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(29 Gennaio 2011) Enzo Apicella
Gli ultimi giorni del regime di Mubarak

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[Egitto] Intervista a Hossam el-Hamalawy di Ali Mustafa

(22 Gennaio 2012)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.caunapoli.org

[Egitto] Intervista a Hossam el-Hamalawy di Ali Mustafa

foto: www.caunapoli.org

Pubblichiamo un'intervista del 10/12/2011 a Hossam el-Hamalawy di Ali Mustafa*
(traduzione a cura di Isi-Meh)

AM. Le prime elezioni parlamentari dell'era post-Mubarak sono state organizzate in un contesto di scontri cruenti tra le forze di sicurezza di stato e i manifestanti in piazza Tahrir e nelle sue vicinanze, che hanno provocato almeno 42 morti e oltre 3000 feriti. Cosa ha provocato quest'ultimo scoppio di violenza? Pensi che questa situazione abbia messo in discussione la legittimità delle elezioni?

HH. Le cause scatenanti di questa sollevazione sono le stesse dell'insurrezione di gennaio. Non è cambiato un gran che in questi nove mesi, quindi le ragioni obiettive della rivolta erano tutt'ora presenti, quello che mancava era la causa scatenante, qualcosa che avrebbe dato di nuovo fuoco alle polveri. Era già successo in passato. Non era la prima volta che avvenivano scontri di questo genere. Era già successo il 28 e 29 giugno, e la causa scatenante è sempre la brutalità della polizia – una brutalità che non è destinata a finire poiché il ministro dell'interno è sempre lo stesso e anche il regime è sempre in piedi. Questa sollevazione non è destinata a durare per sempre e sta scemando in questo momento, ma credo che non sarà l'ultima. In futuro ci saranno molte altre sollevazioni.

Se ha messo in discussione la legittimità delle elezioni? Certamente. Già prima dell'attuale sollevazione avevo preso la posizione di boicottare le prossime elezioni perchè hanno luogo mentre il supremo consiglio delle forze armate (SCAF) è ancora al potere. Non si possono avere elezioni regolari mentre i generali di Mubarak stanno conducendo la danza o mentre l'esercito, assieme alla polizia, ha appena massacrato la gente a Tahrir e al Maspero [ Si riferisce al massacro dei Copti avvenuto davanti al Maspero, che è la sede della tv di stato] Non erano già prima ritenuti responsabili, e ora dovrebbero essere quelli che hanno la supervisione dell'intero processo elettorale?

E soprattutto la questione non è chi voterai in questo parlamento senza potere. La mia opinione era che anche se fossero votati in parlamento il cento per cento di appartenenti ai Revolutionary Socialists (lasciando stare i Fratelli Mussulmani o i Salafiti) non si sarebbe ugualmente in grado di raggiungere gli obiettivi della rivoluzione. Anche se in Egitto diventasse primo ministro un santo o un profeta, sarebbe sempre un burattino nelle mani dello SCAF. Se si eleggesse oggi un presidente, mentre la situazione è quella di oggi, anche lui sarebbe un burattino nelle mani dello SCAF. Lo SCAF sta optando per un modello simile al vecchio modello turco, dove la gente può votare, eleggere politici in abiti civili e avere ministeri retti da civili, ma con specifiche linee rosse che non possono essere oltrepassate: una volta oltrepassate, arriva una telefonata dall'esercito oppure un colpo di stato.

Diversamente da altri attivisti che ti direbbero che lo SCAF non lascerà mai il potere, e che vuole restare sempre là dov'è ora, sinceramente credo che loro vogliono lasciare il governo, vogliono tornare alle loro caserme, in modo da conservare i loro privilegi, la loro immunità e il controllo sul bilancio dell'esercito per essere sicuri che non diminuirà. Perchè dovresti darti da fare mandando avanti l'amministrazione quotidiana del paese, quando puoi avere i tuoi burattini che lo fanno per te e tu mantieni tutti i tuoi privilegi? Quindi, chi in questo momento più desidera le elezioni è proprio lo SCAF! Diversamente da altre teorie complottiste che ti diranno che lo SCAF ha istigato questa violenza per posporle, io ti dico: no, loro le vogliono queste elezioni!

AM. Sono stati fatti molti paragoni tra quest'ultima sollevazione e quella del 25 Gennaio. Quali sono le differenze e le somiglianze più significative tra allora e ora?

HH. Nei primi uno o due giorni di questa sollevazione pensavo si potesse tranquillamente tracciare un parallelo con il 28/29 giugno, ma il terzo giorno, il riferimento giusto era diventato gennaio. Il livello di scontro con la polizia non è mai stato così acuto da allora. Si possono fare paralleli in termini di brutalità della polizia che hanno provocato la sollevazione, in termini addirittura di ripetizione delle stesse battaglie a Mohamad Mahmud Street, [sede del ministero degli interni] che ricordano molto da vicino quelle del 29 gennaio, il giorno dopo il “Venerdì della rabbia”: in quella strada c'è stato un vero massacro. Ma ci sono anche delle differenze, naturalmente. Non tutti i settori della popolazione hanno preso parte alla sollevazione, come a gennaio, in cui il livello di partecipazione è stato più alto.

L'altra differenza qualitativa è che allora l'obiettivo era la caduta di Mubarak, e ora sono i suoi stessi generali dell'esercito. Questo significa che abbiamo fatto dei grossi passi avanti. In febbraio o marzo, se tu avessi gridato slogan contro i generali dell'esercito saresti stato linciato dalla gente, non dalla polizia militare, dico proprio dalla gente. Molti credevano alle bugie e alla propaganda dell'esercito allora, sul fatto che avrebbero protetto la rivoluzione, o che era Tahrir che stava causando tutta quella instabilità, ma dieci mesi più tardi, quando hai questa sollevazione su larga scala contro i militari e una forte occupazione che è durata alcuni giorni con l'unico obiettivo di mettere in galera i generali dell'esercito, allora capisci che si sono fatti dei grossi passi avanti in termini di coscienza popolare.
La sollevazione non ha avuto successo, ovviamente, abbiamo ancora i generali al governo del paese. Ma con la prossima sollevazione non sarà così, e avremo almeno, direi, dai 3 ai 6 anni di flussi e di riflussi, di battaglie da vincere e da perdere. Ma in generale, sono ottimista e non pessimista su questo.

AM. L'esercito egiziano, capeggiato dallo Scaf, è stata un'istituzione centrale del paese per molti decenni. Come descriveresti il ruolo dell'esercito nella vita politica, economica e sociale dell'Egitto, e qual'è la base storica della profondità del consenso di cui ancora gode presso l'egiziano medio?

HH. La diceria che l'esercito sia l'istituzione più popolare in Egitto è una fandonia. Da cosa si può dedurre? Quando è il momento della chiamata al servizio militare, trovi forse centinaia di migliaia di giovani egiziani che corrono ad arruolarsi? No, tutti cercano di svignarsela ed evitare il servizio militare: è un metro di misura, questo: quando è il momento della chiamata alla leva, qual'è il comportamento degli egiziani?

L'esercito è stato l'istituzione al governo di questo paese dal 1952. Tutti i presidenti provengono dall'ambiente militare. Anche molti dei ministri hanno la stessa provenienza, come pure molti governatori. La presidenza di molti consigli di amministrazione pubblici va ad alti gradi militari in pensione. L'esercito pervade quindi anche la vita civile. Controllano dal 25 al 40 per cento della nostra economia. Non ci sono statistiche accurate su questo aspetto perchè c'è una spessa cortina di ferro che i militari hanno teso nei decenni passati per occultare le loro attività. Lo Scaf riceve 1.3 miliardi di dollari ogni anno dai contribuenti americani, e sono il maggiore destinatario degli aiuti USA all'estero dopo Israele.

Alcuni egiziani, o per meglio dire vasti strati della popolazione egiziana, hanno sostenuto l'esercito in febbraio, marzo e aprile, fino all'estate, e per diverse ragioni: alcuni credevano alla menzogna che avrebbero protetto la rivoluzione. Altri si sentivano insicuri: mettiti nei panni dell'egiziano medio che non ha posizioni ideologiche e vuole mandare avanti la sua vita quotidiana, e improvvisamente tutto gli crolla intorno, e non c'è un'alternativa chiara. Per molti egiziani l'esercito, come diceva la propaganda, era l'unica istituzione stabile in Egitto: se crolla l'esercito, Israele invaderà l'Egitto o l'Egitto stesso crollerà. In effetti, l'esercito sta giocando la stessa carta dell'anarchia utilizzata da Mubarak, che diceva che se se ne fosse andato, sarebbe prevalsa l'anarchia. E in fin dei conti la gente era esausta, tutti erano esausti nel senso letterale del termine. Nella sollevazione che avevamo intrapreso, durata 18 giorni, nella quale così tante persone erano morte, era defatigante tenere la piazza e tutte le altre piazze organizzate del movimento. Tutti avevano bisogno di tirare il fiato. Anche a questo si deve il consenso che la popolazione ha dato all'esercito.

Ora, è evidente che l'esercito non difendeva la rivoluzione. L'esercito non ha sparato sui manifestanti in piazza Tahrir e nelle altre piazze per una sola ragione: ci sono due eserciti: c'è l'esercito dei generali e l'esercito dei poveri coscritti e dei giovani ufficiali che condividono le stesse difficoltà e ristrettezze di tutti gli altri egiziani. I generali sapevano benissimo che se avessero dato l'ordine di bombardarci a Tahrir, l'esercito si sarebbe disfatto: ci sarebbe stato un ammutinamento o un rifiuto di obbedire agli ordini. Così speravano di poter restare a guardare, essere neutrali, e che i teppisti ci avrebbero fatti fuori, come con la “battaglia dei cammelli”. Nei mesi passati hanno sicuramente perso credito. Gli egiziani non sono stupidi! Si, posso aver sostenuto l'esercito oggi, ma se vedo che non lasciano il potere e vedo che la mia situazione non è affatto migliorata, anzi è peggio di prima della rivoluzione, ne resto disilluso. Insomma quello che vorrei dire è che ora siamo in una posizione molto più avanzata rispetto a febbraio per quel che riguarda la coscienza popolare.

AM. Il partito Freedom and Justice (Libertà e giustizia) dei Fratelli Mussulmani è dato per vincitore nelle prossime elezioni, con un margine ancora superiore di quanto previsto inizialmente, visto che molta gente ha deciso di astenersi o di boicottare il voto. Qual'è il ruolo attuale dei FM, e il che cosa esso si differenzia rispetto a gennaio e febbraio?

HH. E' esattamente lo stesso di allora. Ricordati che la dirigenza dei FM non ha affatto appoggiato l'insurrezione nei primi tre giorni. L'hanno sostenuta solo a partire dal “venerdì della rabbia” il 28 gennaio, quando è stato chiaro che comunque la sollevazione era in atto indipendentemente dal loro appoggio. Ma la loro ala giovanile ha partecipato alle manifestazioni dal primo giorno, o almeno un settore di essi, e il loro comportamento a Tahrir e nelle altre piazze non è stato diverso da oggi. Hanno avuto un comportamento eroico negli scontri con la polizia, e nella difesa della piazza, e hanno avuto molti martiri. La leadership invece ha sempre cercato il compromesso, durante tutti i 18 giorni.

Dall'11 febbraio, con la caduta di Mubarak, la loro leadership non ha appoggiato nessuna delle manifestazioni di protesta che si sono susseguite, a parte tre: quella che festeggiava la caduta di Mubarak, dopo una settimana; quella del 29 luglio e quest'ultima il 18 novembre. Queste sono state le uniche tre manifestazioni di massa che i FM hanno appoggiato. Ma i giovani hanno preso parte alle nostre proteste, e c'è gente che, delusa, dà le dimissioni. Così, anche se la leadership è conservatrice e a volte anche controrivoluzionaria, i loro giovani sono diversi. E, e questa è una cosa su cui io e altri della sinistra laica siamo pronti a scommettere, con il procedere della radicalizzazione, ci saranno altre spaccature all'interno dei FM e di altri gruppi religiosi.

AM. Gli egiziani sono spesso rappresentati come presi tra l'incudine degli islamisti da un lato e il martello del governo militare dello Scaf dall'altro, come se queste fossero le due sole opzioni possibili in Egitto. Che ruolo pensi possano svolgere i liberali, la classe operaia e i radicali in questa fase critica della rivoluzione?

HH. Questo è lo stesso scenario che Mubarak cercava di presentare quando era al potere: o io o questi mostri con la barba: o io o l'anarchia. Politicamente, se ci pensi rispetto alle elezioni, potrebbe essere anche così: o eleggi i rappresentanti del NDP o gli “islamisti”. Ma, sto parlando adesso della politica sul campo, ci sono anche altre alternative. La sinistra rivoluzionaria è cresciuta, e di molto, da gennaio, come capacità di influenza e come presenza fisica sul terreno. Il nostro intervento nelle azioni di sciopero nelle fabbriche sta effettivamente diventando più maturo e più organizzato di prima. Durante questa sollevazione, dalla mia posizione di aderente ai Socialisti Rivoluzionari, posso dire che il mio gruppo ha avuto un ruolo più organizzato ed efficiente rispetto ai primi giorni della sollevazione di gennaio, quando siamo stati tutti colti di sorpresa. Questa volta il nostro intervento è stato molto più pronto e rapido.

Quanto ai liberali, è tutta un'altra storia. Sono divisi. C'e gente come Sawiris, il Rockfeller egiziano che era uno stretto alleato di Mubarak ed ora guida il Free Egyptian Party. Secondo un'infame intervista a Bloomberg che ha rilasciato l'estate scorsa, quando gli è stato chiesto perchè avesse fondato questo partito, ha risposto che l'aveva fatto a causa della predominanza delle idee socialiste tra i giovani – non ha parlato dei Salafiti o della Fratellanza. E' un uomo d'affari che conosce benissimo quali sono i suoi interessi. Ma c'è un problema con la terminologia, perchè molti di questi liberali, che parlano di se stessi come liberali, sono in effetti radicali di sinistra, ma non lo sanno, così come molti “sinistri”, li considero liberali che non hanno niente a che fare con la sinistra.

Credo che le proteste di fabbrica che avranno luogo nei prossimi mesi saranno ancor più militanti di quelle dei mesi precedenti. Perchè? Perchè lo SCAF ha fatto in modo di innalzare le aspettative di uno strato della popolazione rispetto al futuro parlamento: ci avete detto di sospendere le proteste, di fermare gli scioperi, ci avete detto che Tahrir non andava bene; ci avete detto di aspettare questi mesi per avere un governo civile che avrebbe risolto miracolosamente i nostri problemi. OK, adesso abbiamo il nostro parlamento fatto di civili, e non può far niente! Questo darà il via ad una nuova ondata di azioni collettive e di scioperi operai.

AM. Ci puoi fornire una panoramica dei partiti orientati a sinistra, e dei gruppi e coalizioni che si sono costituiti dopo la rivoluzione del 25 gennaio, e qual'è la tua opinione sui progressi realizzati sul fronte delle organizzazioni politiche organizzate, in rapporto con il livello della resistenza di base ?

HH. Il numero dei partiti sta effettivamente aumentando rispetto a prima del 25 gennaio. A sinistra c'è la Socialist Popular Alliance (Alleanza popolare socialista) che è un ombrello politico che raccoglie diversi gruppi della sinistra. Ci siamo noi, i Socialisti Rivoluzionari, che siamo il raggruppamento più consistente della sinistra radicale, qui in Egitto. C'è il Democratic Worker's Partry (Partito democratico dei lavoratori), che è un partito alla cui costruzione stiamo lavorando, ma non è un partito Socialista Rivoluzionario (molti fanno questa confusione). L' Egyptian Comunist Party (Partito comunista egiziano) è stato di recente ricostituito, e sono venuti in piazza il 1° maggio con le bandiere rosse, ma so che hanno dei problemi perchè stiamo reclutando parecchi dei loro giovani. C'è il Egyptian Socialist Party (Partito Socialista Egiziano) costituito da alcuni personaggi appartenenti ai militanti del movimento studentesco degli anni 70. C'è anche l'Egyptian Social Democratic party: è un mosaico, se così si può dire. Troverai gente che si lamenta della mancanza di unità a sinistra., ma io non me ne preoccupo più di tanto: perchè dovrei? Siamo 85 milioni di persone che sono state tenute sotto una cappa per così tanto tempo: ora che è stata tolta, è normale che tutti vogliano uscire fuori e iniziare a formare dei gruppi, e magari questi gruppi sono destinati a fondersi, o a dividersi nuovamente o a trasformarsi in qualcosa di più grosso: non è come in Canada dove se tu vai in qualunque incontro di attivisti trovi almeno una dozzina di fazioni di sinistra. Si, li puoi pure prendere in giro e dire che ad ognuna di queste fazioni aderiscono tre persone in tutto il Canada, ma è un microcosmo. Ma su una popolazione di 85 milioni di persone, puoi anche avere dodici partiti!

AM. E per quel che riguarda il rapporto tra le organizzazioni politiche organizzate e la resistenza di base?

HH. Sarebbe falso sostenere che le attuali forze che si richiamano al socialismo, noi compresi, stanno guidando le ondate di scioperi o la resistenza popolare. Siamo di fronte alla più imponente ondata di scioperi nel paese dal 1946, questa ondata iniziata nel dicembre 2006, che continua ancora oggi è la più lunga, intensa e forte ondata di scioperi della nostra storia dal 1946. Anche negli anni settanta non era così forte come oggi. Ma, ancora una volta, queste azioni sono per lo più spontanee e indipendenti da ogni gruppo organizzato. I gruppi di attivisti sono presenti in alcune fabbriche e in alcune aziende, in alcuni posti di lavoro e in alcuni sindacati, ma non li stanno guidando. Non possiamo sostenere questo in alcun modo. Così, il movimento operaio sta facendo degli enormi passi avanti – hanno ottenuto grandi vittorie, con scioperi vincenti, si sono liberati delle vecchie dirigenze di fabbrica legate al vecchio regime, in altri casi hanno dissolto i vecchi sindacati corrotti, ma tutto ciò indipendentemente dalla presenza dei gruppi di attivisti. Questi sono effettivamente presenti in alcune situazioni e si sono comportati eroicamente nelle mobilitazioni, ma penso che ci sia ancora molta strada da fare prima di poter veramente essere alla guida della classe operaia egiziana.

AM. Sei stato un militante rivoluzionario qui in Egitto per molti anni e in passato hai affermato che solo uno sciopero generale avrebbe potuto definitivamente abbattere il regime militare una volta per tutte. Puoi descriverci lo stato attuale della lotta operaia, parlarci degli scioperi più importanti e delle azioni che si sono verificate negli ultimi mesi, e cosa secondo te sarà necessario per galvanizzare i lavoratori di tutti i settori e portarli ad uno sciopero generale nelle condizioni attuali?

HH. Quando Mubarak fu cacciato, l'11 febbraio 2011, la classe media e la maggior parte dei gruppi giovanili erano ben felici di sospendere l'occupazione di Piazza Tahrir, e c'era un appello corale a ritornare al lavoro e una gran propaganda nazionalista, tipo: “costruiamo il nuovo Egitto” e “metti il 110% del tuo impegno nel lavoro”, la classe operaia a lavorare non è tornata. Un giornalista come me può permettersi di non presentarsi al lavoro per 18 giorni, e poi tornare al mio posto di lavoro dove guadagno diverse migliaia di pound egiziane al mese. (1 euro= 8 pound egiziane circa) Ma un lavoratore dei trasporti non può assolutamente sospendere il suo sciopero, andare a casa e dire ai suoi bambini: prendo ancora 189 pound dopo 15 anni di servizio, aspettiamo pure altri sei mesi che l'attuale giunta militare ci dia un governo civile che risolverà tutti i nostri problemi.”
Secondo un mio amico sindacalista di base, ci sono state 1500 azioni di protesta operaia solo in febbraio, quante ce ne sono state in tutto il 2010 . Ora queste azioni sono continuate per tutto febbraio e marzo e anche, seppure con meno intensità, in aprile, maggio e giugno. Ma poi c'è stato settembre, in cui gli scioperi hanno raggiunto il picco più alto: oltre 750.000 egiziani hanno preso parte agli scioperi, per lo più nel settore dei trasporti pubblici, dei medici, degli insegnanti, dei lavoratori degli zuccherifici. Stiamo parlando qui dei settori più importanti, ma se aprivi il giornale in quel periodo c'erano scioperi selvaggi dappertutto.

Non ci sono stati scioperi in solidarietà con la piazza Tahrir in quest'ultima sollevazione; è vero che la Federazione Egiziana dei Sindacati Indipendenti e alcuni sindacati indipendenti hanno sostenuto Tahrir e hanno portato là i loro striscioni ed erano presenti simbolicamente, ma non si sono mobilitati in massa. Me lo spiego con il fatto che, da un lato, la federazione dei sindacati indipendenti non è ancora così ben radicata tra i lavoratori da poter indire una sciopero generale, e in secondo luogo, la classe operaia è in generale l'ultima a muoversi – è piuttosto facile per i giovani o i militanti lasciare la loro famiglia o l'università per un mese per andare a Tahrir e mettere su una tenda, ma se sei un lavoratore e hai 4 bambini e lavori dalle 9 alle 17 e in alcuni casi dalle 9 alle 19 fare uno sciopero è tutta un'altra cosa. Di solito sono gli ultimi a muoversi, ma quando si muovono, è fatta.

Quello che io e altri militanti del movimento speravamo in quest'ultima sollevazione di novembre era che se avessimo potuto tenere l'occupazione per un altro po', questa azione militante avrebbe potuto iniziare a diffondersi anche tra la classe operaia, come in gennaio. Ora naturalmente questo non avviene per miracolo. Dove eravamo presenti tra i lavoratori abbiamo distribuito migliaia di volantini chiamando allo sciopero generale, ma, ancora una volta non c'è una struttura estesa a livello nazionale – non ancora – che può mettere insieme questo movimento, così se succede è in modo spontaneo. Ma quando si dice che l'Egitto non è la Tunisia, è vero! In Tunisia c'è la Federazione sindacale, [UGTT] la cui dirigenza è cooptata, ma la cui base è per lo più sana, e perciò quando è scoppiata la rivoluzione c'era una tale pressione sui sindacati per scendere in piazza: e quando si muovono, si ferma il paese. Qui in Egitto questa struttura non c'era.

Lo sciopero generale ci sarà, non ho dubbi in proposito, quello che non sappiamo è quale sarà la causa scatenante dello sciopero generale. Ma la palla è nel nostro campo, la possiamo mandare a destra o a sinistra, questo è da vedere. Al momento ci sono molte azioni di protesta importanti in atto, soprattutto ad Alessandria. Domani al Cairo ci sarà una protesta di fronte alla sede del Consiglio di Stato a Dokki a Giza Street – (il Maglis al-Dawla) dove i lavoratori di due fabbriche privatizzate si preparano a fare causa per ottenere la ri-nazionalizzazione delle loro imprese – obiettivo che avevano già ottenuto, in effetti. Questo è un altro problema: anche quando c'è uno sciopero vittorioso, questo non significa automaticamente che il governo manterrà le promesse. Nominami una qualunque fabbrica attualmente in sciopero, e vedrai che sono in sciopero dal 2009, o addirittura dal 2007!

AM. La crescente instabilità, l'incertezza e l'agitazione degli ultimi mesi hanno fatto sì che la Piazza sembri più lontana dall'insieme della società di quanto non fosse nei primi giorni della rivoluzione. Cosa può significare tutto ciò per il futuro della Piazza come fulcro della rivoluzione, secondo te?

HH. Questa tua affermazione mi sembra un po' esagerata. Tahrir è sicuramente il simbolo di questa rivoluzione, ma non bisogna cadere nella trappola di prendere Tahrir come un barometro di come la rivoluzione stia avanzando o indietreggiando. E' quello che abbiamo detto ai militanti nei mesi passati che si erano demoralizzati. Per esempio, se convochi una “protesta da un milione” a Tahrir per denunciare i tribunali militari, e vengono solo poche centinaia di persone, ecco che ti butti giù. Ma al tempo stesso, quando nello stesso mese hai 750.000 egiziani che scioperano e buttano all'aria, in effetti, la legge di emergenza, anche se non vengono alla tua manifestazione, la legge di emergenza la aboliscono con i fatti.

Mi è capitato di parlare con un tassista che per tutto ilo tragitto ha detto peste e corna degli occupanti della piazza, e poi mi ha fatto scendere perchè doveva andare ad un sit-in con gli altri tassisti davanti al ministero delle finanze a Nasr City (E' un grande quartiere del Cairo). Si, magari i lavoratori non manifestano a Tahrir, ma a due isolati di distanza davanti alle sedi del governo, facendo blocchi stradali e sfidando la polizia militare e anche se è il caso scontrandosi con essa per pretendere i loro diritti. Tahrir sarà sempre al suo posto, ma il campo d'azione della rivoluzione è molto più grande della piazza!

Per me, qualunque cosa possa succedere nei campus universitari e nei posti di lavoro è molto più importante di quello che succede in Piazza Tahrir. Se incontrassi un operaio di Mahalla a Tahrir, gli direi: “Che diavolo stai facendo qua con me a Tahrir? Tornatene alla tua fabbrica e cerca di buttar fuori i membri del NPD e delle forze di sicurezza che ci sono là! Cerca di impadronirti della tua fabbrica e di autogestirla!”

AM. Quali sono secondo te le sfide politiche più importanti che la rivoluzione deve affrontare?

HH. Le principali sfide politiche sono: primo, che i generali di Mubarak sono ancora al potere, il che significa che il regime è ancora vivo e vegeto. L'altra sfida viene dal dissenso, dal fatto cioè che non siamo ancora bene organizzati. Ci manca ancora una struttura nazionale di mobilitazione che possa convocare uno sciopero nazionale quando vogliamo, e così quando indiciamo una azione di protesta non sappiamo mai in quanti risponderanno. Si possono cogliere dei segnali, puoi prevedere che andrà più o meno bene, ma la grande sfida che abbiamo davanti è costruire un grande partito rivoluzionario di massa, chiamalo una rete o come vuoi, che possa collegare i posti di lavoro alle università e a Tahrir.

AM. In conclusione, in un momento in cui il movimento globale Occupy sta rapidamente crescendo in Nordamerica e in Europa, influenzato largamente dall'Egitto e da altre sollevazioni nel mondo arabo, quali sono secondo te le lezioni principali -positive e negative- che i militanti e la gente comune impegnata sul fronte del cambiamento sociale dovrebbero trarre dall'esperienza della rivoluzione egiziana?

HH. La lezione in effetti è una sola: se il tuo movimento resta confinato alle piazze, è destinato a fallire. Devi portare questo movimento dalla piazza ai posti di lavoro e nei campus universitari. Non è stata Piazza Tahrir che ha buttato giù Mubarak. Si, la battaglia a Tahrir è stata eroica, l'occupazione è stata eroica, il sit-in è stato eroico e sarà sicuramente ricordato nella storia del nostro paese come una delle lotte più fantastiche del secolo, ma al tempo stesso, il regime avrebbe potuto resistere, Mubarak avrebbe potuto restare al potere molto più a lungo se non fosse stato per gli scioperi operai! Così, sono molto orgoglioso dei nostri compagni e fratelli e sorelle che hanno preso parte al movimento Occupy nel mondo, ma essi devono collegare la loro lotta con quella dei lavoratori. Se non portano questo movimento nella classe operaia – è una grande sfida, lo so che non è facile – questo movimento è destinato a morire.

*Hossam el-Hamalawy è un giornalista egiziano, blogger, fotografo e attivista socialista.

Collettivo Autorganizzato Universitario – Napoli

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