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Bahrain: opposizione chiede riforme, riyadh vigila

Cambiamenti veri per uscire dalla crisi che sta infliggendo pesanti perdite al paese e alle persone, no al "dialogo nazionale" promosso da re Hamad perché “esclude l’opposizione”.

(20 Dicembre 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in nena-news.globalist.it

Bahrain: opposizione chiede riforme, riyadh vigila

foto: nena-news.globalist.it

GIORGIA GRIFONI

Roma, 20 dicembre 2011, Nena News. Apertura di un dialogo “serio” e fine della crisi politica che attanaglia la piccola monarchia del Golfo dal mese di marzo. Queste le richieste di cinque gruppi dell’opposizione bahreinita, diffuse da un comunicato stampa domenica scorsa. E puntuale come sempre è arrivato il richiamo saudita all’unità del Golfo: “La nostra sicurezza (dell’Arabia Saudita e dei paesi del Golfo, ndr) è minacciata – ha dichiarato re Abdullah durante una riunione del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) ieri a Riyadh- e dobbiamo vigilare e restare uniti”. Un’unità che sembra più un’imposizione ai popoli che da mesi provano a lottare contro regimi che non li rappresentano. Senza successo.

La dichiarazione dell’opposizione arriva dopo giorni di proteste pacifiche alle porte di Manama: centinaia di dimostranti marciano quotidianamente lungo la strada che collega la centrale Piazza delle Perle alla città costiera di al-Budayy’, una delle enclavi sciite nel regno retto da una piccola minoranza sunnita. Domenica la polizia ha disperso i manifestanti con lacrimogeni e manganelli, ferendo decine di persone, mentre giovedì scorso le forze di sicurezza hanno ammanettato e trascinato via dal sit-in l’attivista Zeinab al-Khawaja, figlia di un dissidente politico e moglie di un attivista, entrambi in carcere. Il tutto dopo la pubblicazione il mese scorso del rapporto della Commissione d'inchiesta indipendente del Bahrain (BICI), che aveva denunciato le violenze compiute dalle forze di polizia nella repressione delle manifestazioni di febbraio-marzo.

Il quintetto d’opposizione chiede “riforme politiche e costituzionali serie per uscire dalla crisi che sta infliggendo pesanti perdite al paese e alle persone”, rifiutando il richiamo al dialogo nazionale promosso qualche giorno fa da re Hamad perché “esclude l’opposizione”. La coalizione, guidata dagli sciiti di al-Wefaq, comprende anche il partito arabo nazionalista al-Waed, il cui leader Ibrahim Sharif è in carcere dall’inizio delle proteste del febbraio scorso per aver complottato contro la casa regnante. In seguito alla prima, dura repressione delle forze governative nei confronti dei manifestanti, l’opposizione era uscita dal Parlamento il 17 febbraio, e da allora aveva lanciato la prima dichiarazione congiunta dopo i disordini lo scorso ottobre: nel “Manama document” i cinque partiti d’opposizione denunciavano lo stato di polizia del Bahrain, “simile a quelli dell’Egitto e della Tunisia prima delle proteste della Primavera araba”. Lanciando una campagna pro-democrazia con manifestazioni pacifiche e marce, avevano condannato la repressione a opera della dinastia al-Khalifa, il cui ruolo dovrebbe essere quello di “governare senza poteri in una monarchia costituzionale”.

Pronta la risposta dei guardiani del Golfo: bisogna proteggere la stabilità dell’area, secondo il sovrano saudita. Una stabilità minacciata dalle infiltrazioni dell’Iran tramite le minoranze sciite del Golfo, che il caso ha voluto fossero residenti nelle zone dove si concentra la maggior parte di giacimenti di petrolio. Riyadh ha accusato l’Iran di essere il mandante di un presunto complotto scoperto in ottobre dagli Stati Uniti per assassinare l’ambasciatore saudita a Washington. Quello stesso mese il ministro degli esteri saudita aveva puntato il dito contro l’Iran per un attacco a una stazione di polizia del regno a opera di alcuni sciiti, minoranza senza diritti in Arabia Saudita. E nel marzo scorso, i carri armati sauditi avevano fatto irruzione in Bahrain per schiacciare le manifestazioni della maggioranza sciita nel paese -uccidendo decine di persone- per poi venir puntati contro i propri cittadini non-sunniti durante le proteste di un mese fa. Due pesi e due misure da tenere ben presenti mentre Riyadh snocciola le violazioni dei diritti umani di Bashar al-Assad e lo sospende dalla Lega Araba. Nena News

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