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Iraq: la bozza di risoluzione dell’Onu e la real politik

(30 Maggio 2004)

Ormai l’occupazione militare dell’Iraq è un fatto compiuto che appartiene al passato sul quale è inutile continuare a dividersi mentre ciò che oggi urge è un impegno della comunità internazionale per la pacificazione e la ripresa di quel martoriato Paese: è questa la grande truffa politica, l’operazione artificiosa e raggirante condotta sul piano internazionale e all’interno del nostro Paese per ottenere una legittimazione ex post del conflitto a tutto vantaggio di coloro che lo hanno scatenato o avallato ed in danno del popolo iracheno che continuerà così a subire ingiustizie, violenze, scontri armati e atti terroristici. Una operazione rivolta a riabilitare, lasciando le cose come sono, i responsabili dell’intervento armato attraverso il coinvolgimento nell’attuale fase del conflitto di soggetti internazionali che erano stati contrari all’intervento medesimo.

Dovrebbe essere chiaro che chi ha causato la drammatica situazione nella quale si trova oggi l’Iraq non può essere credibile protagonista di una possibile opera di pacificazione e di ripresa, specialmente se continua a rivendicare, come fanno Bush ed i suoi amici (Berlusconi compreso), la giustezza dell’attacco armato contro la forza persuasiva dei fatti e contro ogni buon senso. Ed è in quest’ottica che va riguardata la bozza di risoluzione presentata al Consiglio di Sicurezza dell’Onu dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna. Un documento che prevede un governo iracheno “ad interim” di nomina esterna sicuramente condizionato dal preventivo placet americano, la presenza in Iraq di una forza multinazionale sotto il comando militare statunitense senza l’indicazione di un termine insuperabile per il ritiro delle truppe di occupazione, il riconoscimento solo formale del diritto del governo iracheno di usufruire dei proventi del petrolio ma sotto il controllo di una commissione internazionale di incerta composizione e dotata di poteri non definiti, l’orientamento a far svolgere le elezioni entro il gennaio del 2005 senza la previsione di precise garanzie contro il concreto rischio di condizionamenti esterni provocati dalla perdurante presenza delle forze di occupazione e, “dulcis in fundo”, la richiesta agli Stati membri dell’Onu di inviare in Iraq contingenti militari ovviamente alle dipendenze di un comando statunitense.

Altro che svolta! Siamo di fronte al vecchio che si veste di nuovo per imporre comunque le sue scelte. Siamo al cospetto dell’arroganza che si maschera di ipocrisia e che cerca di affermarsi con la suggestione di un potere egemone, con l’utilizzo del servilismo di Stati vassalli e, se necessario, col ricorso al ricatto e alla minaccia di ritorsioni contro i dissenzienti come è già accaduto alla vigilia del conflitto in danno di Francia e Germania. Ma siamo anche di fronte ad una politica, quella appunto dell’attuale inquilino della Casa Bianca e dei neoconservatori nordamericani, che è in seria difficoltà per i suoi fallimenti sul piano economico, per i danni di immagine causati al proprio Paese con incredibili violazioni dei diritti umani fondamentali e delle garanzie democratiche e per le dissennate scelte sul versante dei rapporti internazionali e dell’impegno bellico. Una politica quindi che mostra il suo volto truce ma che è in effetti debole e che può perciò essere battuta per impedire un ulteriore aggravamento della situazione mondiale con nuove tragedie e nuovi disastri. Va perciò considerata politicamente delittuosa ogni accondiscendenza verso la bozza anglo-americana salvo che essa non venga convertita in un diverso documento con radicali modifiche sui punti essenziali concernenti appunto il comando della forza internazionale, la previsione di un termine breve per il ritiro delle truppe di occupazione, l’effettivo passaggio dei poteri in mani irachene e la rinuncia americana ad ogni ingerenza nella gestione nazionale delle risorse petrolifere.

Il fatto è che il giudizio oggi sulla bozza e domani sull’eventuale risoluzione non può prescindere dai dettami della Carta delle Nazioni Unite che attribuiscono al Consiglio di Sicurezza ogni potere per il mantenimento ed il ripristino della pace e, in particolare, per l’uso della forza con obiettivi di polizia internazionale. Sicché solo il Consiglio di Sicurezza, per il preciso disposto dell’art. 42 dello Statuto dell’Onu, “può intraprendere, con forze aeree, navali o terrestri ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace”. E la risoluzione con la quale il Consiglio di Sicurezza decide l’uso della forza dovrebbe sempre implicare una diretta assunzione di responsabilità nella gestione delle operazioni militari da parte dell’Onu che può ovviamente avvalersi di contingenti armati appartenenti a Stati nazionali, sempre però sottoposti ad un comando internazionale facente capo allo stesso Consiglio di Sicurezza. Né va dimenticato che persino il ricorso alla legittima difesa nel caso di “un attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite” è riconosciuto per un tempo limitato e circoscritto, vale a dire “fintantoché - come precisa testualmente l’art. 51 - il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza”. Principi e norme questi, come l’art. 11 della nostra Costituzione, da considerare superati che possono essere sacrificati sull’altare di una malintesa “real politik”? Nemmeno per sogno: acquisizioni di civiltà che, specialmente di fronte alla bozza di risoluzione anglo-americana, vanno rilanciate con forza per favorire l’avvento di tempi meno barbari di quelli che stiamo vivendo.

Brindisi, 28 maggio 2004

Michele DI SCHIENA

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