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Pro mutuo mori

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(19 Settembre 2009) Enzo Apicella
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Il 4 giugno a roma: andiamo a liberarci dai “liberatori”

(15 Maggio 2004)

Il 4 giugno Bush sarà a Roma. La scelta del giorno sembra fatta apposta per ostacolare la mobilitazione contro quello che nella manifestazione di Londra dello scorso autunno è stato definito “il primo terrorista del mondo” e che ormai anche molte organizzazioni nel resto del mondo indicano come un “criminale di guerra”. Il 4 giugno, infatti, oltre che essere un giorno lavorativo, è anche l’anniversario della “liberazione” di Roma da parte dell’esercito statunitense contro il nazifascismo.

Pur dando per scontata la spinta spontanea ad una generale protesta di massa, le forze più moderate del movimento pacifista hanno già fatto sapere (a parte il solito pretesto sulle forme della manifestazione, che sarebbero violente anche se vola una sola mosca) che non intendono correre il rischio di far trasformare la mobilitazione contro le presenti gesta degli Usa in una manifestazione che metta in dubbio il ruolo di liberatore svolto da zio Sam con la seconda guerra mondiale. Insomma, sembra ripetersi il discorso opposto alle mobilitazioni del 25 aprile, che non avrebbe dovuto confondere la resistenza irachena con quella italiana, appunto nobilitata dall’appoggio della più grande democrazia mai vista al mondo. Con la conseguenza (implicita?) che bisognerebbe protestare affacciandosi solo alle finestre.

L’occasione, però, potrebbe trasformarsi in un vantaggio, se il pacifismo antimperialista esce da una posizione difensiva sempre tesa a giustificare con timidezza i necessari passaggi per riuscire ad imporre il ritiro delle truppe di occupazione dall’Iraq (e non solo dall’Iraq).

Cominciamo dal fatto che il 4 giungo è venerdì ed è quindi una giornata lavorativa. Per aggirare l’ostacolo di raggiungere Roma, molti sono tentati di proporre manifestazioni in tutte le città italiane. E’ comprensibile la buona intenzione di una simile proposta, ma, se essa dovesse passare, fa correre un rischio gravissimo. Delegando la protesta alla sola città di Roma su Roma, Bush potrebbe, anche con il consenso di quella sinistra che non ha dimenticato il contributo “americano” alla liberazione dal nazifascismo, avere pubblica agibilità nella capitale: sul piano simbolico, gestito da una comunicazione ormai monopolizzata dal governo, un Bush che passeggia sia pure per pochi metri nella nostra capitale, potrebbe produrre effetti demoralizzanti sul movimento no war. Si tenga presente, al riguardo, che a Londra il “primo terrorista”, quando non era ancora scoppiata la rivolta di massa irachena e non si erano ancora scoperte le torture, riuscì a mala pena a entrare e a uscire da una porta di servizio: in pratica si incontrò solo con il suo complice Tony Blair.

Partiamo invece dal fatto che centinaia di migliaia di persone, oggi in Italia, per i motivi più disparati, odiano a tal punto il personaggio che vorrebbero fare tutto il possibile per contestarlo in piazza. Tra il possibile non va escluso uno sciopero, magari di mezza giornata o di quanto basta per poter raggiungere Roma. Uno sciopero del genere potrebbe trovare ascolto per il fatto che esso richiamerebbe molti motivi di protesta anche nei confronti dell’offensiva interna, e quindi connotati antigovernativi. Detto con chiarezza, i pacifisti, che effettivamente vogliono il ritiro delle truppe “senza se e senza ma”, avrebbero la prima grossa occasione per raccogliere una forte spinta emotiva a sostegno di una forma efficace di lotta, quale è indubitabilmente uno sciopero. In tal senso si dovrebbero, subito e senza alcuna indecisione, pronunciare tutte quelle componenti che hanno sempre lamentato il limite etico della protesta pacifista. Quale migliore occasione per fare finalmente sul serio e per saggiare la reale volontà politica del sindacato confederale!?

Quest’ultimo da un po’ di tempo è diventato restio a scendere in piazza per il timore di manifestazioni violente. Sostiene però di volere il ritiro immediato delle truppe “senza se e senza ma”. Bene, se ancora una volta vuole dimostrare che non agita la “non violenza” come pretesto, e vuole mandare ad effetto la sua volontà, lo faccia sul suo terreno specifico.

Non ci nascondiamo che sui luoghi di lavoro il tema della guerra e dell’aggressione all’Iraq è vissuto con poca intensità. E’ vero anche però che la distrazione dei lavoratori è in parte dovuta a responsabilità sindacale. Una buona scossa in un’occasione come questa, capace di resuscitare anche i morti, potrebbe invertire la tendenza.

Naturalmente, non ci aspettiamo che il sindacato confederale assuma, con tutte le sue componenti e spontaneamente, l’occasione. Ed è anzi altamente probabile che di fronte alla possibilità di uno sciopero per il 4 giungo faccia orecchie da mercante. Ci aspettiamo però che il pacifismo antimperialista assuma l’obiettivo come battaglia politica: a nessuno sfugge che un obiettivo del genere è questa volta altamente credibile e praticabile e creerebbe enormi difficoltà al pacifismo strumentale.

Anche l’argomento degli “americani” liberatori dal nazifascismo, per quanto provochi qualche disorientamento, non sembra che allo stato sia particolarmente robusto. E’ vero che i miti e le mistificazioni sono spesso più convincenti della verità dei fatti. Tuttavia, il vero ruolo degli Usa, gia nella seconda guerra mondiale, si sta imponendo anche nell’opinione pubblica.

Intanto, diventa sempre più difficile credere che gli Usa, dopo quanto hanno fatto dal 1947 ad oggi con ostinata regolarità, siano stati i liberatori del 1945. C’è ovviamente sempre una infaticabile sinistra che tende a teorizzare la svolta dei conservatori, dopo che morì il democratico Roosevelt. Con questa interpretazione si dimentica, però, che le aggressioni nel mondo sono state preparate ed effettuate anche dai migliori democratici della Casa Bianca. Non si dimentichi le provocazioni di Kennedy a Cuba, la preparazione, sempre di Kennedy, della guerra al Vietnam, il ruolo di Johnson in questa guerra, l’aggressione alla Somalia nel 1994 e nel 1999 alla Serbia condotte da Clinton, le recenti dichiarazioni di Kerry per l’invio di altri 50 mila soldati in Iraq.

Come ha detto qualcuno, noi non riteniamo che tutti gatti siano neri: ci sono anche quelli bianchi. Ma, siano essi neri (sostenitori di un comando unilaterale) e siano essi bianchi (sostenitori di un comando multilaterale), tutti i gatti sono gatti.

Veniamo alla seconda guerra mondiale. Non staremo a ripetere le espressioni concise e precise del linguaggio marxista. Veniamo pure ai fatti, nudi e crudi. I tedeschi commisero l’orrendo sterminio degli ebrei nei campi di concentramento. Questo delitto –si dice- rappresenta un unicum nella storia. Apparentemente, l’enfatizzazione dell’Olocausto corrisponde all’esigenza di rimarcare ancor più l’indignazione dell’umanità al fine di bandire definitivamente dalla storia la possibilità che si diano crimini così efferati. A poco alla volta, dietro questo nobile fine ne è emerso un altro molto poco nobile.

Rimarcando l’Olocausto come delitto unicum, non solo quelli commessi dagli Usa diventano irrilevanti, ma, quando pure fossero stati censurabili, avrebbero avuto una qualche giustificazione. E così è stato. Gli Usa hanno sganciato due bombe atomiche contro un avversario sfinito, polverizzando in due soli giorni due grandi città e rendendo per decenni l’ambiente circostante radioattivo. Si badi bene: le hanno sganciate in Giappone e non in Germania. I motivi della scelta non appaiono meno razzisti di quelli nazisti: lo sterminio dei “musi gialli” appariva più giustificato, così come era già apparso giustificato che i giapponesi americani venissero rinchiusi negli Usa nei campi di concentramento per tutto il periodo della guerra.

Gli Usa, però, non si limitarono (si fa per dire) a scagliare due bombe atomiche. Per essere più chiari, non si limitarono a un delitto circoscritto nel tempo e nello spazio. Come ogni anziano ha vissuto anche personalmente, per liberare l’Italia non bombardavano solo gli eserciti oppressori nazifascisti. Gli obiettivi maggiormente presi di mira erano le città e le loro popolazioni civili. Perché sbagliavano con la mira? Sicuramente no, se consideriamo che alcuni luoghi dove erano insediate fabbriche con interessi americani furono tutti rigorosamente esclusi. Tale esclusione si verificò anche in Germania per certe fabbriche, mentre Amburgo, colpita dalle bombe incendiarie, subì 100.000 morti (come Tokyo). A Dresda, dove si sapeva che erano rimasti solo donne bambini vecchi e invalidi di guerra, con le bombe incendiarie si provocarono in soli tre giorni 202.000 morti. Si dice che questi crimini sono incommensurabili con l’unicum dell’Olocausto e comunque sarebbero un eccesso di reazione al nazismo. Ma, non è mai stato spiegato cosa c’entrino donne vecchi bambini e invalidi, orrendamente trucidati, con la punizione del nazismo.

Manca il razzismo, ci incalzano gli ostinati difensori degli Alleati. Con ciò si intende dire che le atrocità commesse dagli Usa nella seconda guerra mondiale sono episodiche e non sistematiche: insomma finiscono là, “chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato, scurdammece ‘o passato”. E invece no, e non solo per le bombe atomiche sui “gialli” o per i genocidi commessi nel dopo guerra fino ad oggi.

Come la storiografia mette sempre più in evidenza, negli Usa intanto c’era molta condivisione del razzismo tedesco. A tal riguardo, rinviamo, tra gli altri, ad alcuni saggi di Losurdo e allo “Impero invisibile” di Bulgarelli e Zona. La condivisione non la si riscontrava solo negli ambienti del Ku Klux Clan, ma nell’intellettualità del “Council for foreign relations” (in pratica il vero laboratorio del potere politico) e tra i big di Wall Street. In un libro molto interessante di moltissimi anni fa titolato “Economia Nazista”, Charles Bettelheim mette in evidenza il fitto intreccio del capitale statunitense con quello tedesco. Intreccio che non venne meno neppure durante la guerra, tant’è che anche in Germania alcune fabbriche, pur in uno scenario apocalittico di bombardamenti a tappeto, risultarono miracolosamente intatte.

Forse anche gli Usa si sbagliarono come Churchill sul nazismo (ancor prima sul fascismo) e poi si ravvidero? Forse, c’era solo il calcolo sbagliato di volere utilizzare il nazismo contro il bolscevismo? Francamente, e senza dover fare approfonditi scavi archeologici e mettendo al loro giusto posto cose notissime, ci sembra di dover rispondere sicuramente di no.

Tralasciamo qui l’impenitente fondamentalismo religioso (gli Usa sono ancora gli unici occidentali che, pur contro l’Islam, fanno la guerra in nome di Dio), la dottrina Monroe e il manifest destiny. Veniamo a fatti assolutamente incontestabili, per la loro enormità soprattutto.

Nella storia degli Usa c’è un unicum, che fece peraltro invidia ai nazisti. Dopo essersi liberati dalla dominazione inglese ed essersi dotati di una delle più avanzate costituzioni liberal-democratiche, essi continuarono per oltre 70 anni a mantenere la schiavitù. Non la servitù, che era già un progresso medievale rispetto all’antico impero romano, ma la schiavitù: quella con le catene ai piedi! In piena modernità, una società demo-borghese convive con la schiavitù. Sicuramente una contraddizione, ma essa non può essere liquidata con il fatto che dopo la guerra civile è stata abolita. Per due ordini di motivi.

Primo, perché anche i più avanzati liberali dell’epoca la ritenevano compatibile con la libertà dei bianchi.

Secondo, perché dopo la liberazione degli schiavi, proprio per il profondo razzismo dei bianchi americani, i negri finirono nell’apartheid…per un altro secolo! Negli anni sessanta del secolo scorso, viene abolita l’apartheid con la durissima lotta per i diritti civili…e la necessità di mandare i “negri” a combattere in Vietnam; ma i neri (e un bel po’ di chicanos) finiscono nei ghetti (altro unicum della nostra modernità e post-modernità) e nelle galere. A quest’ultimo proposito, con i suoi 2.200.000 carcerati e i circa 6 milioni in libertà vigilata…e a lavoro sottopagato coatto (in pratica persone che hanno un piede dentro e un piede fuori dalle galere), gli Usa sono un altro caso eccezionale, assolutamente inimitabile. In rapporto alla popolazione complessiva, gli Usa hanno una popolazione carceraria (senza considerare i circa 6 milioni “liberi” su stretta vigilanza) sette volte superiore a quella italiana. Per non parlare di Guantanamo e delle torture in Iraq e in Afghanistan.

Ma c’è una altra “delizia” degli “americani” che non bisogna mai dimenticare in tema di razzismo sterminatore. I nazisti hanno sterminato 6 milioni (prendiamo questa cifra, anche se fonti ebraiche della fine degli anni quaranta del secolo scorso parlavano di 4 milioni e mezzo) di persone tra ebrei, zingari, omosessuali, portatori di handicap e slavi). Per razzismo! Se non fermati, probabilmente sarebbero arrivati ad un genocidio impensabile. Negli Usa l’impensabile invece è stato realizzato: sono stati sterminati 50 milioni di natives. Domanda: perché la nostra coscienza, di fronte ad una strage 10 volte superiore a quella perpetrata sugli ebrei, si indigna 10 volte di meno?

Residua, però, il solito pistolotto sulla democrazia: non sono solo quelli come Schifani a propinarcelo. Una democrazia dove si può denunciare qualsiasi abuso, perfino la tortura generalizzata e reiterata, organizzata dagli apparati più potenti del mondo. Che vuoi di più dalla vita? Due parole al riguardo, senza timore di smentita.

Intanto, gli Usa dovunque dominano nei paesi periferici impongono il più brutale nazismo, con permissività di genocidio: i paesi periferici sono quasi i 5/6 dell’umanità. Quanto al loro territorio, ci sia consentito di dubitare moltissimo che si tratti di un normale regime demo-borghese. Certo, il nazismo vietava che in basso si potesse liberamente parlare, scioperare, associarsi, mentre negli Usa tutto ciò è permesso (lasciamo pure stare quanta gente è stata ammazzata prima che potesse rivelare). Ma è anche vero che la libertà in basso non può minimamente scalfire democraticamente la più imponente blindatura del potere della storia.

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