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Allarme Iraq, trasferimento forzato delle minoranze

Ad un mese dalla partenza delle truppe USA da un Paese alla ricerca di stabilità politica, le minoranze etniche e religiose subiscono intimidazioni e discriminazioni quotidiane: attacchi, rapimenti, omicidi e difficoltà nell’accedere ai servizi pubblici. Un’insicurezza che spinge molte comunità ad andarsene

(8 Dicembre 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in nena-news.globalist.it

Allarme iraq, trasferimento forzato delle minoranze

mandeani in preghiera sul fiume Tigri alle porte di Baghdad - foto: nena-news.globalist.it

EMMA MANCINI

Roma, 8 dicembre 2011, Nena News (nella foto, mandeani in preghiera sul fiume Tigri alle porte di Baghdad) – Trasferimento forzato, omicidi, rapimenti, discriminazione nell’accesso ai servizi pubblici. L’Iraq, a otto anni dalla caduta di Saddam Hussein e a meno di un mese dalla partenza delle truppe americane, è un pentola di violenza in ebollizione. A farne le spese le minoranze etniche e religiose, un segmento che oscilla tra il 3 e il 5% dell’intera popolazione.

Se la stragrande maggioranza degli iracheni si divide tra sciiti, sunniti e curdi, una piccola fetta di popolazione è formata da comunità di armeni, caldei, mandei, siriaci, circassi, iracheni di colore, turkmeni, ebrei, palestinesi. Comunità etniche e religiose sotto attacco, target di violenze e intimidazioni e a concreto rischio di trasferimento forzato.

A tracciare il quadro preoccupante di un Paese ancora profondamente instabile a livello politico e sociale, è l’ufficio di informazione delle Nazioni Unite IRIN. “C’è la sensazione che l’Iraq si stia lentamente muovendo verso una maggiore stabilità – ha spiegato Chris Chapman, presidente del programma di prevenzione al conflitto dell’organizzazione Minority Rights Group International, nonché redattore del report di IRIN – ma le minoranze sentono di essere escluse dalla vita pubblica e che il nuovo Iraq non è destinato a loro: non è il loro Paese, non sono benvenute”.

Ad allarmare è l’effetto concreto che tali discriminazioni stanno provocando. Se le minoranze etniche e religiose rappresentano non più del 5% della popolazione irachena, secondo il rapporto sono il 10% degli sfollati all’interno del Paese e il 22% dei rifugiati all’estero.

“In molti casi il trasferimento forzato sta decimando le comunità al punto che rischiano di scomparire dalla loro ancestrale terra d’origine”. Se in molti lasciano l’Iraq a causa degli attacchi suicidi (il più fatale dei quali risale all’ottobre 2010, quando a Baghdad morirono 56 persone dopo l’esplosione in una chiesa, attacco che spinse circa mille famiglie a lasciare la città), sono più sottili e meno visibili le forme più efficaci di discriminazione e intimidazione contro le minoranze.

In primo luogo, l’accesso ai servizi pubblici. Secondo il report di MRG, le minoranze in Iraq incontrano serie difficoltà ad accedere al mercato del lavoro, all’educazione e ai servizi sanitari. Una situazione che si riscontra per lo più nelle aree che il governo federale e il governo regionale curdo si stanno disputando, a Nord del Paese. Alcuni esempi: le comunità presenti nella zona non hanno la possibilità di accedere ai servizi scolastici nella loro lingua madre, mentre in altri casi sono gli attacchi terroristici a colpire. Lo scorso luglio l’aggressione ad un villaggio in Kurdistan ha lasciato senza acqua 12mila persone; le autorità non sono intervenute per risolvere il problema dell’accesso ad un bene fondamentale per la sopravvivenza della comunità.

Allarme iraq, trasferimento forzato delle minoranze

Attacco terroristico ad una chiesa di Baghdad nell'ottobre 2010 - foto: nena-news.globalist.it

I dati parlano chiaro: un report di 40 pagine, “Le minoranze in Iraq: partecipazione alla vita pubblica”, basato su 331 interviste con i membri di undici comunità, mostra come la maggioranza delle minoranze si senta totalmente tagliato fuori dal resto del Paese. La metà degli intervistati ha dichiarato di non sentirsi al sicuro nel fare visita a luoghi di preghiera, l’87% di ritenere che l’educazione scolastica non porti ad alcun miglioramento nelle proprie condizioni di vita, mentre il 38% di aver subito discriminazioni nell’accesso al mercato del lavoro.

“Tale marginalizzazione non esisteva prima del 2003 – ha spiegato Fawzia Al-Attia, professore di sociologia all’Università di Baghdad – Ora l’affiliazione politica, religiosa e etnica è divenuta il pilastro, il punto di riferimento nella formazione del governo. Questo ha condotto alla competizione e al conflitto, non solo contro le minoranze, ma anche all’interno delle etnie di maggioranza: politicizzare una tribù o una comunità è diventato una forma di cultura in Iraq”.

Una cultura politica, utile a cementare un Paese scosso da settarismi e infiltrazioni di movimenti militanti islamici e spaventato da possibili instabilità provenienti dalla vicina Siria, anch'essa alle prese con seri conflitti settari interni. Una cultura che si concretizza in violenze fisiche: attacchi contro chiese e contro le sedi di partiti di minoranza, omicidi e rapimenti, aggressioni alle attività commerciali. Come riportato dal Report 2011 di Human Rights Watch, in Iraq “le violenze contro le minoranze hanno preso di mira le infrastrutture sociali delle loro comunità, tanto da insinuare nelle vittime e negli altri membri il timore di portare avanti normalmente la propria vita quotidiana”.

A farsi strada è un senso di insicurezza e precarietà che ha spinto parte di queste comunità ad abbandonare il Paese d’origine, un Paese occupato da sunniti, sciiti e curdi. Una situazione preoccupante che il governo di Baghdad nega. Attraverso il portavoce Ali Al-Moussawi, l’esecutivo ha rispedito al mittente le accuse di discriminazione e repressione: priorità del governo iracheno è quello di garantire ad ogni comunità libertà di culto e di espressione.

“Gli attacchi terroristici non colpiscono solo le minoranze, ma tutto l’Iraq. I terroristi non fanno differenze – ha spiegato Al-Moussawi – Siamo orgogliosi delle minoranze in Iraq e non le abbandoneremo a loro stesse, perché le consideriamo la prova della coesistenza pacifica nel Paese, della sua civilizzazione e della diversità della sua società”. Nena News

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