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Nascita e morte di un partito rivoluzionario. Il Partito Comunista Internazionalista (1943-1952)

(26 Gennaio 2012)

Letture di classe



Dino Erba, Nascita e morte di un partito rivoluzionario. Il Partito Comunista Internazionalista (1943-1952), All’Insegna del Gatto Rosso, Milano, 2012.

Pagine 300. € 20, comprese le spese di spedizione.

Richiedere a: dinoerba@libero.it




Quando, nel luglio 1943, gli Alleati iniziarono la lentissima occupazione dell’Italia – che richiese quasi due anni –, il Paese si presentò ai loro occhi come un possibile «laboratorio» politico, per sperimentare soluzioni, che poi avrebbero potuto essere applicate in altri Paesi. Da parte sua, la classe dirigente americana, che già guardava al dopoguerra, cercò soluzioni che favorissero il decollo dell’Italia verso una piena maturità capitalistica, con caratteristiche che fossero complementari a quelle degli Usa.

Ed è in questo contesto socialmente mutante che si inserì l’azione del Partito Comunista Internazionalista. Un partito che aveva ancora un forte legame con gli anni rossi 1919-1920, grazie al rapporto con un proletariato che, nel suo insieme, non aveva mai abbandonato la prospettiva della rivoluzione socialista. Durante il Ventennio, la carota della legislazione sociale fascista non aveva lenito il bastone del dispotismo padronale che, con l’appoggio del Regime, regnava nelle fabbriche e, ancor più, nelle campagne.



Negli anni del primo dopoguerra, in un clima di forti tensioni sociali, il Partito Comunista Internazionalista fu l’unico partito che difese gli interessi degli operai, dei braccianti e dei contadini che, dopo gli orrori della guerra, aspiravano a una vita migliore.

La storia del Partito Comunista Internazionalista rappresenta un filo conduttore per ripercorre le varie fasi di una feroce normalizzazione capitalista, in cui la presenza di proletari sovversivi costituiva una variabile più che prevedibile per la borghesia, e come tale fu affrontata: prima fu inibita dalla politica nazionalpopolare del Pci di Togliatti, poi fu repressa dallo Stato, quindi fu disgregata dal grande flusso migratorio e infine fu assorbita nel boom economico, indotto dal Piano Marshall.

Questi passaggi furono tutt’altro che lineari e pacifici; essi dettero adito a momenti di resistenza e di lotta, che spesso trovarono un punto di riferimento nel Partito Comunista Internazionalista.

Al tempo stesso, la storia del Partito Comunista Internazionalista mostra come il filo rosso della sovversione non possa essere spezzato: ancor oggi esso continua a dipanarsi, sottotraccia, tra i pori di una società che, malgrado i suoi splendori, corre verso il baratro.

Il Partito Comunista Internazionalista nacque nell’Italia del Nord verso la fine del 1942, per iniziativa di alcuni militanti della Sinistra comunista, che si richiamavano all’indirizzo originario del Partito Comunista d’Italia.

Durante la Resistenza, il Partito Comunista Internazionalista fu in aperto contrasto con la politica di unità nazionale, sostenuta da Palmiro Togliatti.

Dopo la Liberazione, si unirono al Partito altre formazioni marxiste rivoluzionarie, che si erano costituite nell’Italia Centro-Meridionale. In breve tempo, sorsero sezioni nelle principali città italiane, coprendo buona parte del territorio nazionale. E si formò quello che si può definire un piccolo partito comunista «di massa».

I comunisti internazionalisti erano presenti in molte grandi fabbriche, dove animarono una tendenza sindacale in opposizione alla linea di Giuseppe Di Vittorio, che faceva ricadere i costi della ricostruzione nazionale sulle spalle degli operai. Nelle campagne, soprattutto in Calabria e in Puglia, gli internazionalisti parteciparono al movimento dei braccianti e dei contadini. In tutte le lotte, furono in prima fila contro la reazione padronale, contro la violenza statale e contro i compromessi dei nazional-comunisti.

Ma, come si precisava, più che dagli attacchi dei nemici di classe, la loro sconfitta fu segnata dalla profonda trasformazione che il Piano Marshall produsse nella società italiana e, di conseguenza, nella composizione del proletariato.



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