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(Flessibili, precari, esternalizzati)

Torino. Sportello metropolitano (lavoro-precarietà-disoccupazione-casa)

(16 Gennaio 2012)

DAL 16 GENNAIO IN C.SO BRESCIA, 22 A TORINO È APERTO LO SPORTELLO METROPOLITANO (LAVORO-PRECARIETÀ-DISOCCUPAZIONE-CASA)

Le trasformazioni socio-produttive della metropoli torinese

Negli anni della ricostruzione post-bellica e del “miracolo economico”, la Torino “città-fabbrica” estende e approfondisce questa connotazione che per molti versi è stata unica in Italia e non solo.

Nei tre decenni '50-'60-'70 la città si è definita sempre più a partire dai bisogni del ciclo dell'automobile, la realtà torinese ha assunto le sembianze di un “prolungamento delle linee di Mirafiori”. Il cuore pulsante della creazione del valore plasma la città, ne detta i tempi, i ritmi, l'entità dei flussi delle persone e delle merci nei vialoni che portano alle fabbriche. In questo laboratorio produttivo, dentro un percorso fatto anche di silenzi, di apprendimenti, di momentanee emersioni si costituisce un nuovo soggetto collettivo. L'intelligenza operaia impara a conoscere e a giocare a proprio favore la rigidità della struttura fordista trasformandola in uno spazio di duplice produzione: di merci e di lotte. Gli anni che seguono il '69 vedono la forza operaia uscire dalla fabbrica per penetrare negli spazi della città per porre con forza i temi dei bisogni sociali: abitazione, trasporti, salute, formazione (pensiamo all'esperienza delle 150 ore), ecc.

Fin dal 1973 la controffensiva della controparte si dispiega, nel cuore della produzione, della forza operaia, per ripristinare il comando sul ciclo della produzione del valore per troppo tempo inceppato dall'iniziativa autonoma operaia.

La “ristrutturazione” che investe i reparti di verniciatura, lastratura e le “fosse” di Mirafiori assume, oltre che una valenza tecnico-industriale, anche una precisa logica politica: l'indebolimento di quegli ambiti di maggiore forza operaia.

L'autunno '80 con la sconfitta dei “35 giorni”, mai troppo maledetta, segna la fine di una storia, di un lungo ciclo di conflittualità, ma anche l'apertura di nuove modalità di sfruttamento e di estrazione di valore da un proletariato che presto assume caratteristiche professionali e di soggettività che manifestano consistenti elementi di discontinuità rispetto al passato. Questa impressionante capacità innovativa del Capitale coglie impreparati quei soggetti che, pur con livelli diversi di militanza, hanno sostenuto la lunga conflittualità degli anni ’60 e ’70. Nel cuore della produzione al modello fordista subentra la flessibilità “post-fordista” (con tutte le precisazioni che necessiterebbe questo termine, che peraltro è diventato di uso comune).

Nuove forme di produzione nella metropoli.

Scomposizione del ciclo produttivo, decentramento, rilocalizzazione, esternalizzazione dei servizi all'impresa, terziarizzazione, precarizzazione, emersione delle molteplici forme del lavoro mentale (ma anche sua dequalificazione), importanza della logistica (in seguito alla diffusione del ciclo produttivo sul territorio e delle consegne just in time, “in tempo giusto”), progressive modificazioni del mercato del lavoro... ci consegnano il mosaico di quella polverizzazione del lavoro post-fordista, composta dalla molteplicità delle figure lavorative, che è oggi sotto i nostri occhi. La produzione di beni (materiali e immateriali) si spalma sul territorio andando a costruire la rete produttiva di tutto lo spazio metropolitano in estensione. Il sistema produce e si riproduce marginalizzando sempre più i diversi segmenti del moderno proletariato e mettendo al lavoro la marginalità, creando in modo incessante non solo merci ma soprattutto i produttori della ricchezza sociale.

La divaricazione del “doppio” mercato del lavoro (garantiti/non garantiti) si va riducendo con ritmi accelerati dalla crisi economico-finanziaria. I recenti dispositivi di legge (che, di fatto, registrano rapporti di classe sfavorevoli) rappresentano l'erosione, oramai quasi terminale, delle tutele del mercato del lavoro a “tempo indeterminato”.

Quali le componenti della soggettività del proletariato metropolitano?

Questo è uno degli interrogativi (quello prioritario) centrale dell'iniziativa politica, un nodo da sottoporre a un lavoro d’inchiesta politica, da condurre negli spazi della metropoli, al di fuori da impostazioni intellettualistiche ma a diretto contatto con i soggetti: nei luoghi del lavoro industriale, negli ambiti del terziario materiale, nei call center, nelle lunghe code dei “Centri per l'impiego”, ecc.

Alcuni elementi si mostrano già in modo evidente: la diffusa percezione di un futuro che si assesterà su livelli di tenori di vita in ulteriore arretramento rispetto al presente, il radicato senso d’isolamento, la sfiducia diffusa in tutte le forme istituzionali tradizionali. Ma anche il senso d’impotenza che si traduce in frustrazione e che diventa rabbia. La stessa forbice, che si allargherà ancor più, fra la gran massa dei bisogni (anche artificiali) prodotti dal sistema e la miseria del reddito/salario elargito non potrà garantire come in passato l'integrazione sociale e vedrà erodersi le capacità di egemonia del sistema stesso.

Il riaprirsi del conflitto possibile non è certo automatico, la dis-integrazione di segmenti del proletariato metropolitano non porta necessariamente all'antagonismo; sta nei meccanismi di riproduzione del sistema la capacità di dividere, di deviare la frustrazione e la rabbia come dimostrano centinaia di eventi, non ultimo i tragici fatti delle Vallette, qui in città.

Di per sé non esiste il giovane “proletario ribelle” delle periferie che dal nulla esprime comportamenti antisistemici e la rabbia di un giorno è un sintomo e poco più; è un soggetto che non troviamo, perché non c'è. È però vero che la profondità della crisi rimette “con i piedi per terra” il conflitto con i suoi caratteri “di classe” e dalle nebbie di trent'anni di neoliberismo si delineano i contorni di un proletariato che ha forme nuove ma che deve ri-diventare “classe” se vuole riappropriarsi della ricchezza prodotta e della possibilità di realizzare la ricchezza dei suoi bisogni.

La polverizzazione del lavoro e il suo spalmarsi sul territorio impone una presenza sia negli ambiti di produzione, sia sul territorio e l'apertura di spazi di riferimento nella metropoli.

Lo Sportello Metropolitano vuole contribuire a questa tendenza nella direzione della riappropriazione del valore sociale che produciamo, dell'accesso ai sevizi sociali, della conquista di tempo liberato dal lavoro alienato, per lavorare tutti di meno.

Per creare connessioni, mutualità delle lotte, istituzioni del conflitto, per ricercare il comune dei bisogni e delle lotte.

LO SPORTELLO METROPOLITANO (LAVORO-PRECARIETÀ-DISOCCUPAZIONE-CASA)
È APERTO TUTTI I MARTEDÌ DALLE 17 ALLE 20.30 IN CORSO BRESCIA, 22 (TORINO)

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