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Il "Nuovo Occidente" di Francesco Rutelli

Dietro la svolta "pacifista" dell'Ulivo

(29 Maggio 2004)

Contro l'unilateralismo dell'amministrazione Bush ma per il rilancio del ruolo colonialista dell'ONU - L'Euuropa deve assumersi le proprie responsabilità e l'onere che comporta la creazione di un suo hard power in alleanza con gli Stati Uniti - E deve creare creare le proprie forze armate - Il "diritto d'ingerenza umanitaria", eventualmente armata, dev'essere parte della cultura politica di una sinistra di governo

Francesco Rutelli: "Costruire un nuovo Occidente democratico"

Che cosa è successo, tutto il centrosinistra d'accordo per andarsene dall'Iraq?
«Occorre un nuovo inizio, una netta discontinuità. E' indispensabile, altrimenti dovremo continuare a subire le conseguenze disastrose di una strategia ispirata soltanto a una politica unilaterale, fondata sull'ideologia fondamentalista dei neo-conservatori. Ci vuole una nuova politica europea e anche un nuovo rapporto con l'America».

Intende dire che l'Italia ha messo la propria politica estera e i propri soldati al servizio dell'interesse nazionale di un altro Paese?
«Proprio. Siamo un alleato à la carte».

Che significa "discontinuità", andarsene immediatamente?
«Vuol dire non continuare a fare quel che si è fatto finora. Berlusconi ha detto alle Camere che dobbiamo restare per "completare l'opera". Sarebbe il più gigantesco degli errori. Tutto è stato sbagliato nella vicenda irachena. Le premesse erano fallaci: non c'erano armi di distruzione di massa, non c'erano legami tra il regime di Bagdad ed Al Qaeda. La conduzione della guerra è stata rovinosa: alla caduta della tirannide di Saddam - l'unica conseguenza positiva, a mio giudizio - è succeduto il caos e le incognite dell'avvenire sono gravissime. Gli effetti sulla lotta al terrorismo sono stati controproducenti. L'intera regione mediorientale è ulteriormente destabilizzata. Nessun miglioramento si è ottenuto nel conflitto israelo-palestinese; nessuna stabilità del mercato energetico; la governabilità globale è peggiorata. Tutti gli effetti di sistema sono negativi».

Insomma aveva ragione Bertinotti.
«E' una piccola polemica propagandistica. La nostra scelta è la stessa della Francia, che ha un governo conservatore; della Germania retta dai socialdemocratici; del governo belga, di quello canadese, dell'opposizione liberaldemocratica britannica. In breve, della maggioranza delle democrazie occidentali. La convergenza delle posizioni tra tutte le forze dell'opposizione di centrosinistra in Italia è un fatto positivo, anche se differenze permangono. Io non sono un pacifista assoluto, non sono contrario a priori all'uso della forza. La missione in Afghanistan l'abbiamo votata: era legittima ed era giusta».

Dovete chiarezza agli elettori, e prima ancora alle famiglie dei soldati. Volete il ritiro immediato?
«Se noi fossimo al governo, i soldati italiani non sarebbero andati. Quando le cose cambieranno, quando la presenza internazionale in Iraq avrà la bandiera delle Nazioni Unite, quando i francesi, i tedeschi, i belgi, gli egiziani, i giordani manderanno le loro truppe, allora ci saremo anche noi, anche se le condizioni saranno difficili. L'Italia non potrà sottrarsi. Ma adesso deve sottrarsi».

Americani e britannici hanno già preparato la bozza di una nuova risoluzione. Le bandiere dell'Onu potrebbero non essere così lontane.
«La bozza immagina di trasferire parte della sovranità a un governo provvisorio iracheno ma divide l'"autorità" tra il governo e la forza multinazionale, che resterà per almeno un anno. Questo non è accettabile. C'è poi la questione dell'impunità chiesta per i propri soldati dagli Stati Uniti».

Tra i leader del centrosinistra lei è quello che - per arrivare a chiedere il ritiro immediato - ha dovuto fare la strada più lunga.
«Noi abbiamo votato contro la guerra e contro l'invio del contingente. Però siamo stati contrari al ritiro, finché pareva aperto uno spiraglio alla possibilità di un pieno passaggio di responsabilità all'Onu, inclusa la responsabilità militare. E' chiaro invece che le forze internazionali presenti in Iraq resterebbero agli ordini di una catena di comando che arriva al Pentagono e al segretario alla Difesa Donald Rumsfeld. Con le rivelazioni sugli abusi e le torture nel carcere di Abu Ghraib siamo a una nuova fase, siamo in una stagione degenerata dalla quale non abbiamo saputo differenziarci e che motiverà per lunghi anni ostilità e preclusione del mondo arabo verso tutto l'Occidente».

Siamo sicuri che l'Onu sia la soluzione, l'Onu imbelle, incapace di decidere, bloccata dai veti contrapposti? Il modo in cui si è andati alla guerra l'ha ulteriormente delegittimata.
«Quando affermo che ci vuole una discontinuità, una cesura rispetto all'unilateralismo dell'amministrazione Bush, intendo dire che dobbiamo anche costruire un nuovo Occidente democratico. Che rifugga dall'uso solitario della forza, che privilegi il "potere morbido", la cooperazione, in luogo dell'egemonia unilaterale; ma consapevole che a questo fine la forza militare, lo hard power, è indispensabile. L'Europa, oggi, questo potere non ce l'ha. Lo deve costruire e l'approvazione della Costituzione è il primo passo. Finora la debolezza dell'Europa è stata una delle ragioni dell'America, che ha avuto buon gioco a dire: voi spendete per le pensioni, e noi per la difesa. Vi permettete un bel modello sociale perché a proteggervi ci pensiamo noi. Un'Europa che vuole veder affermati i propri valori e principi, che si considera difensore di un certo ordine morale, che vuole imporre il rispetto della legge internazionale, deve assumersi le proprie responsabilità e l'onere che comporta la creazione di un suo hard power in alleanza con gli Stati Uniti. Deve superare le proprie divisioni, dotarsi di istituzioni efficienti, capaci di esprimere una politica estera. E poi creare proprie forze armate. Per questo dico che chiedere oggi il ritiro dall'Iraq non significa diventare pacifisti integrali. Io credo nell'uso della forza con un mandato internazionale quando può servire a fermare una guerra, a interporsi tra belligeranti. O a fermare il genocidio, a impedire crimini contro l'umanità. Su richiesta delle Nazioni Unite o anche - perché no - su nostra richiesta alle Nazioni Unite. Ieri in Bosnia, in Ruanda, oggi in Darfur, centinaia di migliaia di vite avrebbero potuto essere salvate. Il discorso deve perciò coinvolgere anche l'Onu. Il vecchio multilateralismo impotente è ormai inadeguato».

Secondo lei il cosiddetto diritto d'ingerenza umanitaria, eventualmente armata, dev'essere ormai parte della cultura politica di una sinistra di governo?
«Assolutamente sì. Anche così si costruisce un'Occidente democratico, non soltanto opponendosi ai guasti provocati da Bush e Rumsfeld. I neo-con hanno costruito un pensiero, non solo un potere. E' tempo che i democratici europei e americani affermino una strategia comune e convincente».


25 Maggio 2004

Intervista di Pietro Veronese a Francesco Rutelli
La Repubblica del 25 maggio

Fonte

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