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Egitto: parlamento vs israele

Ma il confronto a distanza tra l'Egitto uscito dalla rivolta contro Mubarak e Israele per il momento non va oltre dichiarazioni infuocate e la battaglia sulla esportazione del gas.

(16 Marzo 2012)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in nena-news.globalist.it

Egitto: parlamento vs israele

foto: nena-news.globalist.it

AZZURRA MERINGOLO

Roma, 16 marzo 2012, Nena News (nella foto il Majles a-Shaab, la Camera bassa egiziana) - Un voto per alzata di mano del parlamento egiziano fa tremare Israele. Lunedì scorso il Maglis al Shaab, la camera bassa dell’assemblea riunita al Cairo, ha risposto infuriata alla rappresaglia di attacchi lanciati dallo stato ebraico sulla Striscia di Gaza. Nel farlo ha espresso la sua opposizione alla politica israeliana, arrivando a chiedere il ritiro dell’ambasciatore egiziano da Tel Aviv.

Il Cairo “non sarà mai un amico, un partner o un alleato dell’entità sionista. Questa è per noi il primo nemico dell’Egitto e delle nazioni arabe”, si legge sul testo approvato dalla commissione degli affari arabi del Maglis al Shaab che ha anche chiesto l’espulsione del diplomatico israeliano dall’Egitto.

Da quando, nel 1979, il Cairo e Tel Aviv hanno firmato l’accordo di pace di Camp David, la relazione tra questi due stati è stata alla base degli equilibri regionali ed è andata sempre più rafforzandosi con la gestione dell’ex presidente Hosni Mubarak. E’ per questo motivo che sin dallo scoppio delle prime manifestazioni nei dintorni di piazza Tahrir lo stato ebraico ha guardato con sospetto all’evoluzione della rivoluzione egiziana. Se da una parte Tel Aviv si è ufficialmente congratulata con l’Egitto in occasione della seduta inaugurale del primo parlamento dell’era post Mubarak, dall’altra ha da subito chiesto alla nuova leadership egiziana di confermare pubblicamente l’accordo firmato a Camp David.

Eppure, proprio lunedì, il Maglis al Shaab ha chiesto al governo egiziano di rivedere tutti gli accordi presi con il “suo nemico”, primo fra tutti quello che regola l’esportazione del gas allo stato ebraico.

In realtà, la richiesta del Parlamento egiziano ha un significato essenzialmente simbolico, perché solo il consiglio militare può pronunciarsi sul futuro della validità dei trattati attualmente vigenti. Ciononostante vi sono indicatori che mostrano che l’ Egitto ha seriamente intenzione di rivedere la sua relazione con Israele. Anche se molti analisti continuano a ribadire che Camp David non può essere cancellato, numerosi sono coloro che chiedono che esso deve essere almeno modificato per garantire gli interessi degli egiziani. Il presidente Mubarak è stato infatti accusato di vendere gas a prezzi privilegiati allo stato ebraico. “ La svendita a Israele non è nei nostri interessi e un governo democraticamente eletto dovrà adoperarsi per garantire gli interessi dei suoi elettori” ha scritto un economista egiziano su un forum di discussione locale.

A rimettere al centro la questione del gas è stata proprio in questi giorni la Compagnia egiziana del Gas Naturale che ha dichiarato di volere appaltare le operazioni di esplorazione dei siti di gas naturale. Chiedendo di rimanere anonimo, un dipendente del ministero del Petrolio ha spiegato al quotidiano Al Masry al Youm che alcuni di questi siti si trovano nelle acque che confinano con lo stato ebraico e che l’Egitto ha ora intenzione di fare valere i suoi diritti in questi fondali.

Secondo Ibrahim Zahran, un esporto in materia petrolifera, la mossa egiziana arriva troppo tardi perché Israele ha fino ad ora implementato una politica de facto che ignora la convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare. Lo stato ebraico non ha infatti sottoscritto questo accordo. In aggiunta, secondo il geologo egiziano Mahfouz al-Bouny, il Cairo e Tel Aviv non hanno ancora demarcato il confine delle loro acque.

Ciononostante, ora che i cittadini egiziani chiedono ai propri governanti di essere trasparenti, si avverte una certa urgenza di chiarire tutte le questioni trattate in modo poco chiaro dal vecchio regime, come appunto la relazione con Israele.

Anche se, praticamente, il voto di lunedì non ha avuto alcun risvolto, questo è un indicatore di ciò che potrebbe trovarsi ad affrontare chi governerà l’Egitto post rivoluzionario. Inoltre, il timore del deterioramento della sicurezza lungo i confini, potrebbe portare i militari a giustificare la loro presenza e la loro titubanza nel cedere la completa gestione del paese a autorità civili.

E mentre al Cairo ci si continua ad interrogare sul rapporto da avere con Israele, lo stato ebraico appare insensibile alle dichiarazioni del Maglish al Shaab e, fino ad ora, non è arrivato alcun commento ufficiale. Nena News

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