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Israele in una guerra culturale

La destra ha governato per un lungo periodo e ora, al suo 35° anno di gestione del potere e al 64° dalla fondazione dello Stato, si è posta il compito di rimodellare la fisionomia del paese senza quasi trovare opposizione.

(17 Dicembre 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in nena-news.globalist.it

Israele in una guerra culturale

foto: nena-news.globalist.it

GIDEON LEVY

Roma, 16 Dicembre 2011 (Nella foto, il giornalista israeliano Levy) - Chiunque dica che si tratta di poche leggi irrilevanti porta la gente fuori strada; chiunque sostenga che è un procedimento reversibile ci vuole imbrogliare; chiunque affermi in modo rassicurante che è una fase passeggera sta tentando di ingannarci. Anche chi pensa che si tratta solamente di un tentativo di cambio di regime si illude in modo grave.

Ciò a cui assistiamo è una g-u-e-r-r-a.

In Israele quest’autunno, niente di meno, è esplosa una guerra culturale e sta interessando molti fronti più in profondità di quel che appare. Non si tratta della messa in discussione solo della forma di governo, per quanto importante esso sia, ma anche del carattere stesso dello Stato. Sta per cambiare il nostro modo di vita, dalla culla alla tomba. Per questa ragione potrebbe essere la più importante battaglia nella storia del paese sin dalla Guerra di Indipendenza.

Abbiamo sempre saputo che pochi anni senza una minaccia esterna avrebbero potuto alterare il delicato equilibrio. Quando le armi tacciono i demoni ruggiscono. Ma nessuno ha previsto una simile esplosione di demoni di ogni specie, e tutti in un solo momento. L’attacco all’ordine attuale è una guerra aperta su ogni fronte; uno tsunami politico, un’alluvione sulla cultura e un terremoto sociale e religioso, tutti ancora allo stato nascente.

Chi dice che è tutta un’esagerazione prova a cullarti per farti chiudere gli occhi. D’ora in poi le sconfitte e le vittorie determineranno il corso degli eventi: alla fine ci troveremo di fronte a un paese diverso. La pretesa di essere una democrazia illuminata occidentale sta lasciando il posto, con una velocità impressionante, ad una realtà diversa- quella di un paese mediorientale oscurantista, razzista, ultranazionalista e fondamentalista. Non abbiamo riposto le nostre speranze in questo tipo di integrazione nella regione.

Il feroce attacco combinato è molto efficace. Colpisce le donne, gli arabi, gli elementi di sinistra, gli stranieri, la stampa, il sistema giudiziario, le organizzazioni dei diritti umani e chiunque sia favorevole a una rivoluzione culturale. Tutto sta per cambiare: la musica che ascoltiamo, la televisione che guardiamo, i trasporti su cui viaggiamo, i funerali a cui partecipiamo. L’esercito sta cambiando, i tribunali sono in subbuglio, sulla condizione della donna piovono pietre a raffica, gli arabi sono spinti dietro a un muro e i lavoratori immigrati sono costretti a stare in campi di concentramento.

Israele si sta barricando dietro sempre più muri e fili spinati come se dicesse: al diavolo il mondo.

Non esiste una sola mano che, mescolando questa pozione bollente e velenosa, diriga; molte mani muovono la rivoluzione, ma hanno tutte qualcosa in comune: l’aspirazione a un Israele diverso, a uno Stato che non sia occidentale, non aperto, non libero e non laico. La componente ultranazionalista fa passare le leggi antidemocratiche e neofasciste; la mano Haredi [gruppo ultraortodosso, n.d.r.] mina la parità fra i sessi e le libertà individuali; quella razzista agisce contro i non ebrei; i coloni intensificano la presa non solo sui territori occupati ma anche in profondità su Israele; e un’altra mano interferisce sull’educazione, la cultura e sulle arti.

Non puoi vedere la foresta per la presenza degli alberi, e la foresta è buia e densa. Prendiamo come esempio il giornale di venerdì. La pagina della cronaca di Haaretz riportava alcuni di questi alberi marci: una dozzina di manager di Sderot ha cominciato a chiedere ai propri lavoratori di vestirsi modestamente; a Mea She’arim i seggi elettorali sono divisi per sesso; ebrei non osservanti a Gerusalemme sono stati invitati a mettersi la kippa sul luogo di lavoro; la scuola Palmach di Carmiel è stata trasformata in una scuola confessionale: discriminazioni verso le ragazze sefardite nelle scuole di Gerusalemme, Modi'in Ilit, Betar Ilit e Bnei Brak; abolizione di borse di formazione per medici palestinesi come condizione di un abbassamento delle tasse; il nuovo piano del governo per combattere l’immigrazione illegale. E, come tocco finale, il ministro degli esteri ha dato il suo appoggio all’elezione di Putin in Russia. Tutto in un solo giorno, un giorno qualunque.

Lo Stato si è formato nel ‘48 e sta cominciando nel 2011 una guerra per la sua fisionomia mai definita. In questo periodo, lo Stato è stato sollecitato da ondate di immigrazione, da diversi governi e da tendenze contraddittorie e per tutto il tempo si è affacciata la minaccia di una guerra e di altri pericoli esterni. Diverse isole sono state costituite, alcune belle e qualche volta è sembrato che si stesse radicando un paese aperto e illuminato. Ora quel modello è sul punto di andare in frantumi. La destra è stata al potere per un lungo periodo, ma non ha avuto sufficiente fiducia in se stessa per lanciare questo cruciale attacco. Ma adesso, al 35°anno di attività governativa e al 64° anno dalla costituzione dello Stato, la destra si è presa il compito di rimodellare la fisionomia del paese, e praticamente senza alcuna opposizione. Ci ritroveremo di nuovo, fra pochi anni, in quell’altra Israele che sarà diversa e irriconoscibile.

Traduzione di Carlo Tagliacozzo

Qeusto articolo è stato pubblicato il 11/12/2011 sul quotidiano Haaretz

http://www.haaretz.com/print-edition/opinion/israel-is-in-the-midst-of-a-culture-war-1.400736

Nena News

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