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Ribellarsi è giusto
Ciao Franco

(22 Dicembre 2011)

In un gruppo ad alto tasso di intellettuali, Franco Petenzi era un operaio. Senza complessi d'inferiorità, ma neppure di superiorità. E tra i bergamaschi del Manifesto, quasi tutti provenienti dalle file della Dc, era uno dei pochi comunisti da sempre. Più che la critica del socialismo realizzato, verso il quale non sentiva alcun trasporto, fu l'autunno caldo vissuto da protagonista in fabbrica - la Dalmine di Costa Volpino - a portarlo dal Pci al Manifesto. Dal 1969 la vita di Franco è stata tutt'uno con quella del Manifesto, gruppo e giornale.
Per il referto sanitario Franco è morto martedì. Per noi era morto lo scorso 15 giugno, quando la sua mente si era appannata per un trauma cerebrale irreversibile. Era stato investito da un camioncino mentre in carrozzella andava all'edicola a comprare il manifesto. La malasorte si è accanita su Franco con una crudeltà oltre misura. Una forma di sclerosi l'ha accompagnato per gli ultimi quindici anni fino a paralizzargli le gambe. Una limitazione grave, sopportabile se si mantiene il cervello in funzione.
Dopo l'incidente, a Franco non era rimasta neppure questa vita a metà. È l'affetto che ci fa dire che la morte è stata una liberazione: per lui, innanzitutto, che era un ribelle, non nell'aspetto esteriore, ma nell'animo.
Nato a Lovere 76 anni fa, Franco ci aveva raccontato la sua storia in un'intervista realizzata per il ventennale dell'autunno caldo. Da giovane batte le balere piuttosto che gli oratori. Suona la tromba nella banda del paese. Da soldatino di leva rompe le righe spesso e volentieri e finisce in cella di punizione. Il primo attrezzo da lavoro che si trova in mano, come da tradizione locale, è la cazzuola da muratore. In cantiere, «il padrone lo vedevi in faccia tutti i giorni». Alla fine degli anni Cinquanta, quando entra alla Dalmine (allora statale), pensa che il padrone lì sia invisibile e immateriale, e invece capi e capetti tengono gli occhi addosso e il fiato sul collo agli operai. Assunto da dieci giorni, Franco attua la sua prima ribellione: si lava le mani prima di tirar fuori il panino portato da casa e lo mangia da seduto. L'ingegnere lo richiama all'ordine. Lui va avanti imperterrito e, dopo un po', tutto il reparto aggiustaggio si lava le mani e si siede per mangiare. C'è già in nuce quella che qualche anno più tardi, si sarebbe chiamata «pratica dell'obiettivo». E c'è, anche, il tratto caratteristico di Franco: ribellarsi con intelligenza. Detestava gli arruffapopolo e i parolai. Era un tipo sobrio, ma capace di scatti di giocosa fantasia, come portare ai cancelli della Dalmine un asino con appeso al collo il cartello «o non sciopero perché mi piace il padrone» per far vergognare gli impiegati renitenti alla lotta. Antiautoritarismo, egualitarismo, sapere operaio. Sono i tre filoni di quella stagione che Franco sentì più suoi e interpretò al meglio. Mentre rimase sempre freddo, anzi ostile, allo slogan del «rifiuto del lavoro». Per Franco il lavoro non era una «condanna», ma la condizione per trasformare i rapporti di produzione e sociali.
Nel 1975, quasi «a sua insaputa», Franco è eletto consigliere regionale per il Pdup. Nell'85, quando chiude il laminatoio a Costa Volpino, va in prepensionamento. Da allora e fino a quando si è retto in piedi si è occupato della stampa e della diffusione al Nord del manifesto. In redazione a Milano ci teneva a stecchetto, lesinava sulle telefonate e persino sulla cancelleria (non è servito a molto). Quando noi arrivavamo in redazione lui aveva già letto tutti i giornali e i suoi commenti sferzanti sull'ultima di Veltroni o di D'Alema li sentivamo fin dal pianerottolo.
Privo di una cultura ambientalista, ma anticonsumista per inprinting genetico, Franco diceva molti anni fa quello che molti affermano ora sull'insostenibilità della crescita illimitata. Dell'ultima telefonata prima dell'incidente, in cui ci eravamo reciprocamente tirati su di morale con la vittoria di Pisapia, ricordo una sua frase perentoria: «Dobbiamo cambiare l'agricoltura. E' l'unico futuro». Detto da un ex operaio è indice di elasticità mentale.
Il funerale di Franco Petenzi si terrà venerdì alle 15 a Lovere (chiesa di San Giorgio). Alla moglie Giuliana e ai figli Giorgio e Gaia l'abbraccio del manifesto.

Manuela Cartosio - Il Manifesto

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