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(27 Agosto 2013) Enzo Apicella
Obama ha deciso di attaccare la Siria, in ogni caso.

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La Siria e la nuova guerra umanitaria

(19 Febbraio 2012)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.webalice.it/mario.gangarossa

Non è possibile comprendere gli avvenimenti della Libia, della Siria, e il comportamento di Francia, Gran Bretagna, Italia, Russia, Cina, se non si parte direttamente dalla politica del paese egemone, gli Stati Uniti. I cambiamenti di questa strategia, anche se non puramente formali, da circa un secolo non modificano il nucleo fondamentale. Mentre alla fine dell’ottocento e nel primo novecento la sostanza della politica estera USA era ancora il dominio delle Americhe, e la giustificazione era data da un’interpretazione estensiva della dottrina di Monroe, dalla prima guerra mondiale – e forse da prima ancora – è diventata la conquista del mondo, mascherata dall’ideale della diffusione della democrazia. Effettivamente, nessun paese ebbe a portata di mano in modo così evidente tale possibilità. Dopo il secondo tentativo di suicidio dell’Europa, a metà degli anni quaranta gli USA avevano quasi il 50% della produzione industriale mondiale. E una seconda occasione si ebbe dopo il crollo dell’Unione Sovietica, quando la superiorità militare era abissale.

La guerra libica, come quella alla Siria, era decisa da anni, e il napoleonico Sarkozy è stato solo una pedina. Come ha rivelato Wesley Clark, alto ufficiale dell’esercito USA, nel 1991 Paul Wolfowitz, allora vice-segretario alla Difesa, disse: “Abbiamo 5 o 10 anni per ripulire tutti questi regimi favorevoli all’ex Unione sovietica, la Siria, l’Iran, l’Iraq, prima che la prossima superpotenza emerga a sfidarci”. Poco dopo l’11 Settembre, un generale informò Clark della decisione di attaccare l’Iraq e in seguito gli mostrò un documento in cui si parlava di prendere 7 paesi in 5 anni, l’Iraq, la Siria, il Libano, la Libia, la Somalia, il Sudan e l’Iran.(1)

Per limitarci agli ultimi decenni, c’è una costante, nonostante qualche cambiamento tattico: l’alleanza con i settori più reazionari del fondamentalismo islamico, e non solo Arabia Saudita e Qatar. Al tempo della guerra afgana contro l’Unione sovietica, Reagan chiamava “combattenti della libertà” Osama bin Laden e i suoi compagni di merenda. Le forze sovietiche dovettero lasciare l’Afghanistan, ma fu pure la fine di ogni posizione laica.

Saltiamo molte fasi intermedie: Al Qaida divenne il pretesto per la nuova guerra afgana, condotta in alleanza con altri “amici della democrazia”, i signori della guerra. Con la guerra irachena, si giocò sulla contrapposizione tra sciiti e sunniti. C’è da meravigliarsi se, dopo la sceneggiata della presunta uccisione e sepoltura di Fantomas bin Laden (l’oceano come cenotafio!), i suoi uomini sono stati sdoganati, e hanno avuto un gran peso nella presunta liberazione della Libia? Basti pensare che governatore militare di Tripoli fu nominato Abdelhakim Belhaj, collaboratore di Osama bin Laden , dirigente di al-Qaida in Libia, con l’approvazione della NATO. E non si tratta di un caso isolato, il diverso atteggiamento si vede anche in Inghilterra: Abu Qatada, “ambasciatore di Osama bin Laden in Europa”, è stato rilasciato in libertà vigilata, e forse entro tre mesi sarà libero. (La Gran Bretagna "riconfeziona" al-Qaida, Rete Voltaire).

Le pedine possono essere diverse, ma il gioco resta quello: l’America vede il suo primato politico, economico, militare insidiato da nuove potenze, e conduce una serie di guerre preventive per impedire l’ascesa degli aspiranti alla successione. La Russia, resa innocua al tempo della vodkacrazia di Eltsin, è tornata ad essere un avversario. Fallito il tentativo di utilizzare direttamente il nazionalismo georgiano - le ambizioni del presidente Saakashvili, dopo la guerra con la Russia dell’agosto 2008, sono naufragate nel ridicolo, e la Georgia ha dovuto ridurre fortemente le spese militari, passando invece a un’offensiva culturale per cancellare ciò che lega il suo paese alla Russia, a cominciare dallo studio della lingua russa – il governo americano vuole colpire la Russia in Siria, dove ha la base navale.

Russia e Cina, che hanno consegnato ai carnefici la Libia, ben sapendo che la “no fly zone” era solo una copertura per i bombardamenti, anche con l’uranio eufemisticamente detto impoverito,(2) almeno per ora si oppongono a un intervento militare benedetto dall’ONU. In realtà ci sono già commando inglesi in azione, e ‘volontari’ di più paesi.

C’è una guerra indiretta tra potenze, e a farne le spese non sarà solo Assad, ma anche e soprattutto la popolazione siriana. Un articolo di Cabras e Santini ci dà il quadro della situazione: contro il governo non ci sono democratici disarmati, ma ex esponenti del regime, come Rifaat Assad, zio di Bashar, il massacratore di Hama del 1982, l'ex vice-presidente Khaddam (un ‘macellaio’), la Fratellanza musulmana e i salafiti, in contatto con le monarchie del Golfo. Tra questi, che costituiscono la maggior parte degli oppositori, si insinuano i gruppi armati jihadisti, entrati da Iraq, Giordania, Libano, Turchia. La maggioranza degli "alqaedisti", in Iraq durante l'occupazione americana, vengono proprio dalla Cirenaica. “Superfluo dire che non esiste niente di più torbido di queste armate jihadiste, le cui strutture sono state attive in Afghanistan negli anni '80, transitando per Cecenia e Balcani negli anni '90, Iraq dal 2003, e tornando fuori in Libia e ora in Siria con la “primavera araba”.(3) Lanzichenecchi pronti ad ogni strage.

Si intensificano sempre più le provocazioni,(4) un esempio è dato dall'assassinio del generale siriano Issa al-Khouli a Damasco . Qui si vede meglio la differenza tra l’impostazione di Bush e quella di Obama. Bush usava pretesti tanto grossolani da suscitare le proteste di chiunque non fosse un tirapiedi o uno sprovveduto in politica. Obama non si sporca le mani, non a caso è il presidente dei droni. Come si è visto in Libia, finge di non voler la guerra, manda avanti teste di turco come Sarkozy e Cameron, in realtà ne è il regista. Non si tratta solo di una diversa tempra dei due presidenti. La popolazione americana è stanca delle guerre, che le portano solo svantaggi, e vede le spese sociali sacrificate al bilancio militare. Il militarismo non si manifesta così apertamente come qualche anno fa, bisogna far credere che s’interviene solo se costretti. Nonostante l’opera di disinformazione del regime, le notizie delle carneficine di civili, del comportamento barbaro di molti soldati, il fallimento di molte operazioni soprattutto in Afghanistan, accrescono il malcontento.

Cosa possiamo fare noi. Non certo fermare la guerra, come s’illudono ogni volta ingenui pacifisti o fingono di credere vecchie volpi a caccia di voti. Possiamo, però, contribuire a squarciare il velo di menzogne che inevitabilmente prepara e accompagna ogni guerra, e smascherare i luridi interessi che sono ne le vere cause. E’ il modo più semplice di combattere il nostro nemico, che non si trova in Siria, ma in casa nostra, ed è il militarismo che vuole trascinare il nostro paese in questa avventura, giustificandola con la solidarietà atlantica, la difesa della democrazia, della civiltà cristiana, ecc. E naturalmente, contro il militarismo più potente, quello del complesso finanziario industriale–militare degli USA, che lucra sopra ogni guerra. Contro il premio Nobel per l’ipocrisia e la retorica pacifista, Barack Obama, e la signora della guerra Clinton. Ma occorre ricordare che l’opposizione alla guerra non potrà avere risultati permanenti se non si svilupperà in USA un movimento che coinvolga il nucleo centrale della classe operaia. Non per motivi dottrinali: gli studenti possono manifestare, bloccare le Università, scontrarsi con la polizia in piazza, ma per impedire la continuazione di una guerra occorre bloccare la produzione, i porti, gli aeroporti, in altre parole, bisogna colpire nei loro profitti le industrie e la finanza che lucrano sulla guerra. E questo lo possono fare solo i lavoratori.

16 febbraio 2012

Note

1) “Il generale Clark: Libia nel mirino da anni, e ora Siria e Iran”, Libre, 25/10/2011.

2) Emilio Del Giudice “Piccole bombe nucleari crescono. La fusione fredda e le nuove mini-armi atomiche. Il potere militare parla di ‘uranio impoverito’, la comunità scientifica tace, e intanto dalla prima guerra del Golfo vengono usate armi nucleari piccole come proiettili d’artiglieria”.
http://www.rainews24.it/ran24/rainews24_2007/inchieste/08102008_bomba/

3) Pino Cabras e Simone Santini, “Siria, prima che spari la ‘tecnica’”, www.megachip.info 14/02/2012.

4) Giulietto Chiesa, “La via della Persia”, Megachip, 15 febbraio 2012 . Chiesa riporta un passo dello scritto “Quale via per la Persia? Opzioni per una nuova strategia americana verso l’Iran”: “Una insurrezione è spesso più facile da fomentare e da sostenere dall’estero… Fomentare un’insurrezione, notoriamente, richiede un impegno economico poco oneroso… sostenere di nascosto l’insurrezione consentirebbe agli Stati Uniti di poter negare in modo plausibile di averlo fatto, riducendo i contraccolpi sul piano diplomatico e politico…a differenza di quanto avverrebbe se gli Stati uniti si adoperassero per organizzare un’azione militare diretta… Dopo che il governo sarà per alcune volte finito sotto scacco, ci sarà anche il pretesto per agire.» Firmato *Brookings Institution* (think tank senza fini di lucro con base a Washington), data 2009.”

Michele Basso

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