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Unità latinoamericana

Dopo l’ALBA , la Unasur e la Banca del Sud, nasce la Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi

(5 Dicembre 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in ciptagarelli.jimdo.com

Unita' latinoamericana

foto: ciptagarelli.jimdo.com

CELAC: shh, stiamo costruendo il nuovo mondo

Parlare di una Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi significa cominciare a farsi carico della sovranità regionale, lasciandosi indietro il “protezionismo” di Stati Uniti e Canada, coscienti che le vecchie ricette che ci hanno imposto da 500 anni per noi hanno significato solo dolore e sofferenza per le grandi masse: esclusione sociale e povertà mentre i paesi centrali si appropriavano delle nostre risorse naturali.

Benvenuta la CELAC, questa decisione di unirci e di trovare soluzioni comuni, anche se non tutti i governi della regione hanno lo stesso segno ideologico e ce ne sono alcuni che vogliono continuare a scommettere sulla dipendenza dall’impero.

La creazione di uno schema di integrazione politica, sociale, culturale ed economica implica la creazione di meccanismi sovrani di autodeterminazione nell’uso delle materie prime e delle risorse naturali (la zona è la maggiore riserva d’acqua del mondo), che inciderà direttamente sul rovesciamento del controllo e del dominio che gli USA esercitano sui nostri territori.

Cominciamo a vederci con i nostri stessi occhi e non, come abbiamo fatto per più di cinque secoli, con gli occhi degli stranieri. Vederci con i nostri stessi occhi significa recuperare la nostra memoria e cercare di soddisfare le necessità dei nostri compatrioti prima delle esigenze degli organismi internazionali. Il popolo che non sa da dove viene non può sapere dove va e, quindi, il destino gli viene sempre imposto da fuori.

E’ una lunga strada quella di capire che integrazione non significa solo interscambio commerciale o negoziazione dei dazi doganali. E forse il passo iniziale è stato fatto a Mar del Plata nel 2005, quando noi latinoamericani abbiamo detto NO all’ALCA. E’ anche vero che prima ancora i movimenti sociali riuscirono a portare al governo (e alcuni anche al potere) governanti impegnati con i loro popoli e non con le banche creditrici – tante volte causa di emorragie – degli organismi internazionali.

E’ una lunga strada che comincia assumendo un cambio storico: passiamo dalla tappa della resistenza alla tappa della costruzione. Abbiamo già una laurea in denunciologia e lamentazione, ora dobbiamo creare, inventare, cercare le strade per nuove teorie, programmi, piani e nuove vie che sbocchino in società più giuste, più eque. Sono più di 500 anni che paghiamo i piatti rotti del disastro capitalista. Ma per questo dobbiamo per prima cosa cercare la liberazione. E parlo della liberazione dei 1.400 centimetri cubici dei nostri cervelli, coscienti che i tanti paradigmi che ci hanno imposto quali verità assolute non sono altro che cretinate per mantenerci divisi e sottomessi. Cominciamo a formattare il nostro disco rigido.

Il brillante accademico francese Remy Herrera scrive: “L’estrema gravità della crisi che colpisce attualmente l’Europa, in particolare la zona euro davanti all’esplosione dei debiti cosiddetti “sovrani” di Grecia e Italia, tra le altre cose ci porta a farci una domanda: non è che i popoli europei hanno una lezione da imparare dalle esperienze vissute da certi paesi del Sud, lezioni che vengono dalle strategie anticrisi che sono state adottate là? E finora sono state le ricette del Nord, con pretesa di validità universale, quelle che sono state rifilate abitualmente alle economie del Sud – anche in quei, molto rari, casi in cui convenivano anche ad esso. Ma quei tempi sono cambiati“, ricorda.

Le soluzioni neoliberiste di austerità generalizzata e di smantellamento dei servizi pubblici proposte oggi (o, meglio, imposte) per cercare di salvare il capitalismo in crisi e riattivare la crescita, sono assurde; costituiscono il mezzo più sicuro per aggravare ancor più questa crisi e per spingere con maggiore rapidità il sistema verso il precipizio.

Lo hanno detto chiaramente le presidentesse sudamericane: l’argentina Cristina Fernàndez Kichner nel G-20 e la brasiliana Dilma Roussef quando ha precisato che “in Brasile abbiamo occupazione mentre in Europa cresce la disoccupazione: non permetteremo che esportino l’occupazione in altri paesi”, dopo aver sottolineato che il Brasile ormai non riceve più istruzioni sulla politica economica dagli organismi internazionali.

Oggi la nostra regione è l’unico spazio al mondo che ha resistito alla crisi economica mondiale del capitalismo, che ha raggiunto il più grande attivismo globale anticapitalista e antimperialista con gli “indignati” di oltre 75 paesi, tra cui Cile e Colombia nonostante seguano ancora il copione neoliberista e imperiale.

Molti già avvisano che la CELAC sarà un obiettivo militare degli Stati Uniti, considerato che Obama (alla vigilia del suo tentativo di essere rieletto) non vorrà essere ricordato come il presidente che ha perso il suo cortile.

Non tutti ballano allo stesso ritmo, è vero. Cinque dei 33 pesi – Panamà, Messico, Cile, Colombia e Costa Rica – hanno governi che continuano ad essere legati dal cordone ombelicale con Washington. Perciò si tratterà anche di un foro per il dibattito di idee, per l’espressione dei consensi e delle differenze. Per cinque secoli ci hanno diviso per dominarci. E’ ora di ricercare il destino comune.

Bisogna cominciare a definire che cosa si vuole con la CELAC. Il presidente ecuadoriano Rafael Correa ha gettato sul tavolo le sue carte: deve essere un foro per la risoluzione dei conflitti regionali che sostituisca l’OEA, perché sappiamo già che non li risolveranno né il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite né, tantomeno, altre istituzioni.

I paesi della CELAC sommati insieme oggi rappresentano 6,3 bilioni di dollari con il loro Prodotto Interno Lordo (PIL), cosa che li trasformerebbe nella terza potenza economica mondiale, nella principale riserva petrolifera (circa 338 mila milioni di barili di petrolio), nella terza produttrice di energia elettrica e nella principale economia produttrice di alimenti, dato che le principali quattro economie all’interno della CELAC sono quelle di Brasile, Messico, Argentina e Venezuela.

Unasur avanza nell’architettura finanziaria

Il Consiglio Sudamericano dell’Economia e delle Finanze ha delineato il documento che contempla come portare avanti i possibili meccanismi finanziari per sostituire il dollaro quale moneta di pagamento (esperienza che già si realizza tra Argentina e Brasile, e tra i paesi dell’ALBA, con il Sucre), e un piano di infrastrutture unitarie quale strumenti per affrontare gli effetti della crisi finanziaria internazionale.

Allo stesso modo si portano avanti proposte concrete per sostenere il commercio interregionale che apportano valore aggiunto aggregato e quindi occupazione e benessere ai popoli della regione.

Sono stati messi in opera 31 progetti, che richiederanno un investimento di 16.000 milioni di dollari. Fa parte del tema anche la coordinazione nell’uso delle riserve e nella messa in funzione del Banco del Sur, che sarà operativo non appena il Senato uruguaiano approverà il documento costitutivo dell’entità, questo previsto - secondo il presidente José Mujica – prima della fine dell’anno.

L’America Latina vive un rinascimento politico, economico e culturale senza precedenti. Il Sudamerica si presenta oggi come esempio al mondo” ha detto la colombiana Maria Emma Mejìa, segretaria generale dell’Unasur, che ha sostituito l’ex presidente argentino Néstor Kirchner nell’incarico.

La coordinazione delle politiche economiche fra i membri della Unasur fa parte della strategia regionale per far fronte alla crisi internazionale – con epicentro ora in Europa – e delineare strumenti di azione congiunti per evitare qualsiasi attacco economico.

E’ un gran bel segnale per affrontare la crisi sistemica del capitalismo del Nord e costruire formule di sviluppo economico per la regione. Nell’attuale momento del bicentenario, stiamo parlando di una nuova indipendenza” ha detto il cancelliere venezuelano Nicolàs Maduro.

Un altro dei temi importanti ha a che vedere con la possibilità di coordinare l’uso delle riserve a livello regionale, come fondo anticiclico, che raggiungerebbero l’importo di 600.000 milioni di dollari. L’obiettivo è contare su uno strumento che possa aiutare i paesi membri in caso di “speculazioni finanziarie” sulle loro monete. “Esistono tre atteggiamenti differenti sulla proposta di coordinare la gestione delle riserve. Quindi questo tema resterà nel consiglio tecnico” ha sostenuto il ministro argentino Amado Boudou, aggiungendo che “è importante mostrare che nella regione c’è consenso per affrontare una crisi che avrà un impatto globale”.

L’altro strumento di cui si è parlato è la Banca del Sud. Questa entità è stata creata dai Parlamenti di Argentina, Bolivia, Venezuela e Brasile. L’Uruguay sta discutendo l’adesione al progetto. Una volta approvato, l’entità regionale avrà a disposizione più del 60% del suo capitale costitutivo, per cui potrà entrare in funzione. L’iniziativa prevede l’integrazione di un capitale totale di 20.000 milioni di dollari.

E scusatemi, ma con queste notizie – guardando il mondo dal balcone del Sud – mi sento molto orgoglioso di essere un latinoamericano, di star rendendo realtà la parola d’ordine che un altro mondo è possibile …. se lavoriamo tutti insieme, dal basso.

(*) Uruguaiano-venezuelano, A.A. è giornalista e docente, oltre ad essere il fondatore di TeleSur e direttore dell’Osservatorio Latinoamericano su Comunicazione e Democrazia.

da:surysur.net, 28.11.2011
(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

Aran Aharonian

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