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(13 Dicembre 2012) Enzo Apicella

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    (Capitale e lavoro)

    La sola politica della classe lavoratrice è la lotta di classe contro il capitalismo

    Volantino distribuito durante la manifestazione NO DEBITO - Milano 31 marzo

    (2 Aprile 2012)

    La "riforma" del mercato del lavoro è un nuovo gravissimo attacco a tutta la classe lavoratrice, che completa l’offensiva in corso nell’ultimo anno e prepara gli attacchi futuri.

    La modifica dell’articolo 18 rende più efficace il ricatto del licenziamento, eliminando la possibilità di reintegro del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo. Sarà più facile per il padronato imporre condizioni di lavoro peggiorative, ad esempio con nuovi contratti aziendali in deroga a quello nazionale di categoria, rese possibili dall’Accordo del 28 giugno 2011 fra i sindacati di regime (Cgil-Cisl-Uil-Ugl) e Confindustria e dall’ultima manovra del governo Berlusconi (art. 8), che hanno aperto la strada allo svuotamento del contratto nazionale di lavoro. Scioperare e opporsi significherà esporsi al serio rischio di essere licenziati col pretesto "economico", visto che per le aziende una forza lavoro sottomessa vale assai più di qualche mese d’indennizzo.

    Le manovre di luglio e agosto del governo Berlusconi e quella di dicembre del governo Monti avevano:
    – tagliato il salario indiretto, cioè i servizi sociali, con la riduzione dei trasferimenti agli Enti Locali, che si riflette nella generale decadenza dei servizi pubblici e con l’introduzione di nuovi ticket sanitari;
    – esteso il blocco dei salari dei lavoratori pubblici fino al 2018;
    – aumentato la tassazione con l’innalzamento dell’IVA e l’introduzione dell’IMU;
    – attuato l’infame innalzamento dell’età pensionistica per le pensioni di vecchiaia (66 anni al 2012, 67 e 2 mesi per tutti, uomini e donne, pubblici e privati, al 2021) e per le pensioni anticipate (ex pensioni di anzianità: 42 anni e 1 mese di contributi al 2012, 43 anni e 5 mesi al 2021).

    Ora è il turno degli ammortizzatori sociali: la nuova "Assicurazione sociale per l’impiego" (Aspi) durerà solo 12 mesi e abolirà le diverse forme di indennità di disoccupazione (ordinaria non agricola, con requisiti ridotti, e speciale per il settore edile), l'indennità di mobilità e la Cassa Integrazione Straordinaria per chiusura d’azienda, provvedimenti che, sommandosi fra loro (CIGS + mobilità), coprivano il lavoratore dai tre ai 5 anni.

    La borghesia si sta riprendendo tutte le conquiste della classe operaia. Questo processo, non nuovo, ma iniziato gradualmente a partire dalla seconda metà degli anni ’70, nell’ultimo anno ha subito una forte accelerazione, perché, in assenza di una reale opposizione della classe lavoratrice, segue il corso di avanzata della crisi generale del capitalismo, anch’essa iniziata non nel 2008, ma nel 1973-’74: la borghesia fa pagare la crisi ai lavoratori.

    Le vere cause della crisi sono quelle indicate da Marx nel Capitale: la sovrapproduzione e il calo del saggio del profitto. Sono le stesse che determinarono la Grande Crisi del 1929. Esse hanno origine nella produzione, là dove il lavoro operaio crea il plusvalore, e agiscono in maniera inesorabile perché sono implicate nelle leggi stesse di funzionamento del capitale.

    La crisi non solo è inevitabile ma è anche irrisolvibile: ciò che la borghesia può fare è solo rimandare il suo precipitare. Questo è quanto è avvenuto dal 1973-’74 agendo su tre leve: l’allargamento del mercato mondiale, l’aumento del debito, l’aumento dello sfruttamento della classe lavoratrice. La crescita del debito pubblico, iniziata proprio nel 1973-‘74, e l’allargamento del mercato mondiale, maturato dalla metà degli anni ’80, hanno permesso alla borghesia di utilizzare la terza leva, l’attacco alla classe operaia, con studiata gradualità, onde evitare di scatenare la reazione di una classe lavoratrice ancora in forze.

    Le tappe fondamentali di questo attacco graduale disegnano l’inesorabile arretramento delle condizioni dei lavoratori: nel 1977 la CGIL inaugurò, con la “svolta dell’EUR”, la politica della “moderazione salariale”; nel 1983 iniziò l’attacco alla scala mobile con il “protocollo Scotti”, completato nel 1992 con l’accordo Amato-Trentin; nel luglio 1993 fu formalizzata la “concertazione” e varata la nuova “politica dei redditi” sul parametro della “inflazione programmata”; nel 1995 il governo Dini riuscì dove aveva fallito il precedente governo Berlusconi, facendo approvare la controriforma del sistema pensionistico; nel 1997 la legge Treu apriva le porte al precariato nei rapporti di lavoro, sanzionata e peggiorata dalla legge 30 del 2003.

    Il capitalismo ha così diluito e dilazionato la crisi, ma non ha potuto fermarla: è esplosa quattro anni fa e continuerà avvitandosi in una spirale di cause ed effetti sempre più drammatici e che condurrà alla completa catastrofe questo modo di produzione, anti-storico e inumano, che dilapida ricchezze immense in spese militari e grandi opere inutili.

    Oggi, con l’allargamento del mercato mondiale in buona parte compiuto, con il debito pubblico e privato ogni giorno più insostenibile, per frenare l’avvitarsi della crisi, alla borghesia resta in mano solo l’arma di aumentare lo sfruttamento della classe lavoratrice. Per questo l’attacco ai lavoratori perde la precedente gradualità divenendo sempre più duro, sfacciato, frontale.

    Tutto ciò che la classe operaia ha conquistato lo ha fatto solo al prezzo di dure lotte, costate grandissimi sacrifici, la vita stessa per decine di operai e braccianti uccisi nelle piazze dalle forze dell’ordine. Ma ogni conquista nel capitalismo è insicura, suscettibile d’essere messa sotto attacco e revocata. Non basta il miglioramento in sé, ma la forza acquisita nella lotta per esso. Ogni conquista non è un diritto ma un fortilizio da cui condurre, da posizione avvantaggiata e con forze più unite e temprate, la permanente lotta fra le classi, che si prevede giungere non a un equilibrio pacifico, ma a un progressivo inasprimento.

    Il riformismo, politico e sindacale, ha impartito la lezione opposta: ha illuso i lavoratori che le conquiste fossero definitive perché frutto di un capitalismo nuovo in quanto democratico, e che perciò i lavoratori per difendere i propri interessi non dovevano più confidare nella forza, nella lotta di classe, anzi questi metodi andavano abbandonati e avversati in favore di quelli della trattativa, della concertazione. In questo modo da trent’anni i lavoratori sono stati accompagnati dai sindacati di regime (Cgil-Cisl-Uil) di sconfitta in sconfitta, con compromessi al ribasso che hanno diviso e indebolito la classe. La stessa vicenda dell’art. 18 e degli ammortizzatori sociali insegna: la Cgil non ha mai condotto una vera lotta per estendere questi miglioramenti ai lavoratori che ne erano privi molti dei quali giovani, consentendo l'opposizione fra giovani precari e vecchi "garantiti", quando in relatà l'attacco peggiorerà salari e condizioni di tutta la classe.

    La crisi sta dimostrando che non esiste "diritto" che la borghesia non sia pronta a sacrificare in nome della salvezza dell’economia nazionale, cioè dell’economia capitalistica. Ogni nuovo "sacrificio" presentato con la formula "stare peggio oggi per stare meglio domani" è stato invece sempre solo una tappa verso un ulteriore peggioramento.

    Una soluzione all’interno del capitalismo non c’è. La cosiddetta sinistra radicale, costretta all’extra-parlamentarismo, alla guida della sinistra Cgil e dei sindacati di base, imputa l’attacco ai lavoratori, e la crisi stessa, non all’inesorabile corso dell’economica capitalistica, che impone alla borghesia di affamare i lavoratori per salvare se stessa e questo sistema sociale, ma ad una particolare politica economica, il neoliberismo.

    Questa sinistra, che è solo una "sinistra borghese", per 60 anni ha ingannato i lavoratori spacciando per Comunismo il capitalismo di Stato russo (cinese, cubano, ecc. ecc.). Oggi i suoi eredi, rottami politici dello stalinismo, proseguono nell’opera di mistificazione ideologica prospettando ai lavoratori "un diverso modello sociale ed economico, fondato sul pubblico, sull’ambiente e sui beni comuni, per riconvertire il sistema industriale con tecnologie e innovazione, per la pace e contro la guerra", il tutto all’interno del sistema politico ed economico capitalistico.

    Questa è solo una nuova illusione per la classe lavoratrice. Non fu la politica keynesiana d’intervento statale - per altro praticata indifferentemente dai regime democratici come da quelli fascisti - a far uscire il capitalismo dalla Grande Crisi del 1929 ma la Seconda Guerra mondiale che, con le sue terribili distruzioni di merci in eccesso, fra cui la merce forza-lavoro, permise l’inizio di un nuovo ciclo di accumulazione, il tanto necessario, per il Capitale, allora ed oggi, ritorno alla crescita. Il boom economico degli anni ’60 fu figlio della tragedia della Seconda Guerra mondiale. La crisi odierna è figlia del boom economico.

    Non esiste alcuna politica economica in grado di "salvare il Paese", ossia il capitalismo, dal crollo della sua economia. Esiste un’unica soluzione politica borghese alla crisi: la guerra imperialista mondiale, ossia il sacrificio totale della classe lavoratrice sull’altare del capitale. Ed esiste un’unica soluzione politica proletaria: la Rivoluzione. La salvezza della classe lavoratrice è nella morte del capitalismo.

    Non si tratta di inventare nulla di nuovo ma di riscoprire e recuperare l’originale programma comunista rivoluzionario facendo pulizia dalle macerie dell’ultima e peggiore delle ondate opportuniste, quella dello stalinismo, che ha nascosto e mistificato agli occhi dei proletari il senso e il significato vero del Comunismo. Questo è possibile non certo con un’opera intellettuale ma di lotta politica, militando in quel partito, il Partito Comunista Internazionale, che è l’autentica continuazione del Partito Comunista d’Italia nato a Livorno nel 1921 e della sinistra comunista italiana che lo costituì, unica corrente politica che quella degenerazione combatté dalla prima ora e che da quella sconfitta ha saputo trarre le lezioni per la riscossa proletaria futura.

    PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE

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