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(27 Giugno 2002)
Nella settimana tra il 19 e il 26 maggio iniziavano a Verona l'occupazione e i lavori di sistemazione di un'ex-area industriale, una fabbrica chimica, situata sul lungadige nelle vicinanze del quartiere Chievo, abbandonata da più di dieci anni e abitata in parte da una decina di migranti.
A tutt'oggi l'occupazione prosegue, con iniziative politiche, concerti, proiezioni di video e altro, facendo "emergere dall'invisibilità", di giorno in giorno, gruppi e individualità sicuramente interessati al nostro progetto.
L'idea di uno spazio sociale da "liberare" e da riempire d'iniziative politiche, sociali, culturali, artistiche non ha mai cessato di farsi sentire in questi anni, ha piuttosto visto modificare forme, istanze, pratiche e obiettivi proporzionalmente al mutare della società che ne costituisce il contesto storico.
Permane comunque invariata l'esigenza profonda che ne sta alla base: creare un luogo che sia "altro" dalle logiche della società di maggioranza, resistente all'esistente ma, se e quando è possibile, in stretta e attiva interrelazione con esso.
Uno spazio quindi che si vorrebbe liberato dall'omologazione alle logiche del luogo-divertificio, in cui consumare l'aggregazione, la comunicazione, la musica, lo spettacolo ecc. come le tante merci collocate sui ripiani di un grande magazzino. Da un lato.
Dall'altro uno spazio che si vorrebbe APERTO (liberato in questo senso dei vincoli, delle tradizioni, dei muri che noi stessi ci costruiamo intorno) ad una nuova dimensione delle dinamiche politiche e sociali, aperto ad un confronto di tipo nuovo, meno codificato, più essenziale ma non per questo compromissorio o genericamente trasversale, un confronto dal basso che permetta la partecipazione dei "dilettanti" della politica, capace di essere oltre le troppo frequenti chiusure di parte, le barricate degli schieramenti, che non sono purtroppo un'esclusiva della forma partito.
Un percorso, quello degli spazi liberati e autogestiti, che trae il senso del suo essere non all'esterno ma all'interno del percorso stesso che si intraprende, non l'ottenere o il mantenere il luogo liberato, ma il vissuto stesso dell'esperienza formativa e creativa.
Sta proprio in questo la forza dell'autogestione, nel suo potenziale di autocoscienza, nella capacità di comunicazione e relazione, interna ed esterna ad essa.
Il mutamento nella "forma" (se di forma si può parlare) degli spazi sociali occupati e autogestiti consiste nell'essere fisiologicamente aderenti alle nuove forme di comunicazione sociale e politica, alle nuove pratiche e contraddizioni che esse sollevano, alle nuove forme di lotta e di resistenza che dobbiamo saper creare (ciò che banalizzando "racchiude" il senso della profonda innovazione rappresentata da quello che è stato definito il movimento dei movimenti).
Su tutti emerge con forza l'attore sociale che meglio incarna la rivoluzione radicale in atto nella società in cui ci muoviamo: il migrante, lo straniero.
Anche a Verona, e non si tratta di una coincidenza, sono stati i migranti a tracciare la mappa dei non luoghi del tessuto urbano, dei tanti spazi pubblici e privati lasciati al degrado, volontariamente o involontariamente abbandonati.
Anche a Verona l'esigenza di liberare spazi da autogestire non è mai venuta a mancare, ed è proseguita con tenacia, nonostante l'invisibilità in cui è sempre stata ricacciata, nonostante l'isolamento e la repressione che negli anni è stata riservata agli esperimenti precedentemente avviati (per noi, in particolare, il c.s.o.a. Isola e prima ancora il c.s.o.a. Forte 115), una repressione violenta finalizzata a stroncare definitivamente le realtà che in questo senso si muovevano.
Anche a Verona dove l'indifferenza della città ha permesso per troppo tempo che fatti importanti, nel bene e nel male, le scivolassero addosso senza innescare riflessioni e dialettiche che andassero oltre i più banali luoghi comuni, un'indifferenza che ha alimentato in maniera esponenziale il qualunquismo, che ha favorito l'aggregazione da piccola patria (del bar, del quartiere, della compagnia, della curva di stadio...), che ha aperto le porte alla Verona "laboratorio delle destre", inaugurata dallo sposalizio tra i potentati politici e "culturali" cittadini con i rappresentanti "ufficiali" del mondo giovanile
Soprattutto a Verona, perchè in questi anni diverse realtà hanno incominciato ad alzare la testa, hanno imparato la ricchezza del confronto nella differenza, hanno rafforzato la propria volontà (e il dovere) di resistere alla deriva sociale, politica, culturale in atto e la coscienza di poter essere e proporre alternative credibili.
Quanto maggiore è stato il delinearsi e il rafforzarsi di una dimensione politica, tanto più imprescindibile è diventata l'esigenza di una dimensione sociale ad essa complementare, fatta di comunicazione, di aggregazione, di incontro per costruire e per sperimentare, per testarne anche la reale esigenza, frammenti di "altra" socialità.
Soprattutto ora !! I tempi in cui attuare questo nuovo tentativo sono stati calcolati sull'occasione strategica rappresentata dalle elezioni amministrative, essenzialmente perchè era prevedibile calcolare una certa distrazione dell'opinione pubblica e gli ostacoli operativi a cui necessariamente è stata vincolata l'amministrazione uscente e da cui lo è altrettanto la giunta in ingresso.
La scelta ci ha dato ragione: abbiamo potuto continuare i lavori e proporre già alcune iniziative (concerti e tavole rotonde) senza essere stati seriamente contrastati da polizia o vigili urbani.
Solo i carabinieri della locale stazione proseguono le loro ottuse operazioni d'identificazione e conseguenti denuncie per occupazione abusiva, effettuate nei momenti in cui sanno di trovare un numero esiguo di occupanti e in attesa di ricevere nulla osta più emozionanti.
E'innegabile lo stupore che ci ha dato l'imprevedibile (e per alcuni versi inspiegabile) sconfitta delle destre, della quale non si può non tenere atto: sarebbe ipocrita negare la soddisfazione di vedere i fascisti dichiarati andarsene in pensione per almeno qualche anno, quei fascisti ai quali è sempre piaciuto riempirsi la bocca di centri sociali per dimostrare, a parole e nei fatti, quanto sia edificante schiacciarli.
Ora qualcosa è cambiato, e il tempo ci dimostrerà se di reale cambiamento si può parlare, per quanto minimo esso si dimostri.
Con l'amministrazione cercheremo un dialogo, cercheremo di aprire una vertenza sugli spazi, che non può comunque prescindere dalle nostre esigenze e dalla nostra storia.
Se così non fosse saremo riconsegnati alla resistenza di sempre, forse ad un'invisibilità mai cercata, non certo alla resa.
Non abbiamo qui il bisogno di rivendicare ruoli o meriti nelle battaglie intraprese in questi anni a Verona, così come non pretendiamo di essere elemento di svolta di chissà quali processi di cambiamento.
Riteniamo non di meno di essere il tassello mancante nella dimensione di movimento esistente a Verona e di poter contribuire allo sviluppo di tutte le altre realtà nella misura in cui esse "servono" a noi per poter riempire di vita, idee e contenuti lo spazio che abbiamo liberato, in una contaminazione, collaborazione e stratificazione che possono essere e sono a tutt'oggi l'unica vera risorsa per un reale cambiamento della nostra società.
26 giugno 2002
C.S.O.A. LA CHIMICA
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