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La lotta degli operai Fiat di Melfi

Cronaca dei picchettaggi e delle cariche a Melfi

(30 Aprile 2004)

Per l'ottavo giorno consecutivo continuano i blocchi alla Fiat di Melfi. Gli operai non hanno alcuna intenzione di smobilitare. Il blocco delle merci dell’intera area produttiva, compreso l’indotto, ha già provocato la chiusura degli stabilimenti di Mirafiori, Termini Imerese, Termoli e della Sevel di Castel di Sangro. Da Lunedì si fermerà anche l’Alfa di Pomigliano. A Melfi infatti si producono i componenti che servono in buona parte l’intero circuito produttivo della Fiat. Inoltre fabbriche come Termoli che producono i motori sono costrette a fermarsi perché l’arresto delle produzioni delle auto rende problematico la produzione ulteriore dei motori destinati ad essere montati sulle vetture. Il blocco dell’intera area produttiva di Melfi sta mettendo in ginocchio la Fiat.

E’ un evento storico. Facilitato dalla concentrazione produttiva nell’area industriale di Melfi ma provocato essenzialmente dall’intelligenza con la quale gli operai stanno portando avanti la protesta. Tante chiacchiere sul “prato verde”, sulla fabbrica integrata, sulla nuova e perfetta organizzazione del ciclo produttivo, basata sulla piena integrazione e l’attivo coinvolgimento degli operai, spazzate via in un attimo. La scelta di localizzare l’indotto a Melfi per garantire il continuo rifornimento dello stabilimento senza grosse spese di magazzino si manifesta in un attimo come un vero e proprio boomerang. Il blocco totale delle merci e il controllo di tutte le vie di comunicazione, comprese la ferrovia, hanno costretto la Fiat a ricorrere agli elicotteri per recuperare in qualche modo le scorte di componenti utili agli altri stabilimenti. Ma questo non è bastato. L’effetto domino del blocco produttivo si estende a macchia d’olio.

Tutto è iniziato Lunedì 19. Per il terzo giorno consecutivo, di fronte ad uno sciopero degli operai dell’indotto, l’azienda decreta la messa in libertà di buona parte degli operai dello stabilimento. E’ una pratica che la Fiat sta utilizzando in molte fabbriche. Non vuole sentir parlare di scioperi, neanche di un’ora sola. E così ad ogni sciopero proclamato anche solo da un reparto o, come è successo a Melfi, dagli operai dell’indotto, la Fiat risponde mandando a casa per l’intera giornata gli operai. Il che significa che gli operai perdono il salario. E’ un atteggiamento arrogante ed odioso con il quale la Fiat cerca di mettere in ginocchio gli operai e annientare il loro diritto di sciopero. La schiavitù della fabbrica assume così dei contorni sempre più definiti. E i famosi diritti, compreso quello dello sciopero, sono annientati.

Ma questa volta gli operai hanno ribaltato la frittata. Lunedì infatti l’azienda ha parcheggiato interi reparti nella sala mensa in attesa di comunicare loro la definitiva messa in libertà o la ripresa della giornata lavorativa. L’arroganza della Fiat è giunta al punto di comunicare giorno per giorno, ora per ora, se si lavora oppure no. Gli operai trattati come schiavi senza alcuna considerazione. Per raggiungere Melfi gli operai sono costretti a compiere veri e propri viaggi dalla durata anche di un’ora e mezza. E spesso arrivando con i bus devono aspettare per il ritorno la fine del turno. Ma di tutto questo la Fiat se ne frega.

La sala mensa di Lunedì invece di essere l’area di parcheggio di una massa inerme che aspetta di conoscere la volontà del padrone si è trasformata in una assemblea di operai rabbiosi e determinati a ribellarsi al sopruso della Fiat. Anche la parte degli operai del montaggio “risparmiati” quel giorno dalla “messa in libertà” si fermano, spontaneamente in sciopero.

A nulla basta la decisione dell’azienda di riammettere gli schiavi al proprio posto di lavoro. Il gioco è sfuggito alla Fiat e lo hanno preso in mano gli operai. NON SI TORNA AL LAVORO. L’assemblea cerca di stilare un primo documento di rivendicazioni. I delegati sindacali di Fim, Uilm e Fismic sono smarriti. Non sanno più cosa fare. Gli operai sono determinati: oggi non lavoriamo e a deciderlo siamo noi. Tra mille mediazioni gli operai costringono i delegati presenti a firmare un documento in cui si chiede all’azienda l’equiparazione salariale e normativa con gli altri operai Fiat, la fine della doppia battuta (12 notti consecutive), migliori condizioni di lavoro e la fine della repressione che alla Sata di Melfi significa 2500 contestazioni all’anno, licenziamenti a raffica degli operai ribelli e pugno duro con chiunque mette in discussione lo strapotere del padrone. L’atto di forza della direzione aziendale si trasforma per il padrone in un incubo. Gli operai escono dalla sala mensa e chiamano gli altri reparti che stanno ancora lavorando. A quel punto l’intera fabbrica è in sciopero. Si decide di uscire dallo stabilimento. Alcuni propongono il blocco totale degli ingressi. La proposta è accolta con un’ovazione. I precedenti blocchi attuati insieme agli operai di Termini Imerese nel sostegno alla loro lotta che provocò il blocco di tre giorni dello stabilimento di Melfi è un utile bagaglio di esperienza. Memori di quei blocchi gli operai sanno già come organizzarsi. Dispongono i picchetti in tutti i posti di accesso alla fabbrica. Si recano al vicino stabilimento della Barilla e in cambio del lasciapassare dei loro mezzi e del personale chiedono pedane e una scorta di merendine. Il padrone Barilla non esita. La solidarietà tra padroni mostra immediatamente la corda. In pochi minuti arrivano pedane e merendine così come avevano chiesto gli operai. Inizia la rivolta.

Gli operai del secondo turno arrivano e trovano il blocco. Non esitano ad unirsi alla protesta. E così accade per il terzo turno. Nel frattempo iniziano le prime defezioni. La Fim, la Uilm e la Fismic si dissociano dal blocco. Affermano che sono d’accordo nel merito delle proposte ma non nel metodo. La prima elementare protesta degli operai fa subito una prima chiarezza sugli schieramenti in campo. I nemici degli operai sono costretti a gettare la maschera e a dichiararsi apertamente come tali. Si costituisce così una prima forma di coordinamento della lotta. All’interno ci sono tutti i delegati Rsu che non hanno abbandonato la protesta. In primo luogo i delegati di Fiom, slai cobas, Alternativa Sindacale e Failms a cui si aggiunge l’Ugl. L’equilibrio tra le varie componenti è abbastanza teso ma finora tenuto saldo dalla determinazione degli operai di portare avanti la lotta.

Martedì 20: i picchetti non si fermano. Gli operai tengono fede alla loro dichiarazione iniziale: blocco totale dello stabilimento fino all’accettazione da parte della Fiat dei punti rivendicativi. E’ chiaro che un punto centrale è quello del salario. Ad es., il lavoro notturno a Melfi subisce una maggiorazione del 45% a fronte del 60,5% degli altri stabilimenti Fiat. I livelli medi sono inferiori a parità di mansioni con gli altri colleghi della Fiat. L’azienda torinese si è inoltre rifiutata di firmare il contratto integrativo.

I ritmi di lavoro sono incessanti. La Sata di Melfi è stata la prima fabbrica Fiat ad introdurre il Tmc2, ad avere pause ridotte e ad imporre agli operai di seguire un ciclo produttivo forsennato. Con 5.000 operai si producono 1.500 vetture al giorno. Non c’è spazio per nessuna ribellione. Chiunque non segue la maratona produttiva viene punito. Fioccano lettere di contestazioni, giornate di sospensione, licenziamenti per i più ribelli. E in più c’è il problema della ribattuta. Dodici notti consecutive. Una mazzata che gli operai da tempo denunciano. In realtà la Fiat ha mostrato qualche segno su questo fronte. A Pratola Serra, la fabbrica gemella della Sata, l’Fma, ha ottenuto il superamento della ribattuta, in cambio di un maggiore utilizzo degli impianti. Il tutto è stato cioè reso possibile solo perché rientrava nelle esigenze di riorganizzazione produttiva della Fiat. Ma anche a Melfi è da tempo che si discute di un superamento delle 12 notti. Sul salario invece la Fiat non ha mai mostrato alcun segnale di disponibilità ed è su questo che gli operai si giocano la partita.

Mercoledì 21 arrivano le prime provocazioni. La più pesante tra il primo e il secondo turno.

Si presentano due autobus di impiegati e capi. Scortati dalla polizia tentano di forzare il blocco. Gli operai non ci stanno. Si dispongono lungo la strada seduti per terra. Pongono la loro condizione: se i capi vogliono entrare devono scendere e passare a piedi. I capi si rifiutano. Molti di loro sono stati precettati dall’azienda. Alcuni dichiarano di aderire allo sciopero. Il tentativo di forzare i blocchi fallisce. Gli autobus tornano a casa.

Nel pomeriggio la tensione torna alta. Col passare delle ore la polizia aumenta visibilmente. Ad un certo punto in assetto anti-sommossa si dispongono per tentare una carica. Si tenta di identificare gli operai che partecipano ai picchetti. Nessun operaio ha con sé i documenti. Gli operai non cedono neanche a questa provocazione. Si dispongono sui bordi della strada e stupiti assistono ai preparativi di una eventuale carica. Tentano di spiegare che sono lì per difendere il loro diritto ad un salario più elevato e per condizioni di lavoro più umane.

L’aria si stempera e la polizia rinuncia ad avanzare. Almeno per ora.

Giovedì 22. La lotta continua e la Fiat è costretta a fermare le produzioni a Mirafiori, Termini Imerese e alla Sevel di Castel di Sangro. I componenti non arrivano e la produzione non può andare avanti. In totale 7.500 operai in cassa integrazione. La Fiat diffonde una nota in cui lamenta le grandi difficoltà in cui versa l’intero apparato produttivo. La Fim, la Uilm e la Fismic cercano di darle una mano. Organizzano una contromanifestazione nella città di Melfi. Nonostante i grandi proclami l’iniziativa viene disertata da tutti gli operai. Uno sparuto gruppo di capi con famiglie al seguito che non raggiungono le 200 persone. Il sindaco cittadino di Forza Italia solidarizza con i manifestanti. Il vescovo benedice la manifestazione ma questo non serve a nasconde il colossale fallimento.

Nel frattempo il coordinamento delle Rsu in lotta convoca una manifestazione nazionale per Sabato 24 in appoggio alla lotta di Melfi. Fim, Uilm e Fismic non sanno più cosa fare per aiutare il padrone Fiat. Hanno tentato una manovra per ripetere l’esperienza della marcia dei 40.000 a Torino e stroncare la protesta degli operai. Ma la marcia trionfante non si è ripetuta. Qualcuno dai balconi li ha pure fischiati. Gli iscritti ai sindacati padronali prendono le distanze e una parte di loro partecipano ai blocchi. Tra di loro anche qualche delegato più avveduto. Qualcun altro straccia la tessera. La protesta degli operai li ha spiazzati.

Nel pomeriggio una riunione del coordinamento delle Rsu in lotta. I delegati più combattivi continuano a ribadire che la lotta è finalizzata all’ottenimento dei tre punti che sono stati sin dall’inizio indicati dagli operai: parificazione salariale e contrattuale con il resto degli operai Fiat, superamento della ribattuta e un miglioramento delle condizioni di vita in fabbrica. Nessuna mediazione al ribasso e nessun accordo che recepisca solo parzialmente le richieste può bastare per rimuovere i blocchi. Gli operai che si succedono in massa ai picchetti hanno ben presente questo obiettivo. E non sopporterebbero nessun tradimento rispetto a questa piattaforma. La Fiom ne prende atto e va avanti.

Ma i servi non mollano. Nella notte arriva una telefonata: è la confederazione dei trasportatori che annuncia che stanno per arrivare i camion per caricare le merci dopo che si è appreso che i soliti sindacati hanno firmato l’accordo per gli operai dell’indotto. E’ un’altra manovra per dividere e disorientare gli operai. La notizia si rivela ben presto falsa. Ma gli operai avevano già dato la loro risposta: tutto quello che fanno Fim, Uilm e Fismic è un affare del padrone e dei loro lacché. Questi signori possono firmare quello che vogliono: i blocchi restano.

Più passano le ore e più è evidente che si tratta di un braccio di ferro tra gli operai e la Fiat. L’azienda ricorre continuamente a dei colpi bassi. Utilizza sapientemente i sindacati padronali ma anche questa mossa si rivela inefficace: li ha resi talmente asserviti che tutti li identificano immediatamente come controparte. In questo braccio di ferro perde chi si arrende prima. La Fiat lo sa bene. E lo sanno bene anche gli operai che ribattono colpo su colpo.

Venerdì 23. Gli operai continuano ad organizzarsi. Si allestisce una mensa. Servono viveri, legna e soldi per continuare la protesta. Si tengono i contatti con le altre fabbriche per apprendere notizie e organizzare la manifestazione del sabato.

Dopo i dati allarmanti diffusi dalla Fiat la stampa che ha ignorato del tutto la protesta (tranne Il Manifesto che l’ha seguita con un certo rilievo) inizia a parlarne. Gli operai mettono in ginocchio il più grande gruppo industriale del paese e nessuno se ne accorge. Il padrone lancia il grido d’allarme e la stampa inizia ad interessarsi al caso.

I grandi capi della sinistra disertano i cancelli. La protesta operaia di Melfi è un affare che preoccupa tutti. Nessun partito politico si attiva per sostenere la lotta. Solo qualche politico locale e qualche deputato cercano di inviare qualche timida richiesta al governo affinché organizzi un tavolo di trattativa. Ma a questo ci pensa la Fiat. I sindacati vengono convocati a Roma. Fim, Uilm e Fismic mentre si apprende la notizia della convocazione sono già seduti a discutere con i capi della Fiat. Più tardi si apprenderà che la convocazione è rivolta alla Fiom. Più passano i giorni e più “Cisl, Uil e Fismic” si identificano con il padrone. La Fiom partecipa all’incontro. La Fiat pone subito una pregiudiziale: per discutere con la Fiom bisogna sciogliere i blocchi. La Fiom rifiuta e viene estromessa dal tavolo della trattativa. Dopo poche ore arriva la notizia: i soliti noti hanno firmato l’accordo con la Fiat. E’ un’intesa che si copre di ridicolo. L’accordo è un calendario di incontri in ci si stabilisce che il 4 Maggio i sindacati incontreranno la Fiat per discutere del caso Melfi. All’ordine del giorno del futuro incontro la questione della ribattuta e del salario. E’ una farsa che copre di vergogna chi l’ha firmata e offende gli operai, innanzitutto gli iscritti ai sindacati firmatari. Ma la notizia passa senza che nessuno gli dia importanza.

Sabato 24. Arrivano 10.000 operai. Gli operai dell’intera area industriale della Sata sono tutti lì. Nessuno assente. Dopo 6 giorni di sciopero ancora più arrabbiati e decisi. Nel frattempo si apprende che altri stabilimenti potrebbero fermarsi da Lunedì in poi. Termoli innanzitutto che produce i motori e poi l’Alfa di Pomigliano che è presente con una nutrita delegazione operaia alla manifestazione. Arrivano delegazioni anche da Mirafiori, Arese, Termini Imerese, Alenia e altri stabilimenti dell’intero territorio nazionale. Alla manifestazione non partecipano le altre classi. Solo un piccolo gruppo di giovani ed uno sparuto manipolo di politicanti, incluso qualche sindaco del circondario, con tanto di fascia tricolore. Il contrasto con le recenti manifestazioni popolari contro il deposito di scorie radioattive a Scanzano è evidente. Ancora una volta gli operai apprendono che devono fare da soli. Il corteo attraversa il lungo violone che costeggia la fabbrica, i cui cancelli sono presidiati in forza da ingenti forze dell’ordine.

Fim. Uilm e Fismic fanno recapitare un volantino in cui si legge che i blocchi non servono alla causa degli operai ma c’è bisogno di dialogo. Gli operai rispondono: solo i servi non servono.

Nel frattempo la notizia acquista una certa valenza. I tg iniziano ad occuparsene. Il governo fa sapere tramite Maroni che non interverrà in alcun modo nella trattativa: è un affare della Fiat e dei sindacati. Il sottosegretario al lavoro Sacconi si sbilancia e dichiara che la Fiom deve essere spazzata via per ricostruire un clima di relazioni sindacali moderne. Nel governo si fa strada l’ipotesi di assestare un colpo agli operai. La Fiom decreta 4 ore di sciopero nell’intero gruppo Fiat per martedì prossimo. Il segretario generale della Cgil Epifani invita a riflettere: i blocchi potrebbero essere una strada sbagliata. Ma gli operai dimostrano di conoscere bene la loro strada. E da quella strada, quella che conduce alla fabbrica, non si passa.

Domenica 25. La giornata trascorre tranquilla, anche se è forte il timore di un’azione di forza della polizia. In serata centinaia di operai e capi vengono contattati telefonicamente dall’azienda che li invita a riprendere il lavoro lunedì mattina, perché i blocchi saranno tolti. La notizia fa immediatamente il giro fra gli operai. I picchetti diventano subito più numerosi. Molti operai decidono di venire con i pullman per convincere qualche eventuale crumiro a non tentare di passare. La notte trascorre aspettando l’ennesimo braccio di forza.

Lunedì 26. Il blocco del lunedì inizia con una visita. Alle 6,00 del mattino si presentano due autobus con a bordo 30 capi e capetti della Fiat. La polizia è intenzionata a farli entrare. Anche i manifestanti, che pongono una condizione: i capi possono scendere e recarsi a piedi allo stabilimento. La proposta non viene accettata. I capi si rifiutano di scendere. Gli operai si dispongono seduti davanti ai blocchi: Resistenza passiva. La polizia si dispone in assetto antisommossa e inizia a sollevare gli operai per allontanarli dal blocco. Sono presenti anche i dirigenti sindacali della Fiom tra cui Gianni Rinaldini, segretario nazionale della Fiom.

Gli operai ora sono in piedi ai bordi della strada. Si ridispongono davanti ai blocchi con le mani alzate. La polizia cerca di fare pressione. La tensione è molto alta. Partono le prime cariche. Si cerca di disperdere i manifestanti. Le manganellate aumentano. Le cariche si ripetono. Gli operai cercano di ricomporsi. Questo si ripete per 4 ore. Alle 10,00 passano gli autobus. Il bilancio di questa prima mattinata registra undici operai feriti. Il segretario Gianni Rinaldini dichiara alla stampa : "La polizia ha fatto un atto di servilismo nei confronti della Fiat ed è stata filo-diretta dall' azienda. Così qui è successo un fatto vergognoso, picchiando lavoratori che protestavano pacificamente le loro ragioni".

In queste prime ore la Fiom a caldo revoca lo sciopero di 4 ore proclamato per il giorno successivo nel Gruppo Fiat e indice uno sciopero generale del settore metalmeccanico per Mercoledì. In Basilicata sciopero generale di 8 ore sempre per Mercoledì.

Nel frattempo gli operai dell’intero gruppo Fiat si trovano i cancelli chiusi. Anche in altri stabilimenti dove la produzione non risente della mancanza di componenti, come all’Fma di Pratola Serra, la produzione è ferma. La Fiat teme reazioni e manda gli operai a casa. Ma la notizia degli scontri a Melfi si diffonde in poche ore. Dall’Alfa di Pomigliano delegazioni di operai si organizzano e si recano a Melfi per sostenere la lotta. Lo Slai di Pomigliano arriva con furgoni, altoparlanti e una folta delegazione. Anche un gruppo di operai e delegati della Fiom dell’Alfa di Pomigliano si presenta ai blocchi. Così succede per altri stabilimenti vicini. Anche gli operai di Melfi non presenti ai blocchi si precipitano davanti ai cancelli. In poche ore cresce visibilmente la massa degli operai ai presidi. La tensione non si allenta. Nel varco della Fenice, dove esiste un altro importante presidio, continuano le cariche.

Alle 16,30 si presenta un delegato sindacale della Uilm. Gli operai sono sbigottiti. L’”eroico” delegato viene assalito ma gli operai si guardano bene dall’avvicinarsi anche solo fisicamente. Forse per schifo o forse perché temono che si tratti di una provocazione e non vogliono cadere nella trappola. Dopo pochi minuti, tra fischi e pernacchi, il delegato esce di scena, al grido di “venduto, venduto”.

Alle 17,40 arriva il presidente della Regione Basilicata Bubbico (DS). Viene accolto tra gli applausi. Rilascia le prime dichiarazioni alla stampa augurandosi una ripresa della trattativa e la ricomposizione dell’unità sindacale. Parole che non suonano male alle orecchie degli operai. Nel frattempo arriva la notizia di cariche al varco della Fenice. Gli operai chiedono al Presidente di recarsi dall’altra parte per fermare la polizia. Bubbico continua a parlare. In poco tempo viene sommerso da fischi. E’ costretto a lasciare i cancelli di Melfi tra gli insulti. Si reca in un luogo sicuro: la vicina caserma dei carabinieri.

Nel frattempo continuano a giungere le notizie delle dichiarazioni politiche. L’opposizione condanna le carica della polizia. "Quanto avvenuto oggi a Melfi è una cosa molto grave", dice il leader di Rifondazione comunista Fausto Bertinotti, che si è recato in mattinata nell’area occupata. "Ciò che è successo - aggiunge Bertinotti - era stato provocatoriamente annunciato dal sottosegretario al Lavoro Maurizio Sacconi, che in questi giorni si è distinto per la sua attività antisindacale". Sacconi risponde: "La rimozione del blocco illegale in atto da ben sette giorni è a questo punto non solo giusta ma necessaria per salvare il gruppo Fiat dal collasso produttivo e quindi finanziario". E ancora: "Insisto a ritenere che la modernità del paese passa per la sconfitta politica di questo tipo di sindacato". Tutto il governo si schiera a favore delle cariche. Fioccano proclami di solidarietà alle forze dell’ordine.

Dello sparuto gruppo di capetti fatto entrare con la forza in fabbrica non si ha più notizia. Nessuno li ha visti uscire. In serata, gli autobus con i quali erano entrati ripartono vuoti dallo stabilimento, scortati da mezzi della polizia, fra cui un cellulare. C’è chi dice che al suo interno, ben nascosti, siano stati trasportati i capetti Fiat.

In queste ore arriva un’altra notizia: le cariche della polizia sugli operai hanno spinto il titolo della Fiat in su alla Borsa di Milano. Agli operai sembra di assistere ad un film. Ogni minuto che passa le immagini si schiariscono. La trama del film diventa sempre più chiara. E gli attori sempre più riconoscibili. Ma i protagonisti principali vanno avanti. Al cambio turno si temono nuovi scontri. Gli operai si danno il cambio. Quelli del blocco mattutino vanno a casa. Alcuni acciaccati e stanchi. Quelli del turno serale prendono il loro posto. Ma questa volta più numerosi. In poche ore la presenza davanti ai presidi cresce: più di 2.000 operai presidiano i cancelli. La Fiat ha perso. L’intimidazione ha accresciuto la lotta. Centinaia di comunicati di solidarietà arrivano da tutte le fabbriche in Italia. Carovane di autobus arrivano vuoti lungo il vialone che porta alla fabbrica. Nessun operaio si è recato al lavoro. Lo polizia si allontana. E durante la notte cala una mezzaluna nitida e splendente ad illuminare l’ottava notte degli operai di Melfi.

Associazione per la Liberazione degli Operai
e-mail: operai.contro@tin.it

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