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Sosteniamo la lotta dei lavoratori di Melfi

(27 Aprile 2004)

Quando 10 anni fa la Fiat - usufruendo del denaro pubblico con la scusa degli investimenti nelle zone di crisi del paese - aprì lo stabilimento di Melfi, sperava di riuscire ad evitare quello che sta avvenendo in questi giorni.
Sperava di costruire uno stabilimento, che per organizzazione del lavoro, tecnologia e assenza di conflitto sociale rappresentasse un modello non solo per il paese, ma per tutto il mondo capitalistico “avanzato”.

Con una politica che venne definita del “prato verde” la Fiat selezionava i lavoratori persino su base psicologica per cercare di eliminare quelli che sembravano più inclini ad organizzarsi sindacalmente e politicamente, mettendo in atto forme di intimidazione in vero e proprio stile mafioso verso chiunque osasse criticare l’operato dell’azienda. Per un certo tempo l’unico sindacato ammesso a Melfi era il Fimsic (emanazione del Sida di Valletta, già amministratore delegato fascista della Fiat degli anni ’50), un “sindacato giallo” pagato direttamente dalla Fiat.

Dopo 10 anni i lavoratori di Melfi hanno messo fine all’illusione dei vertici Fiat; hanno iniziato una lotta dura contro un piano industriale che pretende di risollevare l’andamento del gruppo attraverso la chiusura di stabilimenti come Arese e la schiavizzazione dei lavoratori degli altri stabilimenti.

Dopo 7 giorni consecutivi di picchetto davanti ai cancelli i lavoratori di Melfi sono stati caricati da polizia e carabinieri. Pisanu, Fini, Sacconi… con la scusa di far entrare qualche decina di lavoratori hanno dichiarato la loro intenzione di attaccare i lavoratori e di impedire i picchetti. Lo Stato dichiara guerra ai lavoratori ma deve sapere che i lavoratori non si faranno spaccare la testa senza reagire e che la solidarietà si manifesterà di mille modi in tutto il paese.

Ma perché questa violenza? Certo, per la determinazione e la combattività dei lavoratori, ma anche per un altro motivo e cioè per il fatto che la lotta dei lavoratori di Melfi ha messo a nudo il punto debole della Fiat.
In una organizzazione del lavoro portata ai massimi livelli di efficienza produttiva, senza scorte di magazzino per non avere spese fisse di impianto e capitali immobilizzati, il blocco di Melfi fa bloccare a catena tutta la filiera produttiva Fiat. Se si ferma Melfi si fermano anche altri stabilimenti e persino la catena della distribuzione.
Questo vuol dire, malgrado le ristrutturazioni e i ricatti, i lavoratori hanno oggettivamente una grande arma in mano che possono usare per far valere i propri diritti e le proprie sacrosante rivendicazioni.

Morchio, amministratore delegato Fiat, questo lo sa bene e cerca di ricattare i lavoratori accusandoli, con i loro picchetti, di provocare la messa in libertà dei lavoratori di altri stabilimenti; cerca di mettere i lavoratori gli uni contro gli altri, ma da tutta Italia, da tutto il gruppo Fiat e non solo, si estende la solidarietà.
Del resto non va dimenticato che già al tempo della lotta dello stabilimento di Termini Imerese i lavoratori siciliani erano andati a Melfi e che sin dall’inizio di questa lotta hanno partecipato i lavoratori di Arese.

I lavoratori di Melfi hanno un evidente potere contrattuale e in questo assomigliano un po’ ad un’altra importantissima lotta che si è sviluppata nell’ultima fase e cioè la lotta degli autoferrotranvieri (a partire dall’ATM) che operando in un settore nevralgico per il capitalismo come quello dei trasporti possono bloccare metropoli intere.

La lotta dei lavoratori dell’Alfa di Arese (che con una combattività esemplare hanno strappato un accordo che sembrava impossibile ancora qualche mese fa), di Termini Imerese, di Melfi, di Mirafiori, di Pomigliano d’Arco, di Termoli, della New Holland… dimostra che, malgrado mille difficoltà, esiste la possibilità di resistere efficacemente.

I lavoratori del gruppo Fiat e gli autoferrotranvieri rappresentano, in questa fase, le punte più avanzate della lotta dei lavoratori nel paese ed entrambe, pur nella loro diversità, possono rappresentare lo stimolo per un rilancio su vasta scala della lotta di classe dopo decenni di arretramento e di sconfitte, naturalmente, a patto che ciascuno di noi faccia la sua parte nel proprio territorio e nei propri luoghi di lavoro.

Per questa ragione dobbiamo sostenerli in tutti i modi, estendere la solidarietà nei loro confronti, far conoscere le loro rivendicazioni. A tutti coloro che si mettono contro i lavoratori (a partire dalle organizzazioni padronali CISL e UIL) va tutto il nostro disprezzo e il nostro impegno cancellarli dai luoghi di lavoro per ricostruire un sindacalismo di classe che faccia della lotta, della unità nella lotta, del protagonismo attivo dei lavoratori i suoi punti di riferimento.

Massa, 28 aprile 2004

PRIMOMAGGIO
Foglio di collegamento tra lavoratori, precari e disoccupati della zona apuo-versiliese

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