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    Bertinot-in-my-name!

    Lettera aperta ai compagni de “L’Ernesto” (Mondocane Fuorilinea del 2/6/04)

    (3 Giugno 2004)

    (Per chi non fosse dell’area dell’Ernesto, o non ne avesse sentito parlare:“L’Ernesto”, che prende il nome da una rivista politica bimestrale, è una componente del PRC che fa riferimento a Marx, Lenin e Gramsci, valuta in modo meno liquidatorio di Bertinotti l’esperienza del movimento operaio nel corso dei decenni passati, ribadisce la necessità della rivoluzione anticapitalista ed è collocata oggettivamente alla sinistra della maggioranza, come del resto le altre opposizioni interne del partito, con l’eccezione della componente trotzkista “Bandiera Rossa-Erre”, la cui ambiguità la mantiene in equilibrio trai contestazioni formali al segretario e disinvolti entrismi ai poteri interni ed esterni. Pur tuttora presente nella segreteria nazionale, L’Ernesto all’ultimo congresso ha presentato emendamenti fortemente alternativi alle tesi della maggioranza bertinottiana su temi come la forma partito, l’imperialismo, la storia del movimento operaio, la centralità della contraddizione capitale-lavoro, raccogliendo quasi il 30% dei consensi. Ha espresso riserve, soprattutto di metodo, sulla fondazione del Partito della Sinistra Europea, ma condivide con la maggioranza bertinottiana sia la piena disponibilità a entrare nelle amministrazioni di centrosinistra, sia la prospettiva dell’alleanza di governo con l’Ulivo di Amato, D’Alema, Fassino, Rutelli, contrastata dalle altre opposizioni interne, come anche dal nuovo trasversale Movimento degli Autoconvocati del PRC (M.A.R.C.). Chi scrive ha militato per oltre cinque anni nell’”area dell’Ernesto”, diffondendone analisi e valutazioni in occasione di centinaia di dibattiti pubblici e ha pubblicato articoli e reportage in quasi ogni numero dell’omonima rivista, dando un certo contributo alla crescita della componente)


    Cari compagni,

    è da un po’ che non ci sentiamo più, meglio, che non vi sento più. Più o meno da quando ho deciso di partecipare al movimento degli autoconvocati e al loro programma di contestazione aperta delle “svolte” bertinottiane in direzione del partito “liberaldemocratico, nonviolento, pacifista, femminista, ecologista, democratico europeo”, dell’alleanza addirittura di governo – da voi condivisa nello sconcerto di tanta parte della nostra base – con un Ulivo dagli stessi programmi imperialisti, guerrafondai, antipopolari e liberisti della sua scorsa esperienza governativa, della dichiarazione di “morte non solo fisica” di Marx, Lenin, Engels, Gramsci, del revisionismo di destra su foibe e Resistenza, dell’abbandono della forma partito e del ruolo di forza politica in lotta per l’egemonia e impegnata nella lotta di classe. Svolte che annunciano con assoluta perentorietà una nuova “Bolognina”, solo appena più graduale e astutamente mistificata dall’uso di termini come “rivoluzione” o “comunismo”, peraltro in chiave del tutto impropria per quanto concerne il consolidato significato scientifico di queste parole e la loro identità nella storia e nell’immaginario collettivo di miliardi di esseri umani.

    Mi viene in mente un compagno che molto ha saputo fare in uno dei momenti centrali della lotta di classe, fondando e dirigendo un grande movimento contro la manomissione capitalista della pubblica istruzione. Parlo di Antonio Ceccotti. Il compagno Ceccotti e suo figlio, impegnato quanto lui e estramente preparato, rappresentavano una presenza preziosa nella nostra area, di stimolo e di critica. Troppa critica? Già, come me, Antonio era un vero rompicoglioni. La nostra linea in definitiva compromissoria e mediatrice al ribasso con, tra l’altro, la sciagurata amministrazione romana dei Rutelli e della nostra Sentinelli (30.000 voti successivamente persi dal PRC!) aveva in Ceccotti uno dei critici più puntuali e documentati. A un certo punto i due, padre e figlio, sono stati di colpo isolati, nessuno gli ha detto più niente, nessuna convocazione più alle nostre riunioni, eliminazione dal Comitato Politico federale, dove Antonio figurava come una delle presenza più lucide e combattive, neanche una telefonata d’addio. Un’indecenza. Inconcepibile tra compagni. E già, aveva le sue fisse, Ceccotti, la Cina, l’intransigenza, il furore anti-Disobbedienti….Meglio mollarlo. Così, senza un momento di confronto, di discussione politica. Brutta storia, compagni. E nemmeno l’unica. State facendo così’ anche con me, e, financo, con la mia compagna, evidentemente non considerata nella sua autonoma dignità, ma (femministicamente?) come un semplice corollario del reprobo. Ne siete proprio sicuri?

    C’è qualcosa che non va, compagni. C’è qualcosa che sa di stantio, di rigido, forse di sclerotizzato. A compagni e compagne “di punta” dell’area si sono rizzati i capelli, sento, a udire che erano nati gli “autoconvocati”, sopra e attraverso le varie correnti e componenti del partito, innescati dalla percezione di un segretario, numericamente e politicamente debole come non mai nel partito e perciò, come Bush e Berlusconi, sollecitato all’accelerazione, ai colpi di mano, ai fatti compiuti, alla personalizzazione estrema, alla liquidazione brutale di rivali e avversari. Quando poi questi compagni hanno saputo del mio intervento alla conferenza stampa in cui il segretario di Rifondazione Comunista, attorniato da candidati “comunisti” come Agnoletto, Morgantini, La Valle, presentava il suo congresso di fondazione della Sinistra Europea (SE, una camomilla all’arsenico), con il silenzioso spiegamento dello striscione “Bertinot-in-my-name” (felicissima invenzione di un compagno autoconvocato, non vi pare?), hanno reagito come i sacerdoti del Sinedrio di fronte alle impertinenze del buon Gesù “figlio di dio” e “re”: Anatema! Anatema! Eppure i compagni contestatori non avevano che applicato un articolo dello Statuto che è presente al volitivo Bertinotti quanto la teoria dei quanti al carismatico pedalatore Cunego.

    Qui, cari compagni, proprio non ci ritroviamo. Inutile insistere ad addobbare un leader di liturgiche sacralità, in omaggio a un’idea di partito che potrà essere consolatoria per chi in un grande partito comunista ha speso vita, energie, speranze e lotte e non si rassegna all’idea che di quel partito sia stata fatta carne di porco, non solo da Occhetto e compari transfughi, abiuranti e dunque rinnegati, ma dallo stesso capo del poco di quel grande partito che molti bravi comunisti hanno tentato di salvare. Mi ricordo di Claudio Grassi (membro della segreteria nazionale del PRC e leader dell’area dell’Ernesto) che si impennava sdegnato perché una compagna bolognese, tra l’altro una delle più brave che abbia incontrato in un partito in cui militanti di base e quadri intermedi hanno un valore umano e culturale e danno un contributo specifico alla sopravvivenza del partito infinitamente maggiori di un gruppo dirigente desertificato dal capo unico e assoluto, perché, dicevo, una compagna bolognese aveva definito “anticomunista” il segretario nazionale. Questo un anno fa, quando Bertinotti aveva compiuto la scelta delle nozze governative con il bombardiere della Jugoslavia D’Alema, massoni vari, demolitori dei diritti operai e dello stato sociale come Amato e Treu, massacratori dell’Afghanistan come Rutelli, Fassino e Mastella, tutti assatanati di ritorni ai fasti liberisti, privatizzatori e filo-“altra America” del fantino democratico sullo stesso e unico cavallo dell’apocalisse capital-imperialista USA. Quando Bertinotti stava precipitandosi a togliersi dalle secche di un partitino che i numeri delle direzioni e dei comitati politici gli stavano facendo fuggire di mano. Quando Prodi, futuro capoclasse (quello degli OGM sversati sull’Europa, quello dei dati personali dei passeggeri trasvolatori ceduti ai servizi segreti del terrorismo statunitense) dell’annunciato nientepopodimeno-che-ministro-del- lavoro, o ministro degli esteri-et-subcomandante Fausto, stava già annunciando per il 2006 il suo reazionario programma di devastazione culturale, militarista, antisociale e antisindacale. Quando Bertinotti aveva già lanciato un partito disperatamente volenteroso e naif a rompersi le corna contro il muro dell’art.18 per poi chiudere nella morsa letale D’Alema-Bertinotti, la “speranza” Cofferati, per quanto fasulla, ma ricca di valido seguito di massa, nonchè tutti i soggetti con i quali si immaginava si sarebbe dovuto fare un fronte “alternativo” ai fantini Amato o Fassino: Correntone, PdCI, Verdi, Girotondi, Fiom, quelli che al referendum pro-18 avevano portato 10 milioni di voti. Milioni subito traditi e disintegrati nell’abbraccio – o quanto ben musicato da Rina Gagliardi, nome d’arte di Bertinotti sul giornale “Liberazione” – con i gemelli –vai avanti tu, che a me viene da ridere – D’Alema-Fassino.

    Mi ricordo, nei tanti momenti fattivi, felici e speranzosi vissuti con voi dell’Area, delle sue feste, delle sue assemblee dai troppi e un po’ malsani “sono d’accordo con la relazione di Claudio”, ma anche con qualche eterodossa creatività, del lavoro politico e d’informazione di cui ero investito. Mi ricordo con minore buonumore i vostri visi inondati di soddisfatti sorrisi quando comunicavate al colto e all’inclita che sì, la maggioranza, il segretario, erano passati dalle scomuniche e dalle sprangate sui denti agli “ernestini” (malamente da qualcuno chiamati “grassiani”), a una nuova disponibilità di governare insieme il partito. La vostra tranquilla certezza che, Sandro Curzi, presunto direttore del giornale, presunto amico occhieggiante verso di noi, ma in effetti nient’altro che un nome de plume di Bertinotti, ci ammiccava sornione e ci avrebbe aperto colonne e pagine del giornale. Mi pare strano che delle volpi della politica di partito come voi, eredi della terribile tradizione burocratica e infinitamente mediatrice del togliattismo (un punto che per molti dell’area, specie dei trascuratissimi e preziosissimi giovani, rappresenta un nodo gordiano da tagliare con netto e felice colpo di spada), abbiano potuto fidarsi di questi coriandoli di carnevale. O era solo per tenere buoni noi allorché in altre sedi superiori e stanze segrete si era addivenuti a un qualche accordo (un sottosegretario? Una candidatura? Una Federazione?). Penso, spero, di no. Comunque il tempo rivelerà. Intanto, non erano passate 24 ore che le sprangate ripartivano, che un noto compagno veniva cacciato dal giornale – con minimalista risposta affidata ai giovani comunisti, strutturalmente intemperanti -, che una federazione renitente e dunque perbene veniva commissariata, che nostri dirigenti periferici venivano golpizzati, che la lista dei candidati elettorali veniva spalmata di nullità obbedienti (in spregio all’esaltato amore per i “Disobbedienti”) e che l’amanuense del capo, il noto populista della “ggente”, continuava a riservare all’oltre 45% degli iscritti al partito, ai lettori e alle forze d’opposizione interna che li rapresentavano il solito 2-3% dello spazio: un commento di Grassi là, un ricordo di Bucci qua, una nota di Pegolo su, un intervento di Casati giù, un come sempre indimenticabile ed impeccabile Burgio di sopra, un documento di Ferrando di sotto, il tutto nel corso di un trimestre di soverchianti effusioni bertinottiste.

    Ricordo anche la riprovazione dei compagni quando mi presentai al censore vicario Curzi, alla festa di Liberazione, con bavaglio sulla bocca e bandiera cubana in mano (ai novellini rammento che fui cacciato da Liberazione, dopo cinque anni di collaborazione, per aver scritto cose vere e giuste su Cuba, provate incontrovertibilmente tali poco dopo, ma in dissonanza con gli omaggi bertinottiani alle diffamazioni propagandistiche dei giustizieri della “sanguinaria dittatura castrista che reprime il dissenso democratico”) e mi beccai dal “resistente del 1944” l’appellativo di “pannelliano” e “provocatore”. Altro anatema per aver violato le liturgie di un partito solo nominalmente comunista e che nella sua parte autentica veniva trascinato alla conversione in “partito femminista, liberaldemocratico, pacifista, ecologista” e buono per tutti gli usi ai termini normativi e finanziari dell’Unione Europea. Mi si disse che, antagonizzando il Curzi, aveva chiuso l’ultimo spiraglio. Macchè, Claudio, siete sempre voi che vedete spiragli là dove vengono fatte calare lame di ghigliottine allestite dal supremo. Cosa vuoi che faccia un giannizzero di rincalzo come Curzi, quando il suo sovrano gli ha dato l’ordine di decapitare! Le diffamazioni e falsità poi su di me e sul mio lavoro poi propalate dai fratelli de Rege alla guida del giornale e dallo stesso Bertinotti su Liberazione e altri media, restavano senza replica, né mia, impedita, né vostra, tralasciata, e senza difesa di verità e correttezza.

    Credo, cari compagni, che, anche ignorando sistematicamente il contributo che vi viene da una componente giovanile che io ho sperimentato come la più intelligente, generosa e scevra di incrostazioni, non solo della nostra area, non solo del nostro partito, vi siate incartati in una sfera chiusa di passatismo che vi fa a volte prendere lucciole per lanterne. Penso al vostro accomodarvi, per quanto brontolante, alle ininterrotte soperchierie di un segretario che fa il Cesare e ha per motivazione fondamentale l’istinto di sopravvivenza a tutti i costi per se stesso e per un giro di necessariamente mediocri cortigiani-pretoriani (tra i quali primeggiano donne in carriera dotate di più machismo di Rambo: indimenticabile per me e per un centinaio di spettatori attoniti il “vaffanculo, Grimaldi” urlatomi in un cinema romano dall’onorevole Elettra Deiana, solo per aver chiesto la parola dopo un suo delirante excursus sull’universo Iraq succhiato a tre giorni scarsi di permanenza in quel paese; ricordo, tra le tante manifestazioni di questi Berretti Verdi al femminile, le gentili parole con cui Imma Barbarossa, altro caporale del Forum delle Donne, esprimeva tutta la sua repulsione per L’Ernesto e i suoi seguaci, con particolare attenzione al “militarismo, nazionalismo, maschilismo” dei miei lavori sulla Palestina). E al tempo stesso ricordo Bianca, una compagna esperta, sensibile e molto preparata, tradire tutta la sua vasta e intelligente umanità, ripetendo, con sicumera e arroganza inconsapevolmente ma irrimediabilmente imperialista, gli stereotipi propagandistici elaborati sull’Iraq e su Saddam Hussein dalle centrali della costruzione del nemico occidentali, nonché, per una volta in sintonia, dal Cominform brezhneviano che doveva giustificare l’infame tradimento del trattato di mutua difesa con l’Iraq operato ordinando al partito vassallo iracheno di schierarsi con un Khomeini armato da Israele e finanziato dal Congresso USA (vedere gli atti del Congresso per i finanziamenti all’Iran dal 1981 al 1988, altro che Saddam “uomo degli americani”) . Quel partito si spaccò, con una parte andata a combattere con gli iraniani (147 dirigenti furono poi catturati e giustiziati per alto tradimento, non “massacri di comunisti”, cara Bianca, tutto qui) e l’altra, nobile, entrata nel Baath o andata in esilio a Damasco, ma rientrata ora per combattere contro l’occupante. La prima fazione, invece, quella khomeinista-brezhneviana, oggi scandalosamente gemellata al PRC, fa parte del governo fantoccio, è al soldo della Cia da decenni e sabota la resistenza: complimenti! E se ne vuoi sapere un’altra, cara Bianca, da fonti che faresti bene a coltivare perché un po’ più affidabili di quelle da te praticate, non fu l’Iraq di Saddam, emancipatosi in vent’anni dal sottosviluppo coloniale più nero a paese più avanzato per diritti sociali e sviluppo di tutto il Terzo Mondo, accanto a Cuba, a gassare i kurdi: basta documentarsi con i rapporti dei servizi segreti di tutto il mondo, Cia in testa: furono gli iraniani che per colpa di un vento maligno colpirono con i gas quei kurdi. Un po’ più d’attenzione, prego, nei confronti della più agguerrita scienza del nostro tempo: quella della disinformazione. O vogliamo finire come Bertinotti e il suo alter ego da escursione col cognome paradossale, Gennaro Migliore, che, dall’accettazione dell’astuto paradigma dei terroristi di Washington (quelli che da 150 anni tirano le fila di tutto il terrorismo), la “spirale guerra-terrorismo”, sono arrivati, ai poteri forti e al Vaticano piacendo, alla totale subalternità verso l’ epocale inganno dell’imperialismo, dalla Jugoslavia del “dittatore” Milosevic e della “pulizia etnica”, alla Palestina dei “terrorismi equivalenti”, all’Iraq della resistenza armata di popolo, diffamata e stravolta in “caos” e, ancora, in terrorismo, alla Cecenia degli “indipendentisti”, alla Tien An Men dei “dissidenti”, al Tibet “oppresso”, al Vietnam “antidemocratico”. Un articolo sul quale Vietnam dall’epigrafista di Bertinotti, Gagliardi, mi fu respinto “perché il Vietnam ha calato le braghe, ha tradito, s’è venduto” E qui c’è proprio da osservare: da che pulpito!

    Troppe, cari compagni dell’Ernesto, ne abbiamo sentite, troppe ne abbiamo viste, troppe ce ne hanno fatte. Mi viene in mente il Togliatti dell’antistorica e antileninista svolta di Salerno, quello dell’amnistia ai fascisti e, dunque, della loro cooptazione in uno Stato che la stragrande maggioranza dei partigiani, partito armato delle masse, avrebbe voluto e potuto diverso (basta nascondersi dietro Yalta per il proprio quieto vivere), quello che nei “soviet” della Fiat a quasi totale dominio comunista volle inserire artificialmente, a fini di “pluralismo”, elementi monarchici, liberali, moderati… Quello che smorzò ogni possibilità di un’evoluzione socialista a favore di quella democristo-borghese, in fin dei conti massonico-mafiosa, burocratizzando un partito che poi, fisiologicamente, avrebbe prodotto i Berlinguer dell’ombrello Nato e del compromesso con il capitalismo clerical-atlantico, ma, più ancora, i mutanti D’Alema, Fassino, Veltroni, Napolitano, lo sballottato e confuso Ingrao e…vogliamo andare avanti? Quello, insomma, che ha dato la decisiva mano di calce per la costruzione di uno Stato borghese pressoché irreversibile, rinviando la rivoluzione ai tempi dello sbarco su Plutone. Intanto, però, prima arriverà il day after e, mangiandoci le mani, discetteremo sulle occasioni e sul coraggio persi per salvare non solo la rivoluzione socialista, ma l’umanità tutta. Sono cose per voi è blasfeme, iconoclaste, lo so. Credo, invece, che siano le certezze d’antan a fregarci, a farci invecchiare, a ucciderci. Ma come, non potete sopportare un compagno che mette in discussione il “Migliore” di fatto, e collaborate alla direzione nazionale e, presto, al governo del Migliore, sconsolatamente solo di nome, e del suo capo – lo posso dire? – energicamente e inequivocabilmente anticomunista???

    Ricordo il nostro entusiasmo, cari compagni, quando, al congresso, il compagno Grassi fece un intervento di dura e orgogliosa contestazione della già allora evidente perversione bertinottiana rispetto alle volontà e ai contenuti della rifondazione antiliquidazionista. Del resto lo stesso impeccabile intervento sulla situazione generale l’ha fatto nell’ultimo numero dell’Ernesto. Salvo la ricorrente, pigra, imperdonabile a quei livelli, sciocchezza dello stereotipo imperialista su “Saddam armato fino ai denti perché riconsegnasse agli americani l’Iran caduto nelle mani degli ayatollah”, la più perfida delle falsificazioni imperialiste su chi e per cosa volesse quella guerra: fu il ricavato delle vendite di armi israeliane all’Iran, unite ai rispettivi istruttori, che finanziò i macelli dei contras in Nicaragua, né l’Iraq ricevette mai una sola rivoltella dagli USA, come s’è visto nell’ultima guerra, mentre i sionisti bombardarono la centrale nucleare irachena nel 1981: era quello il vero nemico, laico e socialista, del sionismo-imperialismo, caro Claudio. A parte questa caduta, per la verità non di poco conto, chi potrebbe mettere in dubbio la puntualità di quella critica al vertice? Ma se le cose stanno così, e stanno davvero malissimo, come si fa a star dentro a quel vertice? Che poi, alla resa dei conti, hai un bell’offrire meravigliosi frutti quando già ti sei impiccato all’albero che produce solo mele marce. Quell’albero, non c’è niente da fare né da arzigogolare, è la partecipazione di un partitino moribondo, passivizzato, cesarizzato, demotivato, disarticolato nelle sue strutture di territorio e di lotta, privato di orizzonti antagonistici veri e di una sua identità teorico-politica forte, in rappresentanza di un suo blocco sociale, alla consociazione governativa col nemico di classe, che ti masticherà, ti metabolizzerà, ti espellerà. I rapporti di forza sono quelli, hai voglia a fantasticare su contenuti e paletti.

    E Bertinotti, l’Occhetto Soft, lo sa. Tanto lui ormai viaggia sul lussuoso trans-Europe-Omnibus. Nel quale non ci sono più né falci, né martelli, né panni rossi, né impertinenze, ma solo soffici nuvolette, al meglio rosa, sui cui viaggiare comodi comodi, insieme a una dozzina di autocrati-burocrati al crepuscolo della propria valenza politica e sociale. Consolerà gli ernestini un sottosegretariato, un assessorato, un funzionariato? Come la mettiamo, sotto quei chiari di luna, con la nostra altalena tra tatticcismi-opportunismi e promesse di rivoluzione? Come Togliatti e Berlinguer? Siamo fuori tempo massimo. A meno che ci siamo rassegnati all’arcigna difesa dello Stato borghese (ma democratico, ovvio!) che mi esibisce un’anziana compagna di Roma quando si indigna e s’immusonisce (spesso facciamo questo, anziché andare al confronto politico: è la sindrome della “lesa maestà”, classica anche nei bertinottiani. Pensavo che ne fossimo scevri, invece…) perché, citando la canzone su un compagno ammazzato dalla polizia, do a quest’ultima, ohibò, dello “sbirri”.

    Se la nostra storia comune fosse finita, voglio ricordare qualche fiore e alcune spine. La nostra impennata dell’ultimo congresso, quando a coronamento di una vera proposta alternativa, racchiusa in emendamenti davvero esplosivi, chiudemmo un evento, la cui coreografia aveva perso la parola “comunista” dopo Rifondazione, con un blitz dei soliti nostri giovani che appesero sotto il naso del segretario cesarizzato un lenzuolo con “comunista, comunista, comunista”. E ci facemmo pure le magliette. Bertinotti, ne sono certo, me l’ha giurata da allora. Quel giorno arrivammo quasi al 30%. Sarebbe bastata un’intesa tecnico-tattica con i ferrandiani e gli altri per mettere alle corde Cesare entro pochi mesi e salvare una qualche prospettiva comunista per il nostro paese e i nostri figli.. Invece, come dicono molti di noi, rintronati di visceralismo, “con i trotzkisti mai”, neanche due fermate sullo steso tram. Gli stanno sul cazzo più di Cossiga. Quella forza ce la siamo giocata con successivi acconciamenti-arretramenti. Oggi, ve lo dice uno che la base la gira continuamente, alla faccia di tutte le scomuniche, quella forza si è dissipata. Oggi non ci distinguono mica tanto più e leggere una buona rivista non ripara la frustrazione. Tremo all’idea che si vada così al prossimo congresso, zeppo, incongruamente, di cammelli in marcia sulla pista della Sinistra Europea, tutto fuorché comunisti. Abbiamo una ricchezza inutilizzata: i giovani dell’Ernesto e periferie vicine. Si sta disperdendo nella malinconia, nella rabbia, nell’impotenza. A Roma avevamo la possibilità di cinque nuovi posti nel Comitato Politico Federale. E’ prevalsa una regola improntata alla più bell’acqua burocratica, ovviamente torbida: dentro solo i segretari di circolo. Affidabili, senza troppi grilli per la testa. Magari un Luca Fontana un po’ sottosopra, che assale compagne che distribuiscono volantini a Cesare non graditi. Feci una battaglia perché tra questi cinque ci fosse almeno uno dei nostri giovani. Sono incomparabilmente più seri, bravi, preparati – in spregio alla totale non-formazione voluta da Cesare -, ma sono anche compagni che pensano senza guinzagli. Invano. Anzi, il segretario del mio circolo, a malapena mi saluta più. Un po’ come l’incredibile cognome Migliore e l’improbabile segretaria federale Perugia facevano finta di non conoscermi durante due settimane appiccicati l’uno agli altri in Palestina. Bel partito ha tirato su il bertinottismo! E così la nostra squadretta, come del resto la nostra organizzazione romana, immutabile nei numeri da anni, è gerontocratica, inossidabile, impermeabile, stagnante e di una permalosità patologica. Non tiene finestre aperte, Non corre rischi di correnti d’aria e di allergia da polline di primavera. E anche un po’ familista. Si deve pur vivere. E dunque disinfestare.

    Ho passato in questi anni, dal 1998, momenti esaltanti. Quando, in giro per le zone rosse d’Italia, raccontavo la storia di popoli che, lì, erano ben più rispettati ed amati, anche nelle loro scelte diverse, che non in certi angoli polverosi del salotto Vip. Pochi grilli parlanti, tra i compagni di base e moltissimo naso per annusare puzza di menzogna e mistificazione. Non ero molto portato, con la mia compagna, a frequentare trattorie post-riunione e gite tribali di fine-settimana. Mal gliene incoglie a chi non sa quanto sia radicato da noi il clan, altro che Iraq! Ma le cene e le serate post-dibattito, in qualche rustico locale di provincia, con compagni incazzati di RC, con quelli che c’erano e se ne sono andati, con quelli che, comunisti, non ci sono mai stati. Quelle sì che allargavano il cuore e lo riempivano di affettività, ti colmavano la mente di spunti e disvelamenti, ti facevano davvero sentire tutt’uno con la parte più preziosa del nostro tessuto nazionale. Che non sia un sudario! Dipende da noi, ormai solo da noi, comunisti e non bertinottiani.

    Compagni, questo segretario sembrava che ci prendesse per mano, invece ce le ha infilate nelle manette, le mani. Non sta scritto da nessuna parte che un segretario di partito comunista debba esserlo vita natural durante, specie se il partito che dirige e che dovrebbe trattare come una pianta da curare e rafforzare, lo perverte, gli cambia i connotati a forza di cazzotti e i cromosomi a forza di trapianti, piano piano lo uccide. Intorno al “carismatico” leader è stato fatto il vuoto, i critici umiliati e illusi, i seguaci scelti tra i mediocri o, altrimenti, mediocrizzati: corifei che nell’ombra suonano le loro eulogie. Quale cittadino conosce un dirigente del PRC che non sia Bertinotti? Ma viste le comparsate di qualche altro, Mantovani, Cannavò, forse è meglio che in Tv ci vada solo lui. Quest’uomo, venuto da storie del tutto diverse da quelle di tutti noi, ha reciso le nostre radici e le ha gettate in discarica, ha infangato e obliterato chi ci aveva seminati e chi aveva speso la vita e generazioni per farci continuare il lavoro di riscatto dell’uomo, si è permesso di gettare ombre sulla parte più nobile della nostra intera storia nazionale, l’unica rivoluzionaria, si è accreditato per spoliazioni progressive presso la peggiore e più deculturizzata classe dirigente che si sia mai definita di “sinistra”, sbilanciandosi addirittura oltre quei limitari, verso un mondo inquinato di poteri occulti e corrotti, è tornato a esaltare la superstizione istituzionale, origine e causa della maggior parte dei conflitti e delle sventure nella storia di duemila anni, e il suo capo, intrigante nemico dell’umanità emancipata. Li ha chiamati compagni di strada verso la pace e, pensate un po’, contro il “neoliberismo”, arrivando infine fino a sussumere l’infame icona dello “scontro di civiltà”.Tutto ha deciso e fatto, compreso un nuovo partito UEista e acomunista (per non dire di peggio), fottendosene altamente di comprimari, figuranti, comparse, corifei e, peggio, della base e dello statuto dalla base voluto. E’ la negazione di un capo comunista, usa la parola “comunista” degradandola a significati di assoluto comodo. E’ uno specialista del testacoda, un funambolo dell’illusionismo: ci ha portato a dichiarare morto e defunto l’Ulivo, si è sposato con forze assolutamente equivoche come i capibastone disobbedienti, indicando nella loro sterile e infantile demagogia ribellista l’orizzonte della vera sinistra, salvo poi ricavarne un ilare astensionismo e qualche voto a Verdi e DS e salvo poi riconvertirsi all’Ulivo “cambiato” (in peggio), al centrosinistra più centro che mai, NON PER BATTERE BERLUSCONI E LA FASCISTIZZAZIONE AVANZANTE, per quello bastava un accordo elettorale e poi la propria libertà d’azione, infinitamente più condizionante, MA PER SEDERSI AL TAVOLO DEL POTERE, PER GOVERNARE. Partito di lotta e di governo? Ancora quell’ossimoro? Ma non facciamo ridere!. Perciò la non violenza integrale, assoluta, universale predicata ai proletari, agli esclusi, agli sfruttati, agli aggrediti, nel momento, guarda un po’, della storicamente più feroce e sanguinaria esplosione di violenza planetaria del padrone imperialista in preda a lucidissima pazzia. E , dunque, nel momento dell’eroica e vincente resistenza dei popoli. Popoli che molti di noi guardano, al meglio, con paziente sussiego, al peggio con aristocratica sufficienza e con ideologico cipiglio. Popoli dai quali, oggi, avremmo tantissimo da imparare. A partire dalla dignità e dal coraggio. Disarmo unilaterale, quello dei teologi della non violenza, imbecille, disumano, offensivo per chi lotta e per chi muore, vile e collaborazionista. E’ così che si decostruisce scientificamente un partito comunista.

    Basta per deferirmi al Collegio di Garanzia? Già fatto, tra le grida da nevrosi punitiva che alligna anche tra gli ernestini davvero vecchi: “Espulsione! Espulsione!” Solo per mia eccessiva osservanza dell’art. 3 dello Statuto, con un bellissimo striscione: BERTINOT-IN-MY-NAME!
    Ne andrei fiero anche se fossi l’unico a gridarlo.

    Saluti comunisti e Intifada fino alla vittoria.

    Fulvio Grimaldi

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