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... e nemmeno Suleiman

... e nemmeno Suleiman

(11 Febbraio 2011) Enzp Apicella
Mubarak lascia il potere al vice presidente Omar Suleiman. La piazza contesta lanciando le scarpe in segno di protesta.

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Islamisti celebrano ma rivoluzionari non cedono

EGITTO. Dopo la prima fase del voto vinta dagli islamisti si apre una fase nuova ma i protagonisti veri della rivoluzione di gennaio non si fanno da parte.

(4 Dicembre 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in nena-news.globalist.it

Islamisti celebrano ma rivoluzionari non cedono

foto: nena-news.globalist.it

PAOLO GONZAGA *

Il Cairo, 04 dicembre 2011, Nena News - Il 28 Novembre hanno avuto inizio le elezioni in Egitto, una lunghissima “road-map”, quasi una maratona, sfiancante e demotivante, con un finale abbastanza scontato sin dall’inizio: la vittoria dei “Fratelli Musulmani” e quindi il successo della strategia di sfiancamento della rivoluzione e di futura divisione di potere messa in atto dall’asse “Fratelli Musulmani”-Esercito, o meglio dei suoi vertici oggi al potere, il Consiglio Supremo delle Forze Armate (Supreme Council of Armed Forcess-SCAF), presieduto da un fedele ex-collaboratore storico di Mubarak, Federmaresciallo Tantawi. I primi risultati che arrivano dalla prima tornata elettorale che comprendeva anche Alessandria e il Cairo (La capitale però è stata divisa in due parti: Cairo e Giza, la seconda voterà alla prossima tornata) confermano le previsioni.

I primi parziali risultati sembrano in linea con sondaggi e previsioni della vigilia, il partito dei Fratelli Musulmani, “Freedom and Justice Party” (FJP) risulta il primo partito, i salafiti riuniti nell’ “Alleanza Islamica” e guidati dal “Hizb an-Nur” (Partito della Luce) secondi. Pertanto un’affermazione aldilà di ogni aspettativa dei salafiti riuniti sotto le bandiere dell’”Hizb an-Nur”. Solo terzo il principale avversario di queste due formazioni islamiste, il raggruppamento laico con gli ex-comunisti del “Tajammu’”, il partito copto finanziato dal miliardario Naguib Sawiris.

Anche se sul breve periodo i risultati elettorali non sembrano diversi dal previsto e potrebbero indurre a frettolose pessimistiche considerazioni, la recente occupazione di Piazza Tahrir con le sue continue manifestazioni che vedono riunirsi milioni di persone , ha smosso la paludosa situazione politica che era stata scientemente creata dalla “contro-rivoluzione”, la strategia di lento “svuotamento” dei valori della rivoluzione, di disordine voluto e creato per lungo tempo tramite una fine quanto evidente strategia. La rioccupazione di Piazza Tahrir, e le manifestazioni da milioni di persone che i rivoluzionari organizzano almeno ogni venerdì, stanno riportando speranza di un reale cambiamento, che non avverrà certo con queste elezioni, ma che anzi, solo la nuova occupazione della piazza ha rimesso in moto. Piazza Tahrir ha anche ha avviato la costruzione di una più compatta opposizione sociale e politica che vada un domani a cambiare radicalmente le politiche neo-liberiste imposte fino ad oggi da Mubarak. Politiche neo-liberiste che certo non verranno toccate dagli islamisti che sono organici al pensiero economico dominante e fautori della società del capitalismo globalizzato, che vorrebbero al massimo “correggere” con qualche spruzzatina di carità pelosa per i diseredati, spacciandola per giustizia sociale.

Islamisti celebrano ma rivoluzionari non cedono

foto: nena-news.globalist.it

La mobilitazione per “salvare e completare la rivoluzione,” come dicono gli attivisti di Piazza Tahrir, con l’occupazione della piazza al Cairo e manifestazioni e sit-in che attraversano e hanno attraversato tutto il Paese è un avvenimento eccezionale che rimescola le carte nuovamente riguardo al futuro politico dell’Egitto. In Piazza Tahrir dal 19 Novembre, si è palesato davanti a tutti lo schema e il gioco politico compiuto in segreto dai “Fratelli Musulmani” e dal loro braccio politico “Freedom and Justice Party” (FJP) con i militari dello SCAF, si è reso evidente l’accordo preso dai vertici della “Fratellanza” con i vertici militari dello SCAF sin dai tempi dalla cacciata di Mubarak. Purtroppo il prezzo di sangue che sta pagando questa moltitudine testarda e meravigliosa, principalmente composta da generazioni di giovani che non si rassegnano a farsi derubare della Rivoluzione del 25 Gennaio, è molto alto. Ma il loro coraggio e determinazione sono straordinari e il loro urlo di rivolta ha contagiato ancora una volta l’Egitto: manifestazioni molto intense e partecipate sono avvenute e continuano ad avvenire oltre che al Cairo, anche ad Alessandria, a Suez e altre città dell’Egitto. Le piazze chiedono le dimissioni del “Mushir” Tantawi, a capo dello SCAF (Supreme Council of Armed Forces), cioè i vertici militari, la fine dello SCAF come organo di governo ed il passaggio dei poteri ad un “Governo di Salvezza Nazionale” che dovrebbe portare il Paese a elezioni Presidenziali al massimo entro Aprile 2012. Altre richieste fondamentali sono processi immediati e veloci ai responsabili delle morti e dei feriti civili, senza riguardi per livello e gradi, lo smantellamento delle forze poliziesche addette alla repressione e una loro totale ricostruzione.

La piazza rivoluzionaria è stata convocata dalla Revolutionary Youth Coalition (RYC) assieme ai giovani del “Movimento 6 Aprile”, gli stessi che lanciarono la Rivoluzione il 25 Gennaio, e subito gran parte del popolo egiziano ha risposto alla loro chiamata. La “Revolutionary Youth Coalition” fà parte della “Revolution Continues Alliance” coalizione di sinistra rivoluzionaria, legata profondamente alla storia e alle vicende della rivoluzione, infatti i partiti che ne fanno parte sono nati tutti solo dopo il 25 Gennaio 2011, e con programmi fortemente basati sulla redistribuzione delle ricchezze, in alcuni casi movimenti di base più che partiti. Per le elezioni si sono messi assieme per formare una coalizione elettorale che desse rappresentanza a chi la rivoluzione l’ha pensata e voluta per anni, ci ha lavorato dal 2006 creando l’alleanza rivoluzionaria tra studenti-giovani sottoproletari, operai dei distretti tessili e industriali, sindacalismo di base, insegnanti, operatori sociali e vasti segmenti della società egiziana.

Islamisti celebrano ma rivoluzionari non cedono

foto: nena-news.globalist.it

In Piazza Tahrir, ad Alessandria, Suez gli attori politici e sociali sono sempre questi: i primi rivoluzionari della Rivoluzione del 25 Gennaio, gli attivisti poi riuniti nella RCA che hanno saputo mobilitare ancora una volta in maniera eccezionale il meglio del popolo egiziano. Come sottolineato, uno dei risultati più importanti di questa mobilitazione è quello di aver svelato all’opinione pubblica egiziana l’ipocrisia, la doppia agenda, la poca affidabilità e trasparenza dei “Fratelli Musulmani”, che unica formazione politica, ha preso le distanze dai manifestanti. Usando le colorite e un po’ epiche espressioni della Piazza, ma anche di molti mass-media laici e della strada egiziana, si dice che l’organizzazione dei “Fratelli Musulmani” «ha tradito la Rivoluzione»”, «si è collusa tramite il suo silenzio, con i repressori in divisa» e soprattutto «si è messa contro i nostri giovani». Giovani che tendenzialmente trovano supporto in ogni famiglia, tenendo a mente che circa il 70% degli egiziani è sotto i 30 anni e le famiglie sono ancora molto allargate, con nonni, padri e madri e figli-nipoti che spesso condividono lo stesso tetto e magari con ancor ulteriori parenti.

Ed effettivamente, non aderendo e prendendo le distanze dalla piazza i FM hanno dimostrato di puntare solo al potere, di non considerare la democrazia un valore in sè hanno contribuito ad affossare l’ipotesi di un affrancamento dalla tutela militare sulla politica e istituzioni egiziane, proprio quando se avessero preso un’altra posizione, avrebbero dato un serio contributo alla nascita di una vera democrazia in Egitto, senza tutele militari o di membri del vecchio regime. I Fratelli Musulmani pagheranno questo errore, anche se vinceranno le elezioni come è sicuro, o anche se le stravinceranno. Lo pagheranno sul lungo termine, quando tutti avranno capito che seguendo il percorso infinito stabilito dallo Scaf, la democrazia si allontanerà invece di avvicinarsi. E’ molto significativo ricordare che durante uno dei giorni più caldi dell’attuale protesta,, uno dei principali leader del braccio politico della Fratellanza (Freedom and Justice Party), il dott. Mohammd al Beltagi è stato allontanato a gran voce da Piazza Tahrir, sotto una selva di ingiurie e lo slogan: «it’s too late» (E’ troppo tardi). Si è rivelato agli egiziani tutti il patto che i vertici dei “Fratelli Musulmani” avevano sigillato sin dai giorni seguenti la Rivoluzione, un patto segreto con lo SCAF , l’organismo militare che aveva teoricamente il compito di traghettare l’Egitto alla democrazia.

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foto: nena-news.globalist.it

In sostanza lo scambio si è rivelato facilmente intuibile, i “Fratelli Musulmani” consci di essere l’unica forza politico-religiosa-sociale ad avere una organizzazione tale da poter garantire una pace sociale alla nuova giunta militare, si offrivano per questo allo SCAF chiedendo in cambio una strategia concordata che li legittimasse aldilà del loro zoccolo duro, per portarli poi a vincere le elezioni e rifare la Costituzione. I vertici militari, che la Costituzione la vogliono fare anche loro, se non principalmente loro, avevano bisogno di una sponda politica quando tutto sembrava crollare, e i “Fratelli Musulmani” erano quanto di più adatto al loro scopo, proprio per le caratteristiche tipiche dell’organizzazione: tatticismo, brama di legittimazione e di potere, nessun senso democratico. Ovviamente quel patto è negato e rinnegato sia dalla Fratellanza che dallo SCAF, ma é un po’ il segreto di Pulcinella, e i fatti di questi giorni lo hanno dimostrato a tutti. Le forze politiche laiche, in particolare quelle nate dopo la Rivoluzione, sin dall’inizio avevano messo in dubbio che l’Esercito avesse veramente la volontà di lasciare un potere che detiene ininterrottamente e in modo totalitario dal 1952, tramite Nasser, Sadat, Mubarak.

Ora il Federmaresciallo, in arabo e per tutti il “Mushir” Tantawi, un militare cresciuto all’ombra dell’ex-Ra’is, a lui fedelissimo e vicino da sempre, non è sembrato sin dall’inizio a molti come un credibile “traghettatore”, ma i “Fratelli Musulmani”, dai “minbar” (pulpiti) delle numerose moschee da loro controllate, dai loro giornali e spesso tramite alleanze momentanee con i salafiti (alleati-rivali), tacciavano di “anti-patriottismo” chiunque osasse dire parola sull’operato del “Mushir”e dell’Esercito. Apparve chiaro a tutti gli attivisti sin dai primissimi giorni della cacciata di Mubarak, che la contro-rivoluzione era già in atto, e che quei “Fratelli Musulmani”, entrati in Piazza Tahrir solo quando si sentirono ben certi di non imbarcarsi in un’avventura troppo rischiosa, quando buona parte dei giochi era ormai fatta, stavano assieme all’Esercito, mettendo il cappello su una rivoluzione che non era la loro. In breve i rivoluzionari e parte del popolo egiziano sentirono che stavano scippando la loro rivoluzione, quella per cui molti erano caduti, avevano lasciato arti e occhi. Le forze contro-rivoluzionarie volevano derubarli del loro coraggio, della loro determinazione, della loro ingenua follia che li aveva spinti a osare l’impossibile e sfidare il “Faraone”, il regime trentennale di Mubarak con tutto l’apparato repressivo da lui governato.

Islamisti celebrano ma rivoluzionari non cedono

foto: nena-news.globalist.it

Ed infatti sin dai giorni seguenti la cacciata dell’ex-Ra’is, i “Fratelli Musulmani” già rinnegavano, in totale sintonia con i vertici militari, gli attivisti della prima ora e le famiglie delle vittime che pretendevano di rimanere in Piazza Tahrir a sorvegliare la transizione democratica, biasimandoli per non essersene tornati a casa buoni e senza disturbare. Ai militari non servì che quello, l’ok da parte della Fratellanza allo sgombero totale di Piazza Tahrir, e così avvenne, la Polizia bastonò e si scatenò in una vera caccia all’uomo. I “Fratelli Musulmani” applaudirono all’intervento, chiamando i giovani, le donne e i cittadini che avevano fatto la rivoluzione, «parassiti, mossi e pagati da forze straniere, venduti ad Israele» (tanto per cambiare), «disgrazia per l’economia nazionale e per la sicurezza», «nemici della Patria Egiziana, delinquenti comuni» e gentilezze simili.

Altri numerosi segnali sono arrivati poi: condanna a 3 anni via corte militare per un blogger che aveva attaccato l’Esercito e lo SCAF, la propaganda di regime che non cambiava sulle Tv di Stato, oltre 12.000 processi di fronte a corti militari in pochi mesi per partecipazione a manifestazioni e reati di opinione, quindi senza diritti di sorta, né difesa né comunicazioni con l’esterno, a civili, blogger, militanti…un numero tale da superare nettamente il totale dei processi analoghi durante 30 anni di Mubarak. Mubarak, la sua famiglia e la sua gang, molti militari, ministri e faccendieri corrotti vengono nel frattempo processati di fronte a tribunali civili con tutte le garanzie e gli onori.

E poi la transizione continuamente rallentata, accidentata, rinviata l’incancrenirsi della situazione politica, la mancanza di sicurezza creata appositamente, e i criminali ( i “baltagya”) mandati dall’Esercito e dalla Polizia nei quartieri a spadroneggiare e terrorizzare senza ostacoli da parte di chi avrebbe dovuto mantenere l’ordine mentre nel frattempo i militanti politici e sindacali venivano arrestati. E ancora: la legge d’emergenza, la cui abolizione era stata la prima richiesta al regime di Mubarak, ripristinata dallo SCAF, la Polizia uguale a prima, solo più arrogante e arroccata nei Commissariati a far nulla, gli stessi prepotenti di sempre, nemici della popolazione che dovrebbero invece servire. Recentemente l’arresto di un altro blogger ed attivista molto famoso, ‘Alaa Abd el Fattah, con surreali accuse di omicidio di un militare, a causa del suo impegno nel documentare uno dei momenti di repressione cieca, i vergognosi incidenti davanti all’edificio Tv.

Era comunque inevitabile si arrivasse a questo punto, l’Esercito egiziano è anche una grande corporazione con tutta una serie di attività extra, che portano introiti e garantiscono un benessere esagerato ai militari di carriera, ora l’ultima goccia è stata la pretesa dei militari di influire sulla Costituzione, nella cornice dei “principi pre-costituzionali”, con cui l’Esercito punta a mettere nero su bianco il suo ruolo di “tutore” del Paese. Attraverso i ““principi pre-costituzionali” i militari pretendono l’autonomia di fissare e gestire il budget militare in totale solitudine e in modo totalmente slegato dal parlamento e dalla politica, e allo stesso tempo si auto-conferiscono l’autorità di scegliere del tutto arbitrariamente la maggior parte della composizione della Commissione che dovrà decidere della Nuova Costituzione, una commissione in cui gli attori politici usciti dalle elezioni saranno solo una piccola parte dell’organismo, in gran parte appunto nominato da loro, per redigere la Costituzione. Lo SCAF è l’espressione di un esercito spregiudicato, disposto a tutto pur di non cedere quell’enorme potere accumulato, che gli ha consentito di esprimere i primi tre presidenti dopo la caduta della monarchia nel 1952 e di accentrare potere e privilegi, ed è proprio l’opposto dei quell’esercito amico del popolo descritto nella retorica nazionalista egiziana.

Riusciranno gli egiziani a comprendere questa importante verità e a non fidarsi più né dell’esercito né dei “Fratelli Musulmani” o delle tentazioni di chiusura salafite, conquistando per la prima volta una vera libertà? Se l’opposizione sociale e politica che si sta rafforzando con la nuova Piazza Tahrir sarà capace di diventare davvero un’area culturale capace di offrire soluzioni al neo-liberismo e riuscirà gradualmente a farsi maggioranza nel paese, la vittoria elettorale degli islamisti e la prepotenza militare fra pochi anni saranno solo un brutto ricordo. Nena News

*Autore del saggio “Islam e democrazia – i Fratelli Musulmani in Egitto”, ed. Ananke, Torino, Maggio 2011.

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