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(24 Febbraio 2011) Enzo Apicella
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Elezioni d’Egitto: atto terzo con l’assillo della Shari’a

(5 Gennaio 2012)

manifestanti egiziani

In queste ore vanno alle urne gli egiziani del Delta del Nilo, delle province di Qaliubiya, Gharbiya, Daqahliya, della New Valley, quindi Minya, Qena, Matrouh, più l’intero Sinai. E’ l’ultimo turno per le formare la Camera bassa, a fine mese e a metà febbraio si voterà per l’Alta solo con due fasi consultive. Governo e militari hanno preferito accorpare il giro dell’urna accorciando i tempi per la formazione del nuovo Parlamento che dovrà avviare l’elaborazione della nuova Costituzione. Quest’argomento è strettamente legato con quelli introdotti nel dibattito pubblico dall’iniziale successo dell’islamismo politico. Se ne parla diffusamente, nelle televisioni (di Stato) e private come i canali del tycoon Naguib Sawiris, uomo d’affari e finanziatore del Blocco Egiziano. La gente parla direttamente e non solo nei luoghi simbolo come piazza Tahrir dove tende, capannelli più o meno grandi e pure manifestazioni informali sono tornati già una settimana dopo gli ultimi scontri e ammazzamenti di metà dicembre. Si discute nelle trafficatissime vie della capitale, nei tipici ahwa, nei suoi mille suq e in quelli sperduti dei centri minori, anche se poi ciascuno torna a occuparsi di come sbarcare alla meglio il lunario. Chi finora sta perdendo come il Blocco accusa i gruppi islamici di non rispettare il divieto d’usare la tematica religiosa per la campagna elettorale. I laici vengono tacciati d’essere dei “senza Dio” quindi poco affidabili per il buon musulmano medio. I liberali sostengono di rispettare la religione ma di non volerla utilizzare per affari civili e sociali.

Fratellanza Musulmana e i salafiti rovesciano l’accusa attorno all’altro tema scottante: l’introduzione di princìpi della Shari’a nella futura Costituzione. Dicono per bocca di Abdul Afifi, leader del secondo partito salafita Al-Asala “La minoranza copta che teme di venire schiacciata deve capire che sarà difesa anche dai nostri deputati, sostenitori d’un giusto equilibrio dei princìpi religiosi - di ogni religione – contro le chiusure aprioristiche dello Stato laico. Attraverso la legge islamica i copti potranno avere una legislazioni che tuteli anche i loro interessi di fede“. Nel poverissimo quartiere cristiano della Old Cairo in molti non la pensano così perché, accanto a quanto detto, i salafiti ribadiscono che un copto non può diventare Presidente. Un’esclusione da vecchia Costituzione. E sviscerando simili considerazioni essi conducono i secolaristi più convinti a pensare che l’Islam politico voglia puntare allo Stato confessionale. Ipotesi smentita da colui che sta diventando un volto noto dell’Egitto post-Mubarak Saad Husseini, esponente di spicco del Partito della Libertà e Giustizia “I media stanno incutendo timori attorno alla nostra presenza in politica, ma più che discutere di alcool permesso o meno e di turismo boicottato noi vogliamo misurarci coi problemi reali che la nazione deve affrontare. Dunque: abbattimento delle sacche di povertà, attenzione alla salute, lotta alla corruzione e ripristino di sicurezza e legalità per tutti. Il turismo è un’entrata troppo importante per il Paese per essere inficiata da posizioni fondamentaliste che non ci appartengono. Personalmente desidero 50 milioni di turisti che possono viaggiare in Egitto anche nudi (sic)“.

Che la popolazione sia oggettivamente spaccata attorno a due visioni contrapposte di passato e futuro è una realtà, sebbene ormai una maggioranza attraverso il voto sta dando credito alle proposte dei partiti islamici contro cui s’agitano le paure dei nostalgici dei sessant’anni dell’Egitto post coloniale. Fra costoro i businessmen dell’attività turistica (seconda entrata nell’economia del Paese) in molti casi legati a multinazionali occidentali. Gli affaristi storcono il naso alla novità politica seppure non reagiscono coi toni allarmati di capitalisti copti come Ramy Lakah. Lui dopo la doccia fredda del primo turno elettorale aveva esternato alla sua comunità il bisogno di migrare verso Dubai o il Libano. Stessa musica seguita da qualche artista. Eppure fra costoro c’è chi getta acqua sul fuoco: l’attore sempre copto Hani Ramzy dice che chi si cimenta con la creatività non può essere toccato. Escluso, dunque, quell’iniziale terrore seguito anche agli scontri interreligiosi dello scorso ottobre la comunità cristiana non è fuggita e ha votato. Fidandosi però più del Blocco di Sawiris che delle promesse islamiche, soprattutto per quanto riguarda il pacchetto di misure che ne devono tutelare diritti e affari, per quanto quest’ultimi non riguardano qual sottoproletariato copto che a mala pena riesce a nutrirsi. Rispetto ad altre fasi d’autoisolamento per la comunità è già un significativo passo, ma i contrasti più volte scoppiati nei mesi scorsi con gruppi dell’estremismo musulmano restano una mina vacante. Soprattutto nei ghetti citati, dove la miseria è materia combustibile a innesco immediato.

4 gennaio 2012

Enrico Campofreda

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