E allora, viva la flotta russa arrivata a Latakia, viva Putin, presto bentornato, alla faccia di un altro trombettiere Nato nel "manifesto" che da anni ci impesta con le sue russofobia e slavofobia, l'albanese Astrit Dakli, ruotino di scorta dello scudo missilistico d'attacco Usa ai confini della Russia. Speriamo che, nei mesi che gli restano, il "morbido" Medvedev, presidente dai giri di valzer con l'Occidente, non comprometta un equilibrio che salverebbe la Siria e chissà quanti altri. E innalziamo preci anche alla Cina, qualunque cosa essa sia, comunista in chiave turbo capitalista, ma contrappeso agli Usa.

Nel gigantesco trasferimento forzato di ricchezza dal 99% all'1% non tutto è guerra, ma tutto è destabilizzazione. Vuoi con mercenari armati e teste di cuoio nostre, vuoi con rivoluzioni colorate, vuoi con le grisaglie fresche di Armani e le facce, da Centro Benessere, lisce e ottuse, dei Monti, Draghi, Barroso, Bertone e famigli di rango. Tre sono le cose che piacciono a me ha fatto enfaticamente sapere, in perfetta continuità con i predecessori pasticcioni e burini, ma eletti, lo zombie burocratico installato dal golpismo BCE-Napolitano-Vaticano: Marchionne, Gelmini, Letta Gianni. Come dire, i missili all'uranio sulla classe operaia, sulla formazione critica del nemico giovani, sulla legalità. I tre laureati dal "governo tecnico", un governo dal conflitto di interessi collettivo rispetto al quale quello di Berlusconi è un inghippetto delle tre carti, se ne sono subito fatti una ragione: per passare dai contratti di lavoro tra le parti allo schiavismo unilaterale, per vedere sana e salva la controriforma dell'istruzione che punta ad avallare pecore e pitbull da combattimento sociale, per sapersi salvaguardato dalle conseguenze dei suoi traffici tra P4, Bisignani, Finmeccanica e tutta una vita da maggiordomo di malviventi.

Ero a Kyoto nel novembre 1997 per il TG3, a raccontare la conferenza di 169 paesi cannoneggiati dal cambiamento climatico e avviati sulla strada della soluzione finale per il pianeta. Un accettabile ministro dell'ambiente, Edo Ronchi, apparve solo sul finale, per la firma. Nei 10 giorni di dibattito, proposte e sabotaggi, di questi ultimi fu nostro coriaceo attivista, contro il benintenzionato sottosegretario Calzolaio, l'allora direttore generale del ministero Corrado Clini. Il suo boicottaggio di un qualsiasi esito che promettesse un soprassalto di ragionevolezza ecologica veniva alla fine sacralizzato dall'intervento annichilatore del vice di Clinton, Al Gore, poi riciclatosi al servizio della redditizia Green economy e delle multinazionali che se ne fanno profitto e scudo alla devastazione perseguita. Una vita, quella di Clini, da infiltrato. Si meritava il ministero. E lo ha subito onorato riproponendo, contro il referendum trionfante, il nucleare e, visto che c'era, gli OGM. Possiamo rassicurarci: sotto di lui la guerra al dissesto idrogeologico e alla nostra salute sarà come quella per la salvezza del paese di Vittorio Emanuele III. Poi, nel governo di Supermario, ci sono comunità religiose dai grandiosi traffici internazionali e nazionali, S. Egidio (quello che aiuta a sobillare nel Darfur) e la CL dal monopolio sussidiario, cattointegralisti della manipolazione degli intelletti, rettori che al posto di Cicerone e Dante collocano Marchionne e Ichino e varie espressioni della criminalità bancaria incaricate di portare a compimento, con il consenso unanime dei purosangue della democrazia rappresentativa in versione golpista, l'esproprio inziato da Adam Smith nel '700. Eseguiranno alla lettera il dettato, dettato agli eletti dal popolo della BCE, di Bruxelles e di Wall Street, dalla cosca mondialista dei Drakula, pronti a siringarci l'ultima goccia di sangue. Pensioni, salari, diritti, salute, casa, ambiente, scuola, tutto privato, tutto a ramengo. A garantirlo, professionisti militari in ordine pubblico, mazzate, gas tossici, carcere e, se non basta, come in Egitto, fucilate. Lo spirito santo che su tutto aleggia lo forniscono i cardinali Bertone e Bagnasco, grandi estimatori, sponsor, co-pronubi, di questa "bella squadra". Restano nel solco tracciato nei millenni.

Come siamo arrivati a tutto questo? Alla stessa maniera e grazie agli stessi meccanismi che ci hanno resi passivi e complici nella distruzione della Libia. Qui, lo psico-terrorismo del baratro che sta per inghiottirci "tutti" (e che vedete intensificarsi, nonostante il fiduciario della cupola a Palazzo Chigi: proseguirà fino a saccheggio compiuto) e che ci costringe appecorinati per la grande abbuffata sodomitica dei "tecnici". Lì, la psico-guerra con l'arma di distrazione di massa del dittatore pazzo, dei civili da salvare dalla sua ferocia e riscattare alla democrazia. Ogni dubbio viene disintegrato dai media, come un ciclone spazza gli alberi dell'Alabama. Ne ho visto una esemplificazione perfetta nel programma del "liberal" sionista Gad Lerner. "L'Infedele" ad ogni regola deontologica, aveva assemblato il fior fiore del collaborazionismo domestico e del ciarpame fuoruscito da Siria e da altri paesi da consegnare alla democrazia dei califfi. Vogliamo toglierci dalla testa che questa gramigna sedicente di sinistra, i Lerner, i Fazio, i Saviano (ora spedito a Zuccotti Park per depistare la collera contro la Cupola verso la Camorra, causa della crisi), i sodali del "manifesto", Bersani, Vendola, il Revelli pronto a "baciare il rospo" che ci resterà nella strozza, tutti coloro che festanti celebrano il funerale di Berlusconi, non avvedendosi che da quella bara è riuscito, pulito, stirato, profumato, candido di bianca chioma, dotato di bon ton e di borborigmi, stavolta espressi non in triviali barzellette, ma in elegante fuffa.

L'Italia, in questi giorni di nuovo sepolta dal fango e sospesa sul vuoto, trova la sua metafora in tempi antichi, quelli così tenacemente perseguiti dai nostri potenti. In quella gabbia appesa dai magistrati del principe alle mura della cittadella, con dentro gli eretici, i sediziosi e i briganti, da estinguere per fame, sete, freddo o canicola, con il concorso finale di avvoltoi per quel che ne resta. Al di là si estende il deserto. E noi aspettiamo i tartari.

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 17:28

Fulvio Grimaldi

Fonte

Condividi questo articolo su Facebook

Condividi

 

Ultime notizie del dossier «Il Mondo Arabo in fiamme»

Ultime notizie dell'autore «Fulvio Grimaldi»

13236