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Disseto idrogeo logico

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(5 Novembre 2011) Enzo Apicella
Alluvione a Genova. Almeno 7 i morti

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(Il saccheggio del territorio)

Piano Casa Regionale e Piano Strutturale Comunale: vince il partito del cemento!

(24 Febbraio 2012)

Il saldo demografico regionale e comunale è sostanzialmente pari a zero. Le nascite sono pochissime e tra emigrazione al nord e/o all’estero, da anni la Calabria e la città di Lamezia Terme segnano un arresto della crescita demografica.

A ciò si aggiunge una semplice constatazione che viene fuori da una prima analisi sul patrimonio edilizio esistente: solo la città di Lamezia Terme detiene circa 6000 abitazioni vuote pari a circa il 25% del patrimonio edilizio complessivo della città e, secondo i recenti dati Cescat (Centro Studi Casa Ambiente e Territorio di Assoedilizia), in Calabria esistono 115 mila case disabitate (55 ogni 100) ed i dati relativi al censimento ISTAT (2001) parlano di oltre 400 mila appartamenti sfitti in tutta la regione Calabria.

Anche i dati più recenti riportati nell’ultimo rapporto dell’Agenzia del Territorio (GLI IMMOBILI IN ITALIA 2010) sono emblematici: il rapporto tra numero di abitazioni ogni cento famiglie, a livello nazionale, è risultato pari a 132 e tale rapporto è chiaramente più elevato al Sud, con 142 abitazioni per ogni 100 famiglie.

Sempre nel Sud Italia, il patrimonio residenziale pubblico nel decennio 1991–2001 si è ridotto di oltre il 25%, riduzione dovuta alla dismissione del patrimonio pubblico ed a politiche che hanno favorito l’intervento privato nel settore dell’edilizia.

Una recente indagine di immobiliare.it ha evidenziato che solo il 14% dei fabbricati calabresi ha il certificato di prestazione energetica obbligatorio per legge da circa due mesi. Per non parlare poi dell’estremo ritardo in cui versa la città di Lamezia e la Calabria in materia di sicurezza e nell’adeguamento sismico del patrimonio immobiliare pubblico e privato.

Dati come questi dovrebbe allarmare e far attivare politiche che arrestino la cementificazione selvaggia, la speculazione edilizia ed il consumo di suolo ed invece siamo costretti, per l’ennesima volta, ad assistere alla solita logica del cemento e del mattone come volano per lo sviluppo e come mezzo per il superamento dell’attuale crisi mondiale che attanaglia con maggiore forza ed impeto il nostro territorio. Quest’ultima un assurdità se si pensa che l’attuale crisi è iniziata quando cominciò a sgonfiarsi la bolla immobiliare statunitense e, contemporaneamente, molti possessori di mutui subprime divennero insolventi a causa del rialzo dei tassi di interesse.

Gli strumenti urbanistici dovrebbero essere strumenti per regolare e gestire l’utilizzo del territorio ed i beni comuni della collettività che ci vive. Invece, ancora una volta, assistiamo a piani urbanistici che assecondano la sete di guadagno e di speculazione di tutti i soggetti che direttamente o indirettamente hanno interessi nel mercato immobiliare: imprese di costruzioni, studi di progettazione, grandi società immobiliari, politici in cerca di consenso elettorale e, soprattutto, la ‘ndrangheta che spesso fa da trade union tra mercato e politica, quando addirittura non si sostituisce direttamente ad uno dei soggetti interessati al processo.

D’altronde gli interessi della ‘ndrangheta legati al ciclo del cemento ed alla fornitura di materiale per l’edilizia sono noti a tutti ed i sequestri di beni ed aziende del settore sono all’ordine del giorno.


Conversione ecologica e riterritorializzazione
Che fare? In primis bisogna arrestare il consumo di suolo. Tutte le nostre città e i nostri centri abitati sono già sufficientemente costruiti per soddisfare, con le strutture esistenti e con il recupero dei suoli occupati da strutture inutilizzabili, tutte le esigenze di abitazioni, di attività produttive e commerciali, di socialità e di attività culturali di cui una moderna comunità ha bisogno.

Se tutte queste strutture e questi suoli non vengono immediatamente resi disponibili dal suo proprietario, occorre procede con una politica di espropri per restituirli alla collettività come beni comuni. Questo è anche un buon punto di partenza per combattere il fenomeno della rendita da capitali immobili ed inutilizzati.

Il suolo urbano e periurbano non edificato dove essere valorizzato da un progetto di integrazione città-campagna, tra zone a valenza agricola e agglomerati residenziali. Un integrazione che non passo per la cementificazione selvaggia ma valorizzando e recuperando il patrimonio esistente tramite un processo di riterritorializzazione, che riavvicini fisicamente e logisticamente produzione e consumo.

Pensare a città policentriche dove la mobilità interna sia garantita da un sistema di trasporto pubblico ecosostenibile reso possibile dal ricorso alle fonti rinnovabili.

La strada del recupero e della valorizzazione del patrimonio edilizio esistente (sia pubblico che privato), la mobilità sostenibile e la riconversione energetica rappresentano l’unica vera alternativa alla politica dei condoni e del cemento selvaggio; costituiscono gli ambiti fondamentali per sostenere l’occupazione in tutte quelle realtà oggi in difficoltà per via della crisi economica; tale strada rappresenta anche una nuova modalità di creazione di posti di lavoro.

Chiaramente in questo processo rischierebbero di essere espulsi comunque le fasce sociali che vivono in condizioni di vulnerabilità od esclusione abitativa e, visto che è innata nell’uomo l’esigenza di soddisfare comunque il bisogno primario dell’abitazione, indipendentemente dalla scarsità delle risorse economiche disponibili, deve essere garantito un forte intervento di edilizia pubblica e popolare con alti stantard di qualità abitativa e sicurezza strutturale rendendo fruibile l’enorme patrimonio abitativo cittadino e regionale oggi disabitato.

Questo processo di riterritorializzazione e conversione ecologica deve essere inserito in un processo democratico-partecipativo e dal basso che veda i futuri abitanti degli alloggi e i fruitori degli spazi pubblici - con le loro esigenza di vita quotidiano e con le loro dinamiche sociale - protagonisti della progettazione degli spazi e della loro successiva gestione.

La gestione democratico-partecipativa rompe con il paradigma della abitazione come proprietà privata per muoversi verso un sistema collettivo di gestione del patrimonio immobiliare pubblico.

Ci sembra questo l’unica garanzia per assicurare buone condizioni abitative a tutti ed avere spazi sociali comuni rispondenti alle reali esigenze della collettività e non agli interessi particolari di pochi.

Collettivo Autonomo Altra Lamezia

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