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Articolo 18

Articolo 18

(13 Marzo 2012) Enzo Apicella

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L'articolo 18 non si tocca!

(4 Aprile 2012)

Oggi il Financial Times preannunciava l’impossibilità del Governo Monti di mantenere gli standard imposti dalla BCE, il significato è chiaro: si fa avanti lo spettro di di una manovra correttiva, con nuove tasse e ulteriori tagli che ci avvicinerà ancora di più alla Grecia; la Spagna viaggia con una disoccupazione al 24%, a Gela questa mattina una donna di 80 anni si suicida lanciandosi dal terrazzo di casa perché l’INPS le taglia la pensione. Nel pieno dissesto finanziario europeo, mentre i nostri cittadini non hanno più buchi nella cinghia e preferiscono morire perché scippati di ossigeno e dignità per poter vivere, l’unica preoccupazione di questo Governo, schiettamente di destra, è lo svuotamento dell’art. 18, questa scelta potrebbe rappresentare una nuova spinta verso tragedie umane, familiari con lavoratori troppo giovani per la pensione ma troppo vecchi per riproporsi nel mercato del lavoro, per cui diciamo:

L'ARTICOLO 18 NON SI TOCCA!

Dopo l'aggressione al mondo del lavoro da parte del governo Berlusconi, l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori è tornato nuovamente al centro degli attacchi del governo Monti. Con la manomissione dell'articolo 18 ogni lavoratore si troverebbe in una condizione di precarietà e di ricatto permanente, essendo licenziabile in qualsiasi momento. Verrebbero così minate alla radice le agibilità e libertà sindacali fondamentali per la tenuta della democrazia nel nostro Paese. Per questo motivo l'articolo 18 non va solo tutelato ma va esteso a tutto il mondo del lavoro.

COS'E' L'ARTICOLO 18

L'articolo 18 è una norma di civiltà che obbliga a reintegrare nel posto di lavoro chi viene licenziato ingiustamente: costituisce infatti una garanzia per ogni singolo lavoratore ed è al tempo stesso il fondamento per l'esercizio dei diritti sul luogo di lavoro. Se fosse eliminato, ogni lavoratore sarebbe in una condizione di ricatto permanente: l'azienda per cui lavora potrebbe licenziarlo in qualsiasi momento e per qualsiasi motivo, o perché si è battuto per il rinnovo del contratto, o perché chiede condizioni di lavoro e di salario dignitose, o perché ha chiesto il rispetto delle norme sindacali, o perché ha scioperato, o perché ha una famiglia a carico, o perché non è simpatico al datore di lavoro, o ancora per la proprie idee politiche. Insomma, si tratta di una discriminazione che non ha giustificazioni. Manomettere l'articolo 18 significa infatti voler ridurre il lavoro a pura merce, senza libertà democratiche e senza alcuna dignità umana, significa rendere tutti i lavoratori precari e ricattabili.

FACCIAMO UN PO' DI CHIAREZZA

Sull'articolo 18 si dicono molte inesattezze, è giusto quindi che venga sfatato il mito ideologico:

1) E' falso che un'impresa in crisi non possa già licenziare per motivi economici, come sanno i tanti lavoratori che lo hanno sperimentato sulla propria pelle.

2) E' falso che in Italia i licenziamenti sono un problema secondario; gli indici OCSE sulla rigidità in uscita collocano il nostro Paese al di sotto della media europea.

3) E' falso che i problemi di produttività sono legati all'articolo 18; dipendono invece dai bassissimi investimenti in ricerca e sviluppo (rappresentano meno dell'1% del PIL), dalle privatizzazioni e dall'assenza di una politica industriale; viceversa sfruttamento e precarietà sono in aumento mentre i salari restano tra i più bassi d'Europa e il numero delle ore lavorative è tra i più alti.

4) E' falso che l'articolo 18 interessi solo ad una minoranza poiché i lavoratori tutelati da questa norma sono quasi 8 milioni e rappresentano ben il 55% del totale della forza lavoro presente nel nostro Paese.
5) E' falso che solo con la modifica proposta dal Governo anche le imprese sotto i 15 dipendenti non potranno più licenziare per discriminazioni di pelle, di fede religiosa e idee politiche, anche oggi questi licenziamenti non sono possibili nelle imprese che contano meno di 15 dipendenti.

DIFENDIAMO ED ESTENDIAMO L'ARTICOLO 18 A TUTTI I LAVORATORI

L'articolo 18 va esteso a tutti i lavoratori, va cancellata inoltre qualsiasi forma di lavoro precario che abbatte i diritti e ruba il futuro delle giovani generazioni. L'articolo 18 costituisce il primo fondamento per l'esercizio della democrazia sul posto di lavoro ed è per questo motivo che va esteso a tutti i lavoratori: perché si arrivi infine ad un'opposizione politica e sociale costituente attraverso le mobilitazioni a difesa del lavoro e contro le politiche di austerità messe in atto dal governo Monti.

AMMORTIZATORI SOCIALI

Gli ammortizzatori sociali vanno estesi a tutti i lavoratori e va istituito un reddito sociale per combattere la disoccupazione e il precariato.
Il governo intende ridurre ai minimi termini l’indennità di cassa integrazione, vuole abolire quella in deroga e quella straordinaria per cessazione dell’attività aziendale, attualmente finalizzata a ritardare di 24 mesi il licenziamento, che, quando poi sopravviene, è indennizzato con la mobilità da 12 a 36 mesi (12 per chi ha meno di 40 anni; 24 per chi ha tra 40 anni e 50; 36 per chi ha più di 50 anni).

Vogliono abolire anche l’indennità di mobilità, sostituendola gradualmente con una indennità di disoccupazione, ribattezzata ASPI (Assicurazione Sociale Per l’Impiego!): indennità che a partire dal 2016-2017 durerà soltanto 12 mesi per i licenziati con meno di 55 anni, 18 mesi per quelli con più di 55 anni, 36 mesi -pare, ma non è affatto certo- per quelli con più di 58 anni. Con la pensione che sarà ancora di là da venire!

Quanto ai lavoratori precari: continueranno ad essere precari!

Questo Governo in 100 giorni ha deciso: 1) che in pensione ci si andrà per miracolo e che il trattamento economico dei pensionati sarà sempre più di miseria; 2) ha reintrodotto l’ICI (IMU) per la prima casa aumentandone il peso economico; 3) ha aumentato la tassa sui carburanti e l’IVA, le tariffe ferroviarie, elettriche e del gas; 4) ha introdotto i ticket sulle ricette e aumentato quelli per esami e analisi; 5) ha tagliato servizi pubblici e sociali e ne ha rincarato il prezzo.

In questa fase di profonda recessione, oltre alla disgrazia degli esodati particolare che non doveva sfuggire ad uno staff di professori, il lavoro non c’è, non se ne crea, e si rischia una catena di licenziamenti legata all’età dei lavoratori. Le imprese, delle quali non ci possiamo fidare solo per induzione, potrebbero essere attratte dal minor costo di soggetti giovani licenziando per false ragioni economiche operai e impiegati ultra 50enni.
La richiesta è semplice, “tornate dietro le cattedre a ricevere paccate di soldi pubblici per le vostre pensioni calcolate con il sistema retributivo, al Governo rischiate di innescare meccanismi pericolosi per chi lavora, perché governare non è il vostro mestiere e non lo sapete fare”.
Non solo bisogna favorire l’accesso ai giovani nel mondo del lavoro, dobbiamo anche difendere le fasce dei lavoratori più anziani perché non siano scaricati dal ciclo produttivo.

Pisa 3 aprile 2012

Confederazione Cobas Pisa

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