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Le legioni islamiche della Nato

(14 Gennaio 2012)

Milano, novembre - L’asse della fermezza in Medio Oriente è sotto assedio. L’assedio non è solo israelo-americano, ma in questo momento è soprattutto arabo-islamico-sunnita. L’Occidente sta raccogliendo le sue truppe islamiche per combattere i componenti dell’asse delle forze indipendenti che resistono alle ingerenze, alle aggressioni, all’occupazione. Le schiera su base settaria-religiosa: i collaborazionisti di sempre, sunniti, contro i Paesi e i movimenti di resistenza, che guarda caso sono sciiti.

Alla battaglia l’Occidente intende solo assistere, assecondando i propri fedeli servitori, che siano essi la Turchia o i monarchi arabi. Siamo di fronte a uno scenario già visto in qualche modo.

Quello che avviene ricorda gli anni Ottanta. Allora truppe islamiche, mercenari della fede, vennero convogliate verso l’Afghanistan per combattere l’Armata Rossa e i suoi alleati locali. Il progetto e la copertura politica furono statunitensi. Come pure le armi e il supporto mediatico. I soldi per il piano affluivano dalle casse dell’Arabia Saudita. Gli addestratori erano membri dei servizi di sicurezza militari pachistani. Reclutarono così decine di migliaia di giovani islamici, divenuti ben presto l’avanguardia dell’estremismo sunnita, che il mondo imparò a conoscere come i seguaci di Osama bin Laden, i talebani, i miliziani di al Qaeda, usandoli sino all’11 settembre 2001.

Oggi, troviamo sempre lo stesso regista: gli Stati Uniti. E scopriamo anche gli stessi finanziatori: le Monarchie del Golfo, Qatar per primo. Tra gli addestratori ci sono agenti islamici di varie nazionalità, mentre le armi vengono dagli emiri del Golfo.

Inutili, sembrano gli appelli rivolti da personalità islamiche eminenti a guardarsi dalle divisioni, dalle discordie tra sunniti e sciiti che fanno solo gli interessi delle forze coloniali, di Paesi e nazioni estranei al Medio Oriente. La componente sunnita, aizzata da una lobby estremamente forte sul piano finanziario e mediatico, vedi al Jazeera o al Arabiya, non vuole ascoltare ragioni.

Così le rivolte popolari arabe, dalla Tunisia, attraverso l’Egitto, sino in Libia e nella Penisola arabica, si trasformano nella grande palestra delle forze islamiche della Nato che avanzano sicure tra vittorie elettorali, in certi Paesi, e massacri, in altri, verso l’obiettivo finale della resa dei conti, la notte dei lunghi coltelli con la componente sciita del mondo islamico.

Persino il ramo palestinese dei Fratelli musulmani, che è sopravvissuto a incredibili pressioni solo grazie al sostegno del fronte della fermezza, sta strizzando l’occhio al Cairo e a Doha, dimenticando coloro che gli sono stati davvero accanto nei momenti difficili. Come valutare lo scambio di prigionieri con Tel Aviv se non come un premio per il voltafaccia?

La Lega araba, la cui autorità è tramontata con il ridimensionamento del potere egiziano, diventa una filiale del Consiglio della cooperazione del Golfo, la bottega di emiri, sultani e re che regnano su Paesi che sono la vergogna del mondo arabo per molteplici ragioni, dall’assenza dei diritti civili elementari al tradimento quotidiano dei principi arabi-islamici.

Avviene così che la Lega araba aderisce al rovesciamento del regime libico, folle, ma laico, ad opera della Nato e di milizie islamiche salafite, e lo fa dopo la liquidazione dei regimi laici di Ben Ali e di Hosni Mubarak. Gli aguzzini egiziani, tunisini, libici che hanno assecondato la Cia e i servizi britannici nelle pratiche delle consegne straordinarie, torturando militanti islamici rapiti in giro per il mondo dagli stessi americani e inglesi, non si rendono conto che i loro padroni a Washington e a Londra li hanno scaricati a favore di coloro che sino a ieri venivano appesi ai muri, in quanto più utili alla futura causa.

Avviene così che la stessa Lega araba mette in castigo la Siria, che per decenni ne ha costituito l’anima e la dignità, pur di abbattere il potere politico alawita-sciita-cristiano a Damasco.

Se l’anello siriano dell’asse della fermezza viene minacciato attraverso il supporto a gruppi armati che ricorrono quotidianamente alla pratica del terrorismo, l’anello libanese (Hezbollah) viene preso di mira tramite il Tribunale speciale per il Libano, che chiama in causa il gruppo della Resistenza in relazione all’attentato a Rafic Hariri, senza aver mai indagato sulle eventuali responsabilità israeliane in quell’attentato, con l’intenzione di fare il vuoto a livello di opinione pubblica libanese attorno all’organizzazione.

L’Iran, invece, che nell’asse costituisce la principale preoccupazione sia per la Casa Bianca, sia per governanti di Tel Aviv come pure per gli emiri sunniti del Golfo, è oggetto di costante pressione per il suo programma nucleare, tra minacce di sanzioni e aggressioni militari straniere senza che esista la benché minima prova che Teheran punti davvero all’arma nucleare.

Si delinea così il progetto del Grande Medio Oriente in una versione aggiornata rispetto a quella originale di George W. Bush. Il piano dell’amministrazione Obama è più sofisticato, più perfido, più pericoloso, perché punta a far scatenare la guerra interna all’Islam, pur di piegare quella parte del mondo musulmano che non vuole ascoltare le ragioni israelo-americane e per farlo utilizza le legioni islamiche della Nato a cui dà la copertura mediatica, politica, diplomatica, giudiziaria e, se necessario, quella aerea, senza rischiare, per adesso, la vita di un solo proprio soldato.

Ma la storia recente insegna che le pedine utilizzate dagli Stati Uniti presto o tardi diventano autonome. Gli apprendisti stregoni fanno presto a crescere. I Saddam Hussein, gli Slobodan Milosevic, gli Osama bin Laden, i talebani - alleati degli Stati Uniti in origine -, non si accontentano del ruolo di gregari.

Senza dimenticare, poi, che l’asse della fermezza è tutt’altro che vinto!

La redazione di Arabmonitor

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