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Scusa, India!

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(15 Marzo 2013) Enzo Apicella

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    Afganistan: le truppe d'occupazione nato continuano impunite le stragi di civili

    My Lai: in ricordo di un altro grande massacro di innocenti

    (18 Marzo 2012)

    anteprima dell'articolo originale pubblicato in ciptagarelli.jimdo.com

    Afganistan: le truppe d'occupazione nato continuano impunite le stragi di civili

    foto: ciptagarelli.jimdo.com

    1. Uno in più e sono già migliaia

    Meno di una settimana fa - la scorsa domenica 11, alle tre di notte ora locale - nove bambini, quattro donne e tre uomini sono stati assassinati a sangue fredddo mentre dormivano nelle loro povere case dei villaggi di Balandi e di Alkozaid, a due chilometri di distanza fra loro, nella regione del Panjwai, nel sud dell’Afganistan.

    Non erano passate tre ore quando un portavoce delle forze d’occupazione comunicava che il delitto era stato perpetrato da un solo soldato statunitense, che era tornato alla sua base NATO con le braccia alzate, dopo aver consegnato la sua arma, e che si trovava sotto custodia.

    Il contadino Samas Khan si trovava in un altro villaggio quando accadde il massacro e, tornando a Balandi, trovò che gli undici membri della sua famiglia erano stati assassinati e i loro corpi bruciati. Ad Alkozaid sono stati assassinati altri sei membri di due famiglie e anche i loro corpi erano stati bruciati. Tutto è successo, come hanno detto, in circa dieci minuti, il tempo perchè i vicini udissero gli spari e si svegliassero.

    La domanda che molti si fanno è la seguente: come è umanamente possibile che un solo soldato, con un solo fucile, assassinasse così tante persone e bruciasse i loro cadaveri in dieci minuti, in villaggi che si trovano a due chilometri di distanza fra loro?

    Il parlamentare Abdul Rahum Ayubi di Kandahar ha detto che è impossibile che un solo soldato, in così poco tempo, possa assassinare sedici persone e bruciare i loro cadaveri in case di villaggi diversi.

    Il membro del parlamento Bismullah Afghanmal ha detto che le versioni degli abitanti dei villaggi indicavano che gli spari sentiti la mattina presto della domenica provenivano da varie direzioni.

    La deduzione logica che si trae è che quanto è successo somiglia alla strage di My Lai, nonostante la grande differenza nel numero delle vittime: alcuni soldati sono entrati nelle case dei due villaggi e hanno assassinato i loro occupanti per terrorizzare i combattenti talebani in una zona da loro dominata, perchè da lì viene il mullah Omar e fu in uno di questi vilaggi che fondò la sua prima scuola di culto musulmano e nella zona predicò per anni. Lo hanno fatto, inoltre, per rappresaglia contro i recenti attacchi mortali portati contro le truppe di occupazione, alcuni dei quali realizzati da membri delle forze armate nazionali dell’Afganistan per protesta contro il rogo di centinaia di copie del Corano, bruciate dai soldati yankee.

    Così come My Lai fu una vendetta contro il Vietcong, questo massacro in Afganistan è una vendetta contro i talebani.

    L’enorme e mostruosa vigliaccata di assassinare bambini, alcuni di pochi mesi, ben lungi dall’essere nuova nell’Impero, data da ancor prima che questo paese fosse indipendente, quando lottava contro l’Impero britannico per diventare esso stesso un nuovo impero, mille volte più brutale di quello.

    In quella guerra le tribù che appartenevano alla Conferderazione degli Irochesi si erano unite all’Inghilterra perchè il vecchio impero dava loro garanzie, attraverso un Impegno Reale firmato dal monarca inglese, che sarebbero state rispettate la loro vita, la loro libertà e le loro terre. Gli indipendentisti non davano loro alcuna garanzia e questo fu dimostrato anni dopo, quando fu il nuovo impero a spogliarli di tutte le loro terre e ad assassinare decine di migliaia di loro.

    Nell’estate 1779 centinaia di soldati che lottavano per l’indipendenza, agli ordini dei generali John Sullivan e George Clinton, irruppero nei villaggi irochesi nello Stato di Nuova York e assassinarono centinaia di donne e bambini. Entravano nelle loro tende di notte e all’alba, mentre dormivano, e li uccidevano a fucilate o con le baionette, compresi i bimbi di pochi mesi... esattamente come a My Lai, in Afganistan e in molti altri luoghi ed epoche.

    Il soldato solitario che il suo governo accusa del masscro di domenica è colpevole di questa nuova mattanza, o lo sono i vari soldati che vi hanno partecipato, secondo i testimoni del crimine?

    Si, lo sono, ma in senso minore. Il principale colpevole è Barak Obama che ha tradito il popolo degli Stati Uniti quando, in campagna elettorale, promise che avrebbe dato fine alle guerre e poi continuò quella dell’Iraq, peggiorò quella dell’Afganistan, iniziò quelle del Pachistan e della Libia e minaccia ora i popoli di Siria e Iran. Se Obama non avesse tradito il suo popolo questo nuovo massacro non sarebbe successo. Tutto questo sangue ricade su di lui.

    2. Il massacro di My Lai

    Il mattino del 16 marzo 1968 tre compagnie della Undicesima Brigata di Fanteria iniziarono un’operazione di rastrellamento e di terra bruciata nell’area di Son My. L’obiettivo della Compagnia C della Brigata era il 48° Battaglione del Vietcong, che secondo i servizi segreti aveva la sua base in un villaggio segnato sulle mappe militari statunitensi come My Lai-4.

    I nordamericani cominciarono lanciando un attacco con gli elicotteri. Non incontrarono resistenza nella zona di atterraggio e il capitano Ernest L. Medina inviò la 1° Sezione della Compagnia C nella zona. All’arrivo dei soldati statunitensi alcuni abitanti cominciarono a correre e furono abbattuti; , la 2° Sezione spianò la metà nord di My Lai-4 gettando granate nelle capanne e uccidendo tutti quelli che cercavano di uscire. Mezz’ora dopo Medina inviò la 2° Sezione nel villaggio di Bihn Tay, in cui catturarono una ventina di donne e bambini che furono assassinati.

    Intanto la 1° Sezione, agli ordini del tenente William L. Calley Jr. fece terra bruciata della zona sud di My Lai, sparando a chiunque cercasse di fuggire, assassinando altri con le baionette, ucccidendo il bestiame e distruggendo coltivazioni e case. I sopravvissuti furono ammassati in un canale di irrigazione . Allora il tenente Calley aprì il fuoco contro i contadini indifesi e ordinò ai suoi uomini di fare lo stesso. Scaricarono una pioggia di proiettili sui contadini finchè tutti i corpi rimasero immobili. Un bimbo di pochi mesi strisciò gattonando fra i corpi e piangendo: Calley gli sparò alla testa.

    Mezz’ora più tardi la 3° Compagnia della Sezione C entrò in azione per finire di liquidare il “nemico”. Uccisero gli abitanti del villaggio feriti, bruciarono le case, spararono sul bestiame che era ancora vivo e su chiunque cercasse di fuggire; poi riunirono un gruppo di donne e bambini e li crivellarono.

    Una donna fu colpita da tante raffiche che le sue ossa schizzarono in pezzi. Un’altra fu uccisa a fucilate e il suo bimbo colpito da un M-16, mentre un altro piccolo fu accoltellato con una baionetta. Un soldato che aveva appena violentato una ragazza le infilò la canna del suo M16 nella vagina e schiacciò il grilletto. Un vecchio fu gettato in un pozzo con una granata: aveva due possibilità, annegare o saltare per aria. Un bimbo che fuggiva fu ucciso con uno sparo.

    Il sottufficiale Hugh C. Thompson, pilota di un elicottero di osservazione, cominciò a lanciare granate fumogene per poter localizzare i feriti civili ed evacuarli. Poi si accorse che i suoi compagni a terra seguivano le tracce di fumo per arrivare ai feriti e ucciderli.

    In tutto morirono 347 persone, tutte vecchi, donne e bambini. Il capitano Medina disse che avevano contato i corpi di 90 Vietcong e nessun civile. L’ufficiale dell’ufficio stampa della divisione annunciò che erano stati uccisi 128 nemici, arrestati 13 sospettati e catturato tre armi!

    Il massacro venne reso noto al mondo alcuni mesi dopo perchè due giornalisti, il fotografo Ronald Haeberle e il giornalista dell’Esercito Jay Roberts, erano stati assegnati all’unità di Calley e furono testimoni della mattanza.

    Le notizie vennero divulgate poco a poco. Gli uomini della Compagnia C vantavano orgogliosi la loro vittoria a My Lai. I Vietcong distribuirono volantini denunciando quell’atrocità e l’Esercito fece una blanda inchiesta sulle voci del massacro, che si erano estese a tutta la catena di comando, ma venne deciso che non c’erano prove sufficienti per continuarla.

    Anche l’artigliere dell’elicottero, Ronald Ridenhour, sentì le voci sul massacro e se ne interessò. Parlò con alcuni membri della Compagnia C tra cui si trovava l’oppositore più deciso di quella atrocità, Michael Bernhardt. A mano a mano che arrivavano le informazioni, l’euforia iniziale cominciava a scemare e molti di coloro che avevano preso parte al massacro cominciarono a chiedersi come avrebbero potuto vivere con quello che avevano fatto quando fossero tornati al mondo “normale”. Sapevano di non poter far nulla senza venire accusati di assassinio, ma volevano parlare con Ridenhour. Egli raccolse le dichiarazioni, anche se era sicuro che se le avesse presentate all’Esercito si sarebbe svolta nuovamente un ‘inchiesta superficiale e, di nuovo, tutto sarebbe stato messo a tacere. Ma quando tornò a casa sua dopo il periodo di servizio, si rese conto che gli era impossibile dimenticare quello che aveva saputo. Scrisse così una lettera descrivendo le testimonianze che aveva raccolto e inviò trenta copie ai politici più importanti.

    Il congressista Morris Udall, dell’Arizona, fece pressioni sull’Esercito perchè inviasse una squadra investigativa a intervistare Ridenhour. Sei mesi dopo, e diciotto dal massacro, Calley fu accusato di assassinio.

    A) Una bestia non così bestiale come l’Impero

    Calley era agente assicurativo a San Francisco e stava tornando alla sua natìa Miami, dove lo avevano destinato, quando rimase senza soldi ad Albuqueque e decise di arruolarsi.

    Ricevette l’istruzione di base a Fort Bliss (Texas), frequentò la scuola di amministrazione a Fort Lewis (Washington) e poi la scuola ufficiali a Fort Benning (Georgia), dove non fece nulla per distinguersi. Si laureò senza saper leggere correttamente una mappa. Prima di partire gli chiesero di pronunciare un discorso di tre minuti sul “Vietnam nostro ospite”. La sua breve dissertazione fu molto confusa. La sua scarsa cultura non gli bastò ad affrontare quel vuoto morale chiamato Vietnam. Si trovò a non saper controllare i suoi uomini nè a resistere alle pressioni crescenti dei superiori sul conteggio delle vittime. Il problema era che né lui né i suoi uomini riuscivano a trovare alcun Vietcong. Calley disse che una prostituta con cui aveva contatti “mostrava” tendenze comuniste e questo lo preoccupava: doveva ucciderla? Ma poi, sul campo di battaglia, non avevano trovato alcun nemico. La sua inettitudine durante le imboscate era tale che metteva in allarme i nemici a vari chilometri di distanza.

    Calley aveva visto soldati nordamericani che uccidevano civili per provare la loro mira o solo per divertirsi.
    Aveva sentito parlare di elicotteri che si potevano “affittare” per andare a caccia di umani, e di soldati annoiati che andavano a “cacciare scoiattoli” in zone civili. Aveva visto soldati nordamericani che sparavano senza ragione e sapeva che si gettavano granate lacrimogene nei dormitori degli ufficiali.

    Nonostante tutta questa violenza gratuita, Calley sapeva di avere una missione da compiere. Il Governo degli Stati Uniti l’aveva inviato in Vietnam per una ragione: fermare il comunismo, almeno questo credeva lui. Non sapeva cos’era il comunismo, sapeva solo che era qualcosa di cattivo. “Vedo i comunisti come quelli del sud vedono i negri – disse in un’intevista anni dopo il crimine – L’aver ucciso quella gente a My Lai non mi ossessiona. Non l’ho fatto per il piacere di uccidere, ma per farla finita con il comunismo”. “In ogni caso quello che ho fatto era forse peggio che buttare bombe da 400 chili o napalm? Le bombe atomiche e quelle incendiarie avevano ucciso centinaia di migliaia di donne e bambini. Perchè si sta facendo tanto casino?” si chiedeva Calley. Lui non aveva fatto peggio del generale Sherman nella sua marcia verso il mare durante la Guerra Civile.

    “L’unico modo di finirla con la guerra del Vietnam – disse anche Calley in quella intervista – è mettere tutte quelle scimmie gialle su barchette e spedirli in mare, uccidere tutti i vietnamiti del nord .... e poi affondare le barche”.

    B) Il processo

    Il processo a Calley divise in due il paese. Quelli a favore della guerra dicevano che aveva compiuto il suo dovere. Quelli che erano contro affermavano che Calley non era altro che un capro espiatorio, visto che massacri come quello di My Lai succedevano tutti i giorni, e che erano Johnson, MacNamara e Westmoreland e, poi, Nixon e Kissinger coloro che dovevano sedere al banco degli imputati.

    La giuria si ritirò il 16 marzo 1971, il giorno del terzo anniversario del massacro, e discusse per tre settimane. Lo dichiararono colpevole di assasinio di almeno 16 civili. Venne condannato all’ergastolo e ai lavori forzati. In seguito la pena venne ridotta a 20 e poi a 10 anni. Alla fine Nixon gli concesse il perdono e Calley venne liberato il 19 novembre 1974, dopo tre anni e mezzo di arresti domiciliari: meno di due mesi per ognuna delle vittime per cui era stato dichiarato colpevole e meno di quattro giorni per ciascun civile assassinato.

    Calley ancor oggi è convinto di aver fatto il suo dovere davanti a Dio e al paese; è convinto di essere stato coraggioso, leale, attento, obbediente, pulito e rispettoso in guerra ... ma là c’erano i 347 civili assassinati a Son My e più di cento cadaveri in un canale di My Lai e uno di questi era di un bimbo di pochi mesi che cercava di uscirne gattonando e a cui lui sparò alla testa.

    da: kaosenlared.net; 16/3/2012
    (traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Via Magenta 88, Sesto San Giovanni)

    Carlos Rivero Collado

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