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    L’ossimoro dei “mercati autoregolatori”

    (9 Febbraio 2012)

    anteprima dell'articolo originale pubblicato in ciptagarelli.jimdo.com

    Europa

    foto: ciptagarelli.jimdo.com

    Ossimoro, nel Dizionario della Lingua Spagnola, significa “combinazione nella stessa struttura sintattica di due parole o espressioni di significato opposto, che da vita ad un nuovo significato: ad es.. rumoroso silenzio”. Un altro esempio (che non figura nel dizionario) è l’espressione “mercati autoregolati”, cioè il sistema neoliberista che per sopravvivere “esige regolarmente l’intervento e la azione coercitiva dello Stato”.

    Il Consenso di Bruxelles, come prima il Consenso di Washington

    Dal Vertice dell’Unione Europea (UE) che ha avuto luogo a Bruxelles lo scorso 30 gennaio, è uscito un Trattato sulla Stabilità, la Coordinazione e la Governance nell’Unione Economica e Monetaria che, su insistenza della Germania – come segnala il giornale britannico The Guardian – trasforma la Commissione Europea (CE) in un organismo “scrutatore” dei bilanci statali che d’ora in poi verranno redatti dai paesi membri della UE, e la Corte di Giustizia Europea (CGE) nell’istituzione che applicherà il “rigore fiscale” nella zona euro (ZE).

    Per dirla più chiara: questo Trattato (che non fa parte dei Trattati della ZE per evitare il processo di ratifica e permette che esso entri in vigore con l’appoggio soltanto di 12 dei 27 paesi della UE) trasforma la CE nell’istanza sovranazionale che deciderà – al posto dei parlamenti – la politica di spesa statale, e la CGE nella “polizia fiscale sovranazionale” che – tornando all’articolo del quotidiano britannico – “può applicare in modo quasi automatico” multe agli Stati che in modo continuo non si attengano alle nuove regole che rendono illegale il deficit fiscale.
    E il Trattato rende obbligatorio per il 17 paesi della UE – e per quelli che saranno accettati in futuro – l’adozione di legislazioni di emendamenti costituzionali obbligatori per “abolire il diritto dei governi a ricorrere ad eccessivi livelli di debito nazionale”.

    La Cancelliera tedesca Angela Merkel, secondo il quotidiano, ha detto che “questo freno al debito sarà un adempimento obbligatorio e valido per l’eternità. Mai (i governi) potranno cambiarlo attraverso una manovra parlamentare”. Cioè, per dirlo in termini più crudi, la democrazia parlamentare non potrà mai liberarsi di questa camicia di forza imposta dai “sacri” interessi della plutocrazia finanziaria e dei suoi alleati.

    Insomma, la UE ha istituzionalizzato per la zona euro una creatura equivalente al Consenso di Washington (CW, del 1989) che, coi suoi 10 comandamenti (1), è servito perché la Banca Mondiale, il FMI e le altre istituzioni controllate dagli Stati Uniti imponessero in America Latina durante il decennio dei ’90 le politiche di governo destinate a distruggere quanto restava in piedi dello “Stato benefattore” e far germinare i “mercati autoregolati”, cioè il neoliberismo: politiche di austerità, di deficit zero, di libero commercio, di investimenti stranieri protetti, di privatizzazione dei servizi pubblici, la “mobilità” del lavoro per distruggere i sindacati e applicare riduzioni salariali, tra le altre cose che provocarono disastrose e durevoli conseguenze socio-economiche per i popolo latinoamericani.

    Questa politica verrà ora applicata totalmente in Grecia e negli altri paesi della UE che portano il fardello di un debito pubblico prodotto, in buona misura, della “socializzazione” delle perdite delle banche private europee, che – sia detto en passant – sono state e continueranno ad essere salvate dall’insolvenza dalla Banca Centrale Europea perché recuperino la posizione dominante nel settore finanziario.

    La deriva autoritaria del governo della signora Merkel è emersa nei giorni che hanno preceduto il Vertice di Bruxelles quando funzionari tedeschi fecero filtrare alla stampa la notizia che la Germania esigeva che “la Grecia cedesse il suo potere in materia di bilancio alla UE”. La proposta di inviare un “commissario” della UE per elaborare il bilancio del governo di Atene ha causato agitazioni in Grecia, Italia e altri paesi indebitati che, in cambio dell’ “aiuto” che salverà le banche creditrici, devono applicare i brutali programmi di tagli strutturali e la politica del “deficit zero” in bilancio.

    Ci sono analisti, come lo stratega degli investimenti Marshall Auerback (The German launch a Blitkrieg on the Greek Debt Negotiations, in: nakedcapitalism.com) che in questa minaccia della Cancelliera Merkel e della Troika (la CE, la BCE e il FMI) che “l’austerità fiscale sarà applicata nei nostri termini”, vedono un segnale agli altri paesi indebitati, come Portogallo, Spagna, Irlanda e Italia: “Provatevi a rinegoziare (il debito) come stanno facendo i greci e vi metteremo sotto il nostro controllo. L’alternativa è che ve ne andiate dalla Zona Euro”.

    Senza pessimismo, ma il presente assomiglia molto al passato

    Nel 1944, quando la II Guerra Mondiale provocata dal fascismo stava terminando in e continuava in Asia, l’economista ungherese Karl Polanyi pubblicava a Londra la prima edizione di La Grande Trasformazione, un libro molto ben documentato sulla storia del liberismo economico, il “laissez faire” o i “mercati autoregolati”, sulla crisi che provocò nel corso del 19° secolo e l’inizio del 20°, il suo crollo come conseguenza della Grande Depressione degli anni ’30 e sul sorgere del corporativismo fascista.

    Retrospettivamente si metterà all’attivo della nostra epoca l’aver assistito alla fine del mercato autoregolatore. Gli anni Venti (del secolo 20°) hanno visto il prestigio del liberismo economico al suo apogeo. Centinaia di milioni di esser umani hanno sofferto il flagello dell’inflazione, classi intere, intere nazioni sono state espropriate. La stabilizzazione delle monete divenne il punto focale del pensiero politico di popoli e governi; la restaurazione del sistema aureo si convertì nell’obiettivo supremo di tutti gli sforzi organizzati sul terreno dell’economia. Si riconobbero il rimborso dei prestiti stranieri e il ritorno ad una moneta stabile come le pietre miliari della razionalità in politica, e si considerò che nessuna sofferenza personale, nessuna ingerenza nella sovranità era un sacrificio troppo grande per recuperare l’integrità monetaria. Le privazioni dei disoccupati a cui la deflazione aveva fatto perdere il lavoro, l’indigenza totale dei funzionari licenziati, senza neppure una pensione da miseria, e persino l’abbandono dei diritti della nazione e la perdita delle libertà costituzionali furono giudicate un prezzo giusto da pagare per rispondere alle esigenze di bilanci sani e monete solide, le priorità del liberismo economico” (Karl Polanyi, La Grande Transformation, Editions Gallimard, pagg. 192-193).

    Mentre attualmente il discorso ufficiale dei governi, delle istituzioni e della plutocrazia finanziaria che propugnano il neoliberismo attacca qualsiasi forma di interventismo economico, come le politiche di pianificazione economica e gli stimoli per aumentare la domanda aggregata e generare posti di lavoro, adducendo che i mercati autoregolati escludono l’intervento statale, in realtà – e come segnalava Polanyi nell’opera citata – “questo liberismo economico esige regolarmente l’intervento statale e l’azione coercitiva dello Stato”. Ma non a beneficio dell’economia, del lavoro, ma degli interessi capitalisti che sono in posizione dominante.

    Le decisioni successive del Vertice della UE -e lo stesso si potrebbe dire di quelle prese dai governi di Washington e di Londra dopo lo scoppio della crisi nel 2008 e fino al momento attuale - sono prove irrefutabili del fatto che i cosiddetti mercati autoregolati esistono e prosperano a danno della popolazione in generale grazie ad un intervento ogni volta più coercitivo degli Stati.
    Come scrive Polanyi (pag.200 dell’opera citata), lo Stato interviene per stabilire (il liberismo economico) e, una volta stabilito, per mantenerlo.

    Quali sono i pericoli di questo interventismo antipopolare e autoritario dello Stato per mantenere il neoliberismo? Ricapitolando la nascita e l’espansione del fascismo come conseguenza della crisi monetaria, finanziaria ed economica degli anni ‘30, Polanyi segnala che “l’ostinazione con cui, durante dieci critici anni, i difensori del liberismo economico avevano sostenuto l’interventismo autoritario al servizio delle politiche deflazioniste ebbe come conseguenza pura e semplice l’indebolimento decisivo delle forze democratiche (i partiti socialdemocratici e socialisti, i sindacati) che avrebbero potuto deviare la catastrofe fascista. Gran Bretagna e Stati Uniti, che non erano i servi ma i padroni della moneta, abbandonarono il sistema aureo tanto rapidamente da poter sfuggire questo pericolo” (pag. 302) e aggiunge più avanti (pag. 305) che “se mai un movimento politico rispose alle necessità della situazione oggettiva, invece di essere la conseguenza di cause fortuite, questo fu proprio il fascismo”.

    Il fascismo, continua Polanyi, proponeva un modo di sfuggire alla situazione istituzionale senza uscita che era, essenzialmente, la stessa in un gran numero di paesi, e quindi l’adozione di questo rimedio servì a propagare dappertutto un’infermità mortale. Così muoiono le civiltà. Possiamo descrivere la soluzione fascista all’impasse in cui si era messo il capitalismo liberista come una riforma dell’economia di mercato realizzata in cambio dell’estirpazione di tutte le istituzioni democratiche, sia sul terreno delle relazioni industriali che in campo politico.

    Non è casuale che oggi, in una situazione di grave crisi e con la disoccupazione che raggiunge livelli inaccettabili nella UE, particolarmente tra i giovani, con l’impoverimento che mette radici anche in parti delle classi medie, che l’estrema destra neofascista sia arrivata o faccia parte dei governi di vari paesi europei. Un’estrema destra pesantemente antidemocratica che riprende le bandiere del nazionalismo primario ed escludente, che non ha abbandonato la sua essenza xenofoba né l’uso della lotta di classe per intimidire le forze realmente progressiste e che, come all’origine Mussolini e i nazisti tedeschi, fa un demagogico discorso “anticapitalista” per attrarre il voto dei lavoratori colpiti dai bassi salari o dai licenziamenti, della piccola borghesia schiacciata dai monopoli commerciali, industriali e finanziari, delle classi medie impoverite e senza prospettive.

    Tutto quanto sopra è valido per la Gran Bretagna, per gli USA, per il Canada e per altri paesi capitalisti avanzati, dove è evidente una deriva autoritaria che si accentua con la concentrazione del potere – per l’esclusione evidente dei parlamenti e delle assemblee nazionali dai processi di dibattito e dalla presa delle decisioni in qualsiasi materia di importanza – in mano ai Poteri Esecutivi che difendono esclusivamente gli interessi della finanza, delle multinazionali, delle società petrolifere e dell’estrazione mineraria che, a loro volta, finanziano i partiti politici di governo, cioè i partiti che si alternano per proseguire fondamentalmente la stessa politica.

    Questa deriva autoritaria per salvare i mercati autoregolati può finire in una vecchia o nuova forma di totalitarismo. Tutto è pronto per reprimere il malcontento popolare che logicamente nascerà in modo massiccio nei prossimi mesi, nella misura in cui la situazione si deteriorerà in molti paesi.

    La repressione è un elemento indispensabile per poter applicare questa austerità selvaggia.

    Così è stato in Sudamerica, terra di sperimentazione del neoliberismo, di tutte le terapie di shock e di altre infamie del sistema imperialista, come sempre ricorda lo storico statunitense Greg Grandin.

    Nota (1)

    I “dieci comandamenti” del Consenso di Washington sono, in maggioranza, inclusi nei Trattati e nei principi che guidano la UE. Il Trattato adottato il 30 gennaio scorso riprende il “1° comandamento” e lo trasforma in assoluto: disciplina di bilancio. I bilanci pubblici non possono avere deficit.

    I nove “comandamenti del Consenso di Washington” sono i seguenti: riordinamento delle priorità della spesa pubblica; riforma della tassazione (ampliare le basi della tassazione e ridurre le più alte); liberalizzazione dei tassi di interesse; tipo di cambio competitivo della moneta; liberalizzazione del commercio internazionale; eliminazione delle barriere agli investimenti stranieri diretti; privatizzazione (vendita delle imprese pubbliche e dei monopoli statali); de-regulation dei mercati; protezione della proprietà privata.

    da: alainet.org; 2.2.2012
    (traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

    Alberto Rabilotta
    Economista e giornalista argentino/canadese.

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