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IL PANE E LE ROSE - classe capitale e partito
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Governo salva-profitti

(28 Febbraio 2012)

Mentre nei paesi in sviluppo è ancora espansione, in Europa e in Italia in particolare è di nuovo crisi. Crisi del debito pubblico perché gli Stati hanno “speso troppo” per tamponare la crisi del debito privato, crisi perché le divaricazioni tra una Germania agganciata alle economie in espansione e un Sud Europa che arranca, misurate dagli “spread”, fanno balenare la possibilità di conflagrazione dell’euro; crisi perché i capitali accumulati fuggono il rischio e vanno verso lidi ritenuti sicuri; crisi perché capitali e produzioni emigrano verso i paesi emergenti a più bassi costi e mercati in espansione; ma anche crisi perché l’aumento dei disoccupati, la compressione dei salari e l’aumento delle tasse riducono da noi la domanda per consumi. Crisi perché il capitalismo è crisi.

L’Europa è legata insieme dall’imbastitura dell’euro, ma mancano le cuciture salde di un potere politico federale. I 27 Stati dell’Unione Europea e anche i 17 dell’Area Euro rappresentano ciascuno borghesie nazionali con interessi differenti e spesso confliggenti, che essi non intendono rinunciare a difendere gli uni contro gli altri, neanche nella stagione d’emergenza. La Germania, uscita ristrutturata dopo un decennio di faticosa unificazione e inglobamento della periferia orientale nel suo sistema produttivo, maggior esportatore mondiale di macchinari, non intende regalare ai paesi del Sud Europa ciò che è riuscita a strappare al proprio proletariato; anzi, essa si avvantaggia dei bassi tassi di interesse che sono l’altra faccia degli alti tassi in Italia e Spagna, e che favoriscono i suoi investimenti e la proiezione all’estero.

Non è ancora chiaro come ne usciranno, se l’imbastitura monetaria reggerà agli strattoni interni ed esteri, di una speculazione che sugli sconquassi ingrassa. Affari loro. Di certo della crisi ne stanno approfittando tutte le borghesie europee per comprimere ancora di più le condizioni dei lavoratori. Ovviamente, come “amara medicina” per la ripresa … dei loro profitti.

Dopo il Decreto “Salva-Italia” di dicembre, dove il governo Monti ha di fatto cancellato le pensioni di anzianità, senza contraccolpi, ora è il momento dei nuovi provvedimenti sullo “sviluppo”.

Cos'è “sviluppo”? Sviluppo di cosa e verso dove? Sviluppo del PIL per accorciare il “gap” dentro l'Europa e tra l'Europa e gli imperialismi concorrenti? E con quali effetti se la stagnazione o, peggio ancora, la recessione (dovuti alla crisi e resi cronici dal tasso di parassitismo) spazzeranno via altri 800 000 posti di lavoro da qui al 2013? E verso dove, se parte consistente del plusvalore viene pompato a sostegno di banche, titoli di Stato e finanza europea?

Lo “sviluppo” tanto decantato è in realtà un'operazione di ulteriore sfruttamento operaio e di dimagrimento di un parassitismo che intralcia il grande capitale.

Ulteriore sfruttamento sul terreno del cosiddetto “mercato del lavoro”. Dopo aver ancora bastonato le pensioni dei lavoratori (“giovani” ed “anziani”), e dopo che in agosto Sacconi aveva “aziendalizzato” contratti ed articolo 18, ora si ritorna alla carica dei lavoratori attivi: occupati, precari ed esercito industriale di riserva, per dirla con Marx.

“Tutti più precari e licenziabili, così nessuno potrà considerarsi precario e l'occupazione aumenterà, e le aziende torneranno ad assumere”. Sembra questa la sintesi delle varie “proposte” sull'ennesima “riforma” del mercato del lavoro, in cui l'articolo 18 - o ciò che di esso è rimasto - viene più che altro giocato mass-mediaticamente.

Se, come sembra, dovesse passare, dalla finta trattativa tra le “parti sociali”, il Contratto d'Ingresso dell'Apprendistato (= licenziabilità nei primi tre anni con indennizzo in caso di “illegittimità”), che è stato siglato anche dalla CGIL, di cosa stiamo parlando? Di una precarietà più “normata”? O più “semplificata”? Oppure più “incentivata”? O di tutte e tre le cose messe insieme?

Forse. Ma il problema per la borghesia è già risolto. Essa chiede più “flessibilità in uscita”... Ok, ottenuta. Gli “indeterminati” già assunti non verrebbero toccati? Balle di Ichino & soci, che smentiamo con un altro articolo apposito all'interno della rivista. Balle grosse come una casa. L'abbiamo visto sulla precarietà e sulle pensioni: prima dividono per aprirsi il varco, e poi si crea una voragine. Senza considerare che l’“illicenziabilità” degli indeterminati è un insulto per tutti quelli che hanno perso e continuano a perdere il lavoro. La vergogna politica, sociale, morale è che queste sozzure vengano da padroni, politici di OGNI schieramento, sindacalisti venduti, pennivendoli ... che stanno ai loro posti proprio per perpetrare questi meccanismi.

Il risultato comunque è: più flessibilità = più sfruttamento = più profitti; anche se ciò non potrà risolvere nessun problema di “sviluppo” dell'imperialismo italiano.

Così come non risolve problemi di sviluppo, ma solo di profitto per Montezemolo e Della Valle, sulla pelle dei lavoratori, l’esenzione dall’applicazione del contratto nazionale della mobilità che viene concessa alle società ferroviarie private come NTV. I lavoratori dei trasporti devono lottare uniti per impedire di essere messi in concorrenza al ribasso gli uni contro gli altri!

Il tarlo della sproporzione abnorme del parassitismo spiega l'altro corno della manovra sullo “sviluppo”: le “liberalizzazioni”. Lavoratori autonomi e piccolo borghesi come taxisti, farmacisti, dentisti, ingegneri, ragionieri, notai, e professioni varie da una parte; monopoli come prodotti energetici, tariffe di luce, gas, rc auto che pesano sui costi dei settori concorrenziali dall’altra ... Finiscono, almeno in parte, una miriade di “paradisi fiscali”, “normativi”, “corporativi” che hanno sostanziato una pletora di forme politiche statuali a base di massa piccolo-borghese. Entra la concorrenza – seppur timida – anche per loro. Tutta gente, questa, molto “liberista” quando a pagare è l'operaio, ma assolutamente “protezionista” verso le proprie tasche. Finita un'epoca anche per loro.

Il grande capitale vuol mettere le mani sui settori che per quasi un secolo, da Mussolini in poi, sono stati protetti dalla concorrenza e hanno permesso il prosperare della piccola borghesia. Vuole assoggettarla al lavoro salariato, a produrre plusvalore per un padrone che sta sopra di loro. I professionisti del futuro saranno nostri compagni di classe? Vedremo se e come quello che Gramsci definiva “il popolo delle scimmie” riuscirà a mettere in campo le sue truppe. E quali ricadute politiche e pure istituzionali ciò potrà comportare.

Mentre scriviamo, a muoversi sul campo sono tassisti e padroncini camionisti, la manovalanza del settore – questi ultimi hanno ottenuto tra l’altro il rimborso delle tasse sul gasolio; gli altri si muovono meglio tra gli scranni del parlamento e nelle manovre e delle segreterie. Fa un certo scandaloso effetto sentire le varie e trasversali lobby parlamentari difendere i loro clienti al punto di rivendicare “equità sociale” nei provvedimenti che il governo si appresta a varare: colpire duro sull'articolo 18, che diamine! Non possiamo far pagare solo le “professioni”!!!

È esattamente in un clima di questo tipo (clima da “sacra unione nazionale” degli anni ’70 e dei “governi tecnici” dell’euro degli anni ’90) che partiti come il PD (ed il codazzo microcosmico della sinistra schedaiola) dimostrano in modo evidente a tutti di essere solo dei puntelli del capitalismo. Oggi questi partiti e partitini - in un “abbrassons nous” coi Centristi – finalmente “liberi” da Berlusconi, esaltano la “serietà” del governo Monti e lo “svelenamento del clima politico” che esso avrebbe beneficamente introdotto. Sì: meno “veleno” tra schieramenti parlamentari ... per scaricarne di più addosso ai lavoratori ed ai disoccupati!

Ma ad ognuno il suo mestiere.

Ai padroni ed ai finanzieri al governo il mestiere di tutelare gli interessi dell'imperialismo italiano ed europeo.

Ai politicanti borghesi quello di puntellare gli appetiti delle loro clientele e di raccontare balle a chi ancora li vota.

Ai sindacalisti concertativi quello di svendere quei lavoratori che né ascoltano, né rappresentano.

Ai rivoluzionari quello di stimolare e organizzare le lotte che le contraddizioni del capitalismo portano a maturazione.

Pagine Marxiste

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