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Bahrain, la rivoluzione impossibile

La commissione d'inchiesta indipendente torna a Manama per vigilare sulle riforme promesse dall'emiro al-Khalifa. Proposte insufficienti per una rivolta che continua, giorno dopo giorno, a essere soffocata.

(5 Febbraio 2012)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in nena-news.globalist.it

Bahrain, la rivoluzione impossibile

foto: nena-news.globalist.it

GIORGIA GRIFONI

Roma, 5 febbraio 2012, Nena News. La stampa li chiama “gli ispettori delle proteste” e li dichiara “indipendenti”. Lo scorso novembre, avevano denunciato le violenze compiute dalle forze di polizia nei primi mesi della ‘primavera bahrainita’, violenze che avevano provocato almeno 35 morti e che erano state spazzate via dai carri armati sauditi intervenuti per salvare il minuscolo vicino. Ma si erano ben guardati dall’accusare e screditare re Hamad al-Khalifa per la repressione delle proteste. Qualche giorno fa gli ispettori, guidati dal professore anglo-egiziano Sherif Bassiouni, hanno riportato a Manama la ‘Commissione d’Inchiesta indipendente per il Bahrain’ (Bici) con una missione che durerà fino a marzo. L’obiettivo? Aiutare l’emiro a scucire qualche riforma ed evitare un nuovo bagno di sangue.

La versione ufficiale del mandato è quella di “valutare quanto il Governo abbia fatto per lanciare le riforme”, ma la realtà è che poco è stato proposto in direzione della democrazia. In un discorso alla Nazione due settimane fa, al-Khalifa aveva dichiarato di voler limitare il potere dell’esecutivo: più poteri, quindi, al Parlamento per le interrogazioni ai Ministri e più protezione dalla destituzione da parte del re. Rimane però oscuro come possa il Parlamento avere maggiori poteri se il Consiglio della Shura, che conta 40 membri, è interamente nominato dall’emiro: non è altresì chiaro come e quando verranno ridimensionati i poteri del re e del primo ministro -che è lo zio del sovrano- di rimuovere i parlamentari.

Dichiarazioni che ‘non bastano’, secondo alcuni membri dell’opposizione riportati da al-Jazeera: “ci aspettavamo questo tipo di riforme –ha detto Ali al-Aswad, membro del maggiore partito sciita d’opposizione al-Wefaq – almeno dieci ani fa. Queste non sono le richieste della piazza. Ora è tutto diverso, alla luce di quello che è accaduto negli altri paesi arabi”. Se è vero che il re ha promesso piccole riforme degli organi costituzionali, è anche vero che in Bahrain si continua a protestare da quasi un anno: i media riportano che le manifestazioni si stanno intensificando man mano ci si avvicina al 14 febbraio, anniversario dell’inizio della rivolta. I numeri ufficiali della ribellione –quelli rilasciati dalla Bici- parlano di 35 morti, centinaia di feriti e 500 arresti. Le cifre degli osservatori per i diritti umani raccontano invece qualcosa in più: 1500 fermi, 45 morti (l’ultimo dei quali qualche giorno fa), 3000 allontanati dai propri lavori e 500 persone ancora in carcere. Un rapporto dell’Anhri (Arabic network for human rights information) ha confermato qualche giorno fa anche la portata della censura nel Paese: sono molte le persone picchiate dalla polizia e arrestate per aver partecipato alle marce o per aver semplicemente ascoltato canzoni che incitano al cambiamento. Un’attivista intervistata da al-Akhbar denuncia la “macchina repressiva che mobilita l’intero apparato statale: la stampa, la giustizia, l’esercito, il ministero dell’interno, l’intelligence, i servizi sanitari e altri ministeri”.

Alla luce dei fatti e delle continue accuse di repressione fatte all'emiro, è stato vantaggioso da parte sua nominare –con gesto unilaterale – una commissione d’inchiesta ‘indipendente’? A uno sguardo superficiale, sì. Perché ha abbellito a livello internazionale la propria immagine: è stato il sovrano che ha investigato sui crimini commessi dalle sue forze di polizia. Ma guardando meglio, si notano incongruenze quali: la festa organizzata a palazzo reale per la pubblicazione del rapporto, con inviti a giornalisti e Ong precedentemente cacciati dal paese; totale assoluzione del re da parte di Bassiouni; nessuna novità per la sorte di quel mezzo migliaio di attivisti in carcere da quasi un anno. E la piazza continua, nonostante tutto, la sua rivolta. Una rivolta guidata dagli sciiti, che compongono la maggioranza della popolazione e subiscono continue discriminazioni a livello istituzionale, politico ed economico. La questione del settarismo nel paese doveva essere uno dei punti del ‘dialogo nazionale’ auspicato dalla Bici: un argomento che, assieme alla dilagante corruzione nel paese, non è stato ancora affrontato dalle dichiarazioni reali. Un’attivista denuncia su al-Akhbar che “il regime ha cercato di alterare radicalmente l’aspetto della popolazione del paese tramite la naturalizzazione massiccia di migliaia di stranieri (sunniti, ndr)”. E il Consiglio di Cooperazione del Golfo, su proposta dell’Arabia Saudita, è intenzionato a diventare una confederazione di lotta alle infiltrazioni iraniane nella penisola. Una dichiarazione che condanna a morte le minoranze sciite senza diritti del Golfo. E, soprattutto, la rivoluzione in Bahrain. Nena News.

Nena News

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