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Guerre monetarie ed energetiche dell’impero

Contraddizioni interimperialiste

(1 Febbraio 2012)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in ciptagarelli.jimdo.com

Contraddizioni interimperialiste

foto: ciptagarelli.jimdo.com

La pericolosa ed ormai endemica congiuntura in Medio oriente si è aggravata questa settimana con l’adozione da parte dell’Unione Europea (UE) dell’embargo sugli acquisti di petrolio e prodotti petrolchimici iraniani, accompagnato da un’altra serie di sanzioni contro la banca centrale iraniana. Quando non si è ancora compiuto il primo anniversario dei bombardamenti della NATO per cambiare il regime in Libia e si vedono segnali di guerra civile con i combattimenti tra le fazioni “rivoluzionarie” e gli attacchi dei simpatizzanti dello sconfitto Muhamamr Gheddafi, gli stessi governanti di Stati Uniti, la Francia, la Gran Bretagna e altri paesi della UE che decisero un’azione rapida contro il governo di Tripoli stanno ora reclamando azioni militari contro Siria e Iran.

Tutto questo nel contesto della grave crisi finanziaria ed economica che colpisce l’UE, con le conseguenze di disoccupazione e impoverimento di massa, e che è sulla strada per diventare una “guerra monetaria” per i livelli stratosferici di indebitamento degli Stati occidentali, in particolare degli USA, che finanziano il loro indebitamente grazie alla supremazia del biglietto verde come moneta di riserva e di pagamento nelle transazioni commerciali internazionali.

Molti paesi stanno già cercando un’alternativa al dollaro statunitense perché è evidente che con l’altissimo livello di indebitamento degli USA questa moneta manca di un appoggio solido a medio e lungo termine, e quindi non è una divisa di riserva affidabile. Persino il Fondo Monetario Internazionale ha prospettato, meno di un anno fa, la necessità di trovare un’alternativa al dollaro. Altri paesi vogliono un’alternativa al dollaro per liberarsi delle pressioni e delle sanzioni di Washington e dei suoi alleati europei, e per poter correggere le distorsioni nei termini di interscambio che attualmente provoca l’’uso quasi esclusivo del dollaro per il commercio mondiale delle materie prime.

Biglietto verde e oro nero

L’analista brasiliano Pepe Escobar, che da anni si occupa della lotta di interessi imperialisti nei paesi chiave per la loro ricchezza di idrocarburi o perché sono luogo di transito ideale o obbligato dei condotti per trasportare petrolio o gas naturale ai mercati occidentali, scriveva a metà gennaio (Il mito dell’Iran “isolato”, atimes.com e tomdispacht.com) che la “linea rossa nella crisi iraniana non è la questione nucleare, ma il petrolio e i petrodollari.

Washington e i suoi alleati europei vogliono provocare un cambio di regime in Iran – paese che conta con più del 12% delle riserve globali di idrocarburi – ragion per cui hanno lanciato una guerra monetaria destinata a provocare una “megasvalutazione” del rial iraniano attraverso le sanzioni decise dal Congresso statunitense nello scorso dicembre alle banche e alle imprese che intrattengano transazioni con la Banca Centrale iraniana.

Questa politica, secondo Escobar e altri analisti, non avrà necessariamente i risultati sperati, perché queste aggressioni consolideranno la politica di “sostituzione delle importazioni” (che tanto è servita nel passato e continua a servire nel presente a molti paesi sudamericani), cosa che produrrà posti di lavoro, faciliterà l’esportazione di prodotti iraniani non del ramo petrolifero e consoliderà sul mercato iraniano la predominanza della Cina quale fornitore di beni industriali e di alta tecnologia.

L’Iran non è così isolato come piacerebbe a Washington. Il gasdotto Iran-Pakistan – ricorda Escobar - è in cammino e il primo ministro pachistano Yusuf Gilani visita con frequenza Teheran. Il presidente afgano Hamid Karzai ha affermato di voler stringere i rapporti con l’Iran, e anche le autorità della Turchia, paese che agisce come punta di lancia contro il governo siriano in questo momento, hanno “segnalato il loro rifiuto di altre sanzioni contro il petrolio iraniano”, perché la Turchia vuol essere il paese attraverso cui passerà il gasdotto che “qualche giorno” porterà il gas iraniano in Europa.

Gli analisti latinoamericani, che non sono soggetti al filtro mediatico europeo o statunitense, sanno che la recente visita del presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad in vari paesi dell’America Latina, una regione dove se c’è chi è isolato questa è Washington, è stata un successo. E in Asia, dove si trovano i principali clienti del petrolio iraniano, Teheran conta con almeno due compratori finali – India e Cina – che hanno già rifiutato di partecipare a questa “guerra economica” lanciata da Washington e dall’Unione Europea.

Oro nero senza biglietto verde

Pechino sta già comprando petrolio contro yuan in vari paesi e sta negoziando acquisti futuri di crudo con la sua moneta niente meno che in Qatar, quel piccolissimo paese del Golfo Persico governato da una monarchia assoluta che difende assolutamente l’introduzione con la forza della “democrazia della NATO” in paesi lontani dalle sue frontiere, come la Siria e la Libia.

L’ex ambasciatore indiano M. K. Bhadrakumar, diplomatico che ha lavorato in Unione Sovietica, Corea del Sud, Turchia e in vari paesi asiatici e che scrive regolarmente su Asia Times, analizza questa settimana la recente visita che il Primo Ministro cinese Wen Jibao ha fatto in Qatar, e le sue dichiarazioni alla stampa. Wen Jibao ha detto che il suo paese vuole investire in Qatar per produrre petrolchimici, e quindi Pechino e Doha investiranno nella costruzione di una raffineria in Cina. E ha anche informato che imprese cinesi vogliono partecipare a “progetti di infrastrutture in Qatar”, e che per quello che riguarda il gas naturale i due paesi stanno discutendo di “una cooperazione a lungo termine, stabile e completa”.

E, come sottolinea Bhadrakumar, il primo ministro ha lasciato la sorpresa per il finale, quando si è riferito a “un altro punto importante”: “Al fine di affrontare il tema degli investimenti, noi (Cina e Qatar) abbiamo bisogno di appoggio finanziario. Quindi arriviamo ad un altro accordo, un accordo di cooperazione che vincola le finanze con gli investimenti. Il Qatar ha anche proposto l’utilizzo di moneta locale nei pagamenti commerciali e anche un tasso specifico. Penso che si possa studiare questa proposta”.

Alcuni giorni prima, ricorda l’ex ambasciatore e analista, il primo ministro cinese aveva firmato un accordo di interscambio monetario tra il suo paese e gli Emirati Arabi Uniti (EAU) per un importo equivalente a cinquemila 500 milioni di dollari. Questo “swap”, secondo le dichiarazioni della Banca Centrale della Cina, punta a “rafforzare la cooperazione finanziaria bilaterale, promuovere il commercio e gli investimenti e insieme salvaguardare la stabilità finanziaria regionale”.

Parlando ad un vertice energetico negli EAU, Wen ha lanciato la proposta di “creare un organismo internazionale che abbia il compito di determinare il prezzo del petrolio e che regolerebbe le politiche di tutta la catena di rifornimento coinvolgendo i paesi produttori, quelli consumatori e anche i paesi di transito” segnala l’ex ambasciatore Bhadrakuma

L’introduzione dello yuan, dell’euro, della sterlina, del rublo e di altre divise, e anche la proposta di creare un “paniere” di divise nel commercio petrolifero per farla finita con la “tirannia del dollaro statunitense” è una vecchia aspirazione dei governanti che, come scrive Pepe Escobar, in alcuni casi hanno finito per essere rovesciati da interventi militari: nel 2000 “Saddam Hussein abbandonò il dollaro quale divisa per le transazioni del petrolio che l’Iraq esportava” e tre anni più tardi gli USA lanciarono una guerra contro l’Iraq per causare un cambio di regime; Muhammar Gheddafi aveva proposto la creazione di una moneta per gli interscambi commerciali del continente africano – il dinaro oro – e nel marzo 2011 “Francia, Gran Bretagna; Stati Uniti, Canada, Qatar e altri paesi della NATO hanno invaso la Libia per provocare un “cambio di regime”.

Per questo, secondo Escobar, lasciando da parte le nuove sanzioni contro la Banca Centrale Iraniana che ci vorranno mesi perché siano applicate nella loro totalità e ignorando le minacce di chiudere il traffico petrolifero nello Stretto di Ormuz – qualcosa di improbabile perché è da lì che passa la maggior parte del petrolio che l’Iran esporta – forse “la chiave principale della crisi crescente nel Golfo Persico è rappresentata da questi movimenti per dribblare il petrodollaro quale divisa per qualsiasi tipo di interscambio”.

L’Iran e la Russia già utilizzano le loro divise nazionali per il commercio bilaterale. L’India di è accordata con l’Iran per pagare le importazioni di petrolio iraniano – che assomano tra i 12 e i 14 milioni di dollari l’anno – in rupie indiane, che poi verrebbero convertite in una moneta denominata in altro modo.

Una fonte israeliana vicina ai servizi segreti (DEBKAfile) ha affermato questa settimana che l’Iran e l’India stanno negoziando il pagamento in oro come alternativa.

Quello che l’ex ambasciatore Bhadrakumar sottolinea è che, mentre Russia e India hanno posizioni non subordinate agli USA, questo non è il caso del Qatar e degli EAU, monarchie che costituiscono pedine chiave della strategia occidentale in Medio Oriente e un sostegno vitale al ricilo dei petrodollari.

Il governo cinese “si sta posizionando in mezzo alla linea divisoria” e sta rafforzando i suoi interessi sulle due sponde del Golfo Persico, cosa che “apre un fantastico panorama di cooperazione tra Cina e il Consiglio di Cooperazione del Golfo” (CCG), commenta l’ex ambasciatore Bhadrakumar, che aggiunge che l’utilizzaizone dello yuan e delle divise dei paesi del Golfo Persico negli interscambi bilaterali crea “una nuova matrice” che permette di intravedere la sostituzione del dollaro statunitense quale moneta di interscambio nel commercio petrolifero con i paesi asiatici.

In un articolo intitolato “L’Europa alla guerra con l’Iran”, l’analista Pepe Escobar ricorda, nientemeno, che la gigantesca compagnia petrolifera britannica British Petroleum (BP) ha chiesto al governo di Barak Obama di essere esentata dal sistema di sanzioni contro l’Iran per non compromettere lo sviluppo del giacimento di gas Shah Deniz II in Azerbaigian, che ha un costo di 22.000 milioni di dollari e che alimenterà il gasdotto Nabucco, progettato per alimentare la UE con il gas del Mar Caspio evitando il passaggio attraverso la Russia, paese che attualmente è il principale fornitore di gas naturale di molti paesi della Unione Europea stessa. E aggiungendo che l’Iran ha una partecipazione in questo progetto tale che le permette di bloccarlo, Escobar ironizza sulla “situazione post-surrealista” della gigantesca BP “che implora gli USA che la esentino dalle sanzioni perché altrimenti si porrebbe a rischio la sicurezza energetica dell’Europa”.

Cina, Russia, India, Giappone e altri paesi, tra cui molti dell’America Latina, stanno tessendo una serie di accordi bilaterali per negoziare con le proprie monete che – secondo Escobar – si trasformerà inesorabilmente in un affare multilaterale, il che significa che il biglietto verde verrà lentamente rimpiazzato quale divisa di riserva a livello mondiale, “con tutte le conseguenze che questo implica”.

da: surysur.met; 27.1.2012
(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

Alberto Rabilotta, Economista e giornalista argentino.

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