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Addio compagne

Addio compagne

(23 Febbraio 2010) Enzo Apicella
Il logo della campagna di tesseramento del prc 2010 è una scarpa col tacco a spillo

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    La tempesta della BCE spazza via le alleanze “democratiche”. E ora?

    Bastonare il cane che affoga…

    (16 Dicembre 2011)

    anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.comunistiuniti.it

    La tempesta della BCE spazza via le alleanze “democratiche”. E ora?

    foto: www.comunistiuniti.it

    In queste settimane abbiamo potuto constatare con attenzione l’evoluzione del dibattito congressuale di Rifondazione Comunista e del PdCI.

    Gli esiti di questi congressi ci hanno visto parte “interessata”, perché siamo fermamente convinti che per poter ricomporre la diaspora verso la ricostruzione di un partito comunista degno di questo nome oggi nessuno è autosufficiente e ogni energia disponibile è importante. D’altra parte ci siamo sempre distinti per non cercare di perseguire questo obiettivo con nuove “microscissioni” e crediamo fermamente che vada ricucito innanzitutto il dibattito e la strategia politica tra i comunisti ovunque oggi organizzativamente collocati. Pensiamo, infatti, che ci siano oggi troppi partiti comunisti e non troppo pochi da pensare di risolvere il problema con la costruzione dell’ennesimo.

    Per quanto riguarda il congresso di Rifondazione abbiamo sostenuto apertamente l’ipotesi politica, tra quelle che si sono confrontate, più in sintonia coi temi che poniamo da mesi al centro del dibattito nel movimento comunista: la terza mozione. Questa area di dibattito politico, senza i mezzi organizzativi delle correnti storiche e in maniera totalmente autoconvocata, ha raggiunto un risultato più che dignitoso e soprattutto ha dimostrato che esiste ancora lo spazio anche in quel partito per sostenere un processo di riaggregazione dei comunisti fuori dalle alleanze governiste col centrosinistra e fuori dalle compatibilità imposte dal capitalismo.

    Con moltissime di queste compagne e compagni abbiamo lanciato a Livorno, all’inizio di questo anno, un laboratorio politico unitario che dovrà occuparsi di collegare questo spazio anche all’esterno del PRC e di rafforzarlo ulteriormente all’interno.

    La posizione che si è affermata al congresso tuttavia merita qualche riflessione.

    Nel PRC vi è da Chianciano un’ampia ma composita maggioranza (formata dalla convergenza di almeno 4 anime differenti) che ha presentato al congresso di Napoli una mozione incentrata sulla “alleanza democratica” con il PD; l’unica cosa sulla quale, probabilmente, questo gruppo dirigente è oggi unito sia al suo interno che col gruppo dirigente del PdCI.

    Individuando come contraddizione principale il pericolo del “fascismo” berlusconiano, si trattava di sacrificare ancora una volta l’autonomia e mettere in piedi, per la terza volta dopo il fallimento della partecipazione ai due governi Prodi e in condizioni oggettive ancora più difficili, una sorta di nuovo CLN.

    Negli anni passati, questa linea politica - presentata come obbligata per parlare alle larghe masse lavoratrici, assecondando la propensione al “voto utile” in un contesto bloccato dal sistema politico bipolare - aveva già portato i comunisti sotto il 2%. E questo, a nostro avviso, anche perché i comunisti in parlamento si erano dimostrati incapaci di incidere sulle scelte concrete dei governi di centrosinistra e di offrire uno sbocco credibile alle istanze del vecchio e del nuovo mondo del lavoro, non ottenendo per esso nessun risultato concreto e nessun avanzamento nei rapporti di forza nei confronti del padronato. Anzi non riuscendo a impedire neanche una delle controriforme che le classi dominanti hanno fatto passare in questi anni, oltre che per mano di Berlusconi, anche grazie ai governi di centrosinistra (guerre, precarietà, scippo del TFR, leggi discriminatorie nei confronti degli immigrati, smantellamento dell’istruzione pubblica, privatizzazioni).

    Al di là di alcune autocritiche dell’attuale segretario del PRC su quell’esperienza politica, cosa sicuramente da rimarcare, con il rilancio di una “alleanza democratica” col PD sembra mancare la capacità di trarre le conseguenze dagli insegnamenti di questo recente passato e di sviluppare un’adeguata analisi della fase e dei suoi drammatici rapporti di forza.

    Ecco però che arriva in soccorso del PRC la dura realtà: nemmeno il tempo di aprire il dibattito congressuale e la mozione Ferrero-Grassi diventava obsoleta, perché il colpo di Stato della Commissione europea e della Bce, con la sponda del presidente della Repubblica Napolitano, dopo aver creato uno stato d’eccezione finanziario e aver messo a rischio i risparmi e i mutui di milioni e milioni di cittadini, abbatteva il Cavaliere per insediare Mario Monti. Questo con l’obiettivo esplicito di attuare quei provvedimenti neoliberisti (in primis la controriforma delle pensioni e a breve la libertà di licenziamento) che né Berlusconi, né qualsiasi altro governo “politico” avrebbe probabilmente potuto realizzare in Italia. Quei provvedimenti, cioè, volti a tamponare temporaneamente la crisi di accumulazione del capitale tramite un ulteriore trasferimento di reddito dalle classi subalterne a quelle dominanti.

    In un sol colpo il capitalismo finanziario ha demolito le architravi politiche della strategia principale che i gruppi dirigenti di PRC e PdCI avevano pensato per rilanciare il ruolo dei comunisti, oggi purtroppo molto marginale. Svanito Berlusconi e la conseguente prospettiva del governo di centrosinistra e, soprattutto, svanita la prospettiva di salvare la democrazia mediante l’alleanza con un partito, il PD, che invece sta contribuendo pesantemente a metterla in soffitta.

    In realtà, che la prospettiva fosse questa, e che l’anomalia Berlusconi fosse ormai inservibile, era piuttosto chiaro già dopo il fallimento della spallata al governo del 14 dicembre 2010. Al di là della fragile tenuta temporanea del ducetto di Arcore mediante la compravendita di parlamentari, i segnali erano chiari. I cosiddetti “poteri forti” stavano pensando da tempo a un cambio di strategia utilizzando come scusa gli scandali personali del decadente presidente del Consiglio. Confindustria lo aveva cominciato a scaricare, la trojka UE-BCE-FMI lo teneva nel mirino da tempo, il Vaticano non lo sosteneva più. Questo, insieme alle difficoltà economiche e alla crescita di malessere sociale nel paese, ha provocato uno sgretolamento del suo blocco di riferimento evidenziato prima dall’abbandono dei fascio-futuristi di Fini e poi con la ripresa delle bizze e dei distinguo della Lega.

    Ciò nonostante, la grande maggioranza dei dirigenti di PRC e PdCI consideravano che mantenere un rapporto di comunicazione con il PD, e realizzare con questo partito un’alleanza elettorale per tornare in parlamento, fosse un obiettivo talmente vitale da non favorire un’attenta e spassionata analisi di quanto stava avvenendo sul piano politico-economico.

    Il giubilo nazionale seguito alla caduta del governo Berlusconi, da questo punto di vista, si è rivelato effimero: con buona pace dell’anti-berlusconismo volgare, al pericoloso quanto goffo parvenu che non sapeva tenere in mano coltello e forchetta sarebbero subito succeduti i ben più raffinati squali della finanza e delle banche, con il solo scopo di incrementare la redistribuzione della ricchezza verso l’alto e di condurre con maggiore efficacia il conflitto di classe della borghesia proprietaria, dedita alla faticosa incombenza del taglio delle cedole, contro il lavoro dipendente e parasubordinato. In questo mutato contesto, il PRC ha riaggiustato la linea in corsa, dichiarando la propria opposizione al governo Monti ed esprimendo un certo disappunto verso il PD che ha fatto saltare l’ipotesi di nuove elezioni e di possibili alleanze elettorali a sinistra.

    Le ipotesi di “Costituente dei beni comuni” e il sostegno, fortemente voluto soprattutto dalla base, al movimento “No Debito” lanciato da Cremaschi possono essere una buona piattaforma di rilancio se non le si relegano nell’alveo delle eccentricità alle quali Rifondazione ci ha abituato dai tempi di Bertinotti senza che avessero conseguenze pratiche.

    Quello che in realtà conterà sarà la nuova collocazione politica del partito. Prevarrà lo spostamento deciso verso l’ipotesi di costruzione di un polo alternativo all’intero sistema bipolare con altre forze comuniste ed anticapitaliste? Oppure prevarr

    Comunisti Uniti

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