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La guerra è una malattia

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(6 Marzo 2011) Enzo Apicella

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(Il nuovo ordine mondiale è guerra)

L'agonia dell'imperialismo italiano

(6 Aprile 2012)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.webalice.it/mario.gangarossa

Ogni giorno vediamo il peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori, dei pensionati, dei disoccupati. La crisi attanaglia anche la piccola borghesia, un numero notevole di piccoli e medi imprenditori fallisce. E’ un elemento determinante delle future lotte sociali, senza dubbio. Per evitare, tuttavia, che il proletariato sia ancora una volta spinto a combattere per cause non sue, ma del nemico di classe, l’analisi non deve riguardare solo il conflitto lavoratori-borghesia, ma anche le lotte interborghesi e interstatali.

Decisivo è il rapporto di forza tra i paesi imperialistici. La guerra fredda costrinse la potenza dominante, gli USA, a ridare un certo peso ai paesi vinti e semidistrutti, Germania, Giappone e Italia. Ma l’antagonismo con l’URSS non impedì agli USA di ridimensionare nel 1956 a Suez le velleità imperialistiche autonome di Francia e Gran Bretagna. Per ottenere lo sgombero del canale, occupato dalle due potenze, Washington non esitò a chiedere l’appoggio russo. Però gli USA non furono troppo severi con i due paesi atlantici, che poterono mantenere riserve di caccia in Africa fino alla caduta dell’URSS, e anche dopo, dove non disturbavano gli interessi americani. Quanto ai paesi vinti nella guerra mondiale, esenti da guerre coloniali e da forti spese militari, poterono sviluppare la loro industria più rapidamente dei vincitori. La loro eccezionale ripresa economica mise in crisi il sistema di Bretton Wood, e portò gli Stati Uniti ad eliminare la convertibilità del dollaro, pur continuando ad imporlo come moneta internazionale.

La banda di briganti imperialisti che prende il nome di “Occidente” (o Nato) - con vincitori e vinti delle guerra mondiale uniti sotto la guida americana - continuò il suo saccheggio nei confronti dei paesi asiatici, africani e latino americani, anche se la maggior parte del bottino andava al capobanda, armato fino ai denti.
All’Italia erano permessi giri di valzer con paesi arabi, musulmani e con la stessa Russia, alla ricerca di petrolio e mercati, ma, quando questa politica diventava troppo indipendente, accadevano “misteriosi” incidenti aerei, come nel caso di Enrico Mattei.

Dopo la caduta dell’URSS, la potenza dell’America sembrò non avere più confini. Non ebbe la capacità di fissarsi un limite, come seppe fare l’imperialismo assai più longevo di Roma: Augusto, dopo la sconfitta di Varo (9 D.C.), rinunciò ad ulteriori conquiste. La politica di Bush figlio, invece, portò a una sovraesposizione e le interminabili guerre gravarono sul bilancio statale.
La crisi indusse gli USA a far pagare un duro prezzo, non solo ai paesi deboli, ai propri lavoratori e ai piccolo borghesi, ma anche ai propri complici imperialisti, tra cui l’Italia. Molti stati sono schiacciati tra il martello americano e l’incudine tedesca. La Spagna sta perdendo gran parte del suo peso nelle Americhe. Santander ha venduto parte del capitale della filiale Santander Consumer Usa, il 7,8% delle azioni di Santander Chile, il 100% di Santander Colombia, per ottenere complessivamente tre miliardi. Le banche spagnole sono esposte per 26,17 miliardi, e oltre il 58% è rappresentato dai 15,202 miliardi di euro del Santander. Probabili nuove vendite, forse Santander Brasil. La Germania sta sottraendo alla Spagna il posto di secondo investitore straniero in America Latina dopo gli Usa.(1)

Una grave contraddizione attanaglia l’Unione europea. Un paese può pagare i debiti se ha una forte esportazione o, se è piccolo come la Grecia, un notevole afflusso turistico. Occorrono prezzi competitivi, non basta la rovinosa discesa dei salari, sarebbe necessaria una svalutazione, impossibile finché questi paesi rimangono nell’euro. La svalutazione è una sorta di dumping mascherato, che fa scendere i prezzi delle merci esportate e crescere quelli all’interno. Ma la Germania non vedrebbe di buon occhio un’uscita dall’euro e una svalutazione dell’Italia, concorrente sul piano industriale. Sicuramente Monti, commissario al servizio delle banche, cercherà di risolvere questa contraddizione nel modo più favorevole alla finanza internazionale, procedendo a una svendita delle industrie pubbliche italiane come quella seguita all’incontro sul “Britannia” nel 1992. Ma questo renderà ancora più grave la situazione italiana.

Della questione del “Britannia” se ne occuparono in pochi, ad esempio Gianfranco La Grassa.
Il 2 giugno 1992, a bordo del panfilo “Britannia”, di proprietà della corona d’Inghilterra e preso in affitto, un folto gruppo di finanzieri americani s’incontrò con i vertici dell’industria della finanza italiana. C’erano anche Mario Draghi e Giulio Tremonti, Ciampi, Prodi, Amato. “Volevano mettere le mani sulle banche, sull’Enel, sulla telefonia e sull’Eni, cioè sui “gioielli di casa”, ha dichiarato Formica in un’intervista.(2)
Decisa sul panfilo o altrove, la svendita del patrimonio industriale italiano ci fu, anche se non completa.
La Grassa da anni sosteneva che si stava preparando la fase 2 di questa spogliazione, ma commise un errore gravissimo pensando che Berlusconi, sia pure per motivi di interesse, rappresentasse un argine a questa svendita. Ora, dopo il voltafaccia sulla Libia e la resa completa, grida al tradimento e lo chiama il “vigliaccone”.

I retroscena: Gabellini descrive l’attacco della finanza anglo-americana, con i portavoce Financial Times e Wall Street Journal, sia contro il governo Berlusconi sia contro Finmeccanica, colpita in Borsa (-20% in un solo giorno): “Con il valore di Mediaset e Mondadori dimezzato (rispettivamente -53% e -50,5% annuale) e la considerevole flessione subita da Mediolanum (-12% nell’anno 2011) Berlusconi si è deciso a recidere il nodo gordiano relativo alla sua posizione di governo, dimettendosi dall’incarico di Primo Ministro.” Monti restò incerto se accettare il diktat del Financial Times lo scorso 26 novembre, relativo alla necessità di cedere la quota statale di Finmeccanica e per questo Standard & Poor’s, (queste agenzie sono armi di distruzione di massa in mano all’alta finanza americana) colpì questa impresa affibbiandogli un BBB- con outlook negativo.

“Per questa ragione grandi multinazionali come la General Electric, la Siemens, la Alstom stanno puntando all’acquisizione delle aziende controllate da Finmeccanica, come la Selex, la STS Ansaldo e l’Alenia, il cui capitale strategico si rivelerà fondamentale nella regolazione dei rapporti di forza internazionali nell’ambito del nuovo assetto multipolare che va inesorabilmente instaurandosi.
Qualora l’Italia dovesse procedere quindi alla cessione all’estero di compagnie di punta come appunto Finmeccanica, ma anche ENEL ed ENI – che non a caso sta subendo pesanti attacchi finalizzati allo scorporamento della rete del gas gestita dalla SNAM – finirebbe per sottoscrivere il proprio, definitivo suicidio politico che completerebbe il processo di smantellamento iniziato nel 1992…”(3)
Quanto all’acquisto della Chrysler da parte delle Fiat, si è rivelato in realtà una donazione di sangue dell’industria torinese a favore dell’impresa americana, e anche il centro direttivo, di fatto anche se non ancora di diritto, si è trasferito in America.

L’Italia ha dovuto partecipare alla guerra libica, autolesionistica per l’imperialismo italico, che ha comportato la perdita del primo posto nei rapporti economici con quel paese, mentre tutti gli stati europei, con le sanzioni all’Iran, hanno servilmente deciso di dipendere sempre più, per quanto riguarda le risorse energetiche, da paesi nell’orbita USA, quando non militarmente occupati dalla Nato. La bolletta energetica, aggravata da accordi di cartello tanto sfacciati, che persino la magistratura italiana ha dovuto aprire un fascicolo, sta diventando intollerabile. Col nodo scorsoio energetico, l’aggiotaggio pilotato nei confronti delle industrie o delle banche di cui ci vuole impadronire, l’uso dei ricatti – e quale politico non è ricattabile! - e delle rivelazioni giornalistiche, la finanza americana si prepara a fare un convenientissimo shopping di quel che resta della grande industria italiana.

Quale posizione devono tenere i comunisti in questa questione? Ovviamente nessun appoggio a questa borghesia “roubadora”, che si finanzia aggredendo l’occupazione, bloccando i salari, scippando forti percentuali persino sulle più misere pensioni. La borghesia italiana è sempre più serva, ed è giusto che gli imperialismi dominanti la trattino come tale. Non possiamo, però, neppure condividere la posizione dei patrioti, di destra, di sinistra o di estrema sinistra, che si propongono di salvare l’Italia restituendole l’indipendenza, uscendo dall’euro e riesumando la lira. Può darsi che la lira rinasca, ma lo sviluppo indipendente dalla finanza mondiale è un sogno neorisorgimentale reazionario e irrealizzabile. I comunisti devono pensare soprattutto a difendere gli interessi dei lavoratori, che non possono accettare altri sacrifici in nome della nazione.

L’Italia ha perso nuovamente la guerra, almeno sul piano economico. Se si rivelerà l’anello debole della catena imperialistica, è probabile che vi si ricreino le condizioni per la ripresa del movimento operaio rivoluzionario.
Per ora, il cappio energetico, imposto dall’America, strangola le piccole nazioni e gli imperialismi minori, e le tensioni resteranno localizzate. Quando colpiranno paesi come Germania e Cina, allora i contraccolpi saranno devastanti per l’economia mondiale e per gli equilibri politici. L’alternativa sarà tra nuove catastrofiche guerre, più terribili di quelle del novecento, o la rivoluzione.



6 aprile 2012

Note
1) Maurizio Stefanini, “In America Latina esce la Spagna, entra la Germania”, Limes, 13-12 2011.
2) Formica: Draghi lavora per la Germania, contro l’Italia, Libre, 14/11/11.
3) Giacomo Gabellini, “L’attacco a Finmeccanica”, Conflitti e strategie, 13 dicembre 2011.
E’ stato utilizzato anche l’articolo “un’aggiunta di G.La Grassa, Conflitti e Strategie, 2 aprile 2012

Michele Basso

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