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Gaza

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(5 Aprile 2013) Enzo Apicella
Dopo una tregua lunga quasi cinque mesi, la notte scorsa l'aviazione israeliana ha nuovamente bombardato la Striscia di Gaza

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La vera prigione… sono le bugie che ti hanno raccontato: per Khader e per tutti gli altri ancora prigionieri vogliamo verità e libertà!

(24 Febbraio 2012)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.caunapoli.org

La vera prigione… sono le bugie che ti hanno raccontato: per Khader e per tutti gli altri ancora prigionieri vogliamo verità e libertà!

foto: www.caunapoli.org

Non è il tetto che perde / Non sono nemmeno le zanzare che ronzano
Nella umida, misera cella.
Non è il rumore metallico della chiave.
Mentre il secondino ti chiude dentro. / Non sono le meschine razioni
Insufficienti per uomo o bestia / Neanche il nulla del giorno
Che sprofonda nel vuoto della notte
Non è
/ Non è / Non è.
Sono le bugie che ti hanno martellato / Le orecchie per un'intera generazione
È il poliziotto che corre all'impazzata in un raptus omicida
/ Mentre esegue a sangue freddo ordini sanguinari
In cambio di un misero pasto al giorno. / Il magistrato che scrive sul suo libro
La punizione, lei lo sa, è ingiusta / La decrepitezza morale
L'inettitudine mentale
/ Che concede alla dittatura una falsa legittimazione
La vigliaccheria travestita da obbedienza / In agguato nelle nostre anime denigrate
È la paura di calzoni inumiditi
/ Non osiamo eliminare la nostra urina
È questo / È questo / È questo

Amico mio, è questo che trasforma il nostro mondo libero / In una cupa prigione.La vera prigione (di Ken Saro Wiwa)

A sangue freddo, Il teatro degli orrori

Dopo 66 giorni Khader Adnan ha interrotto lo sciopero della fame che l’aveva ridotto in fin di vita e che ha compromesso, con tutta probabilità, irreversibilmente la sua piena salute fisica.

Per Israele Khader Adnan non è che un numero, uno delle migliaia di prigionieri palestinesi reclusi in regime di detenzione amministrativa. Essere reclusi in regime di detenzione amministrativa significa trovarsi in carcere senza processo, senza poter avere informazioni sui crimini dei quali si è accusati, sulle ragioni della propria prigionia, con una “pena” potenzialmente rinnovabile di sei mesi in sei mesi; il caso di Khader non è isolato: attualmente sono più di 300 i prigionieri palestinesi in carceri israeliane in detenzione amministrativa, 18 dei quali sono membri del Consiglio Legislativo palestinese. Questo tipo di regime - che non potrebbe essere applicato in maniera continuativa come avviene invece nei Territori Occupati, ma solo in casi eccezionali - non è una delle tante "invenzioni" di Israele, è stato applicato in Irlanda del Nord, nel Sud Africa dell’apartheid e attualmente è in vigore anche negli USA (Guantanamo).

Per noi Khader Adnan è un simbolo, è la prova vivente che anche quando ad un uomo viene tolto il bene più prezioso, la libertà, questo può resistere, lottare, sopravvivere intatto nella sua dignità. Khader Adnan è un fornaio di 33 anni, padre di 2 bambine e in attesa della 3 (la moglie è al 5 mese di gravidanza) che una notte è stato prelevato da casa sua in un villaggio vicino Jenin e portato in una delle carceri israeliane per degli interrogatori,vi è rimasto per mesi senza sapere cosa ne sarebbe stato di lui. La sua storia è la storia dei tanti che, per solidarietà, hanno scelto di intraprendere anch’essi lo sciopero della fame, è la storia delle migliaia di prigionieri politici messi dietro le sbarre in tutto il mondo. L’occidente si è commosso e si è prodigato per la liberazione del soldato Shalit, ma ci sono molti uomini, in armi e no, che sono stati catturati e la cui esistenza si è cercato di rimuovere di cancellare.

Noi oggi pensiamo a Khader, presto libero, ma la mente va ai tanti, troppi, che, non solo nella lontana Israele, ma anche nel cuore dell’Europa, nello Stato spagnolo e, non dimentichiamolo, anche qui in Italia, sono ancora imprigionati, ai quali è stata fatta violenza fisica e psicologica, che sono stati torturati e privati di ogni elementare diritto. Ripensiamo a Bobby Sands, lasciato morire nel carcere di Long Kesh il 5 maggio 1981; ci torna alla mente il volto stravolto di “Apo” Ocalan imprigionato e imbavagliato - troppo spesso dimenticato, proprio come la sua gente, il popolo curdo – il solo e unico prigioniero di una galera fatta su misura per lui sull’isola di Imrali nel sud del mar di Marmara; all’attivista per i diritti degli afroamericani Mumia Abu Jamal ancora rinchiuso, dopo un processo-farsa, nelle carceri statunitensi. Pensiamo a Khader, ma non dimentichiamo Ahmad Sa'adat Segretario Generale del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina, incarcerato dall'Autorità Nazionale Palestinese da ormai dieci anni nella prigione di Gerico.

Ricordare questi nomi “illustri” (sarebbe forse meglio dire un po’ meno sconosciuti di altri) non vuole essere un’operazione apologetica, anzi, le loro storie ci colpiscono al cuore proprio perché rimandano alle storie di tanti altri, rinchiusi in galere vere e proprie, ma anche in prigioni a cielo aperto come quella di Gaza, nei ghetti e nelle banlieue di tutto il mondo. La denuncia della loro condizione non vuole e non può essere semplice richiamo ai diritti umani, in quanto la loro battaglia è ed è stata prima di tutto politica e di denuncia, contro l’arbitrarietà di un oppressore e la disumanità dello sfruttamento, contro uno stato di cose ingiusto nel quale non si può pensare di vivere, di respirare, senza provare a trasformarlo.

Collettivo Autorganizzato Universitario – Napoli

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