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(27 Agosto 2013) Enzo Apicella
Obama ha deciso di attaccare la Siria, in ogni caso.

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Note sulla fine dell’anti-colonialismo storico

(7 Aprile 2012)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in ciptagarelli.jimdo.com

Tutta la sinistra, in generale, sta dimostrando poca maturità di fronte agli avvenimenti di Libia e Siria.

Quelli che appoggiano i ribelli non hanno dubbi nel semplificare il problema accusando i loro critici di essere dei fans di Gheddafi e Bashar Assad. Anche una parte di coloro che si oppongono a quei ribelli accusa, da parte sua, i suoi critici di “essere al servizio della CIA” o cose simili. Il problema non è che da entrambe le parti si dicano cose assurde o ridicole, ma che alla fine nessuno parli di ciò di cui si deve parlare, cioè del carattere di classe dei ribelli.

Sarà questo carattere che, in buona misura, determinerà la posizione che prenderanno, da una parte, i poteri imperiali che dominano il mondo e dall’altra i contropoteri che resistono all’imperialismo. Finchè qualcuno non mi presenterà una tesi migliore, continuo a pensare che il mondo non è un caos e che gli avvenimenti che si sviluppano in esso rispondono a cause ed effetti che, anche se non univoci, si possono analizzare e chiarire.

Se la direzione politica dei ribelli libici e siriani avesse perseguito fini rivoluzionari o, almeno, emancipatori, saremmo stati i primi ad appoggiare entrambi questi processi politici; ma non è così. In Libia, in un primo tempo, ci furono manifestazioni pro-occidente, senza la più piccola rivendicazione di sinistra, anche se in parte si chiedevano alcuni diritti civili più che legittimi, cosa sostenibile. Ma poi successe un colpo di Stato, con armi pesanti e mercanari della NATO, guidato dalla borghesia del Consiglio Nazionale di Transizione.

Da sinistra, questo secondo fatto non ha già più nulla di difendibile. E ora in Siria, fatte salve le differenze ma senza sottovalutare il parallelismo, succede qualcosa di simile. Gli attori che dirigono il processo politico siriano sono il Consiglio Nazionale Siriano e l’Esercito Libero Siriano, cioè due forza organizzate dall’imperialismo.

Una parte della sinistra complessata ha dato eccessivo credito a una certa propaganda di guerra, secondo la quale il governo libico si dedicava a bombardare civili disarmati per puro sadismo.

Il vero problema, ciò nonostante, è il pensiero “desiderante” che ci porta a vedere rivoluzioni dove non ce ne sono, per il solo fatto che noi desidereremmo che ci fossero. Né il Consiglio Nazionale Siriano né l’Esercito Libero Siriano sono forze rivoluzionarie. E neppure lo sono le forze islamiste reazionarie che hanno restaurato la Sharia in Libia e che pretendono di fare lo stesso in Siria.

Ci parlano di forze rivoluzionarie tradite dalle loro direzioni politiche. Dove sono? Qualcuno può documentare qualche critica di queste” basi” contro l’invasione della NATO che ha devastato il loro paese? Ci parlano anche di gruppi marxisti siriani che appoggiano i ribelli. Quali? L’unico che conosciamo, il Partito Comunista, ha reso pubblico il suo rifiuto delle forze ribelli, a suo giudizio reazionarie. Esistono davvero questi “gruppi marxisti” o sono stati inventati da cervelli surriscaldati, eurocentrici e occidentali?

Secondo noi il processo libico ha vissuto due fasi successive; ma, in entrambe, la sinistra avrebbe dovuto cercare una soluzione negoziata, come proponevano Cuba e Venezuela.

Nelle prime settimane ci trovavamo davanti al caso di una guerra civile in cui, secondo l’informazione di cui disponevamo allora, non bisognava appoggiare alcuna delle due parti. In seguito la situazione è cambiata perchè è avvenuta un’invasione imperiale straniera, di cui una delle due parti è diventata collaborazionista. Di ciò qui – nella metropoli – avevamo coscienza allora, anche se non possiamo escludere che le “ribellioni” non avessero già questo caratere fin dal principio.

Ora che disponiamo di più dati e di una visione d’insieme, è il momento che ognuno, con umiltà e rispetto per la verità storica, rettifichi ciò che deve essere rettificato. Non bisogna dimenticare che, in questa seconda tappa (quella dell’invasione della NATO in appoggio ai ribelli), è risorto un classico della sinistra complessata: il “né-néismo”.

Il problema non è tanto quello che la forma “né-né” diceva in se stessa, quanto quello che questa formula diceva attraverso il suo silenzio. Perchè mancava un terzo “né”: quello riferito ai ribelli e, quindi, l’espressione si associava politicamente alla giustificazione politica dei suddetti ribelli. Cioè alla giustificazione politica di un lato della guerra civile che era appoggiato dall’imperialismo, che ha finito per intervenire in modo diretto.

La formula “né-né”, quindi, si è dimostrata chiaramente insufficiente, non per il suo senso letterale ma per la sua incapacità come slogan, visto che non metteva in ordine di importanza le contraddizioni del complesso processo politico che stavamo vivendo.

Se una potenza imperialista (appoggiata da mercenari locali) affronta una colonia, da una prospettiva antimperialista bisogna difendere la vittoria della colonia; e questo non significa sostenere lepersone dei suoi tiranni.

Non bisognava idolatrare Atahualpa per augurare la sconfitta agli spagnoli, né appoggiare la dittatura militare argentina per augurarsi la sconfitta degli inglesi nella guerra delle Malvinas. Neppure si doveva essere dei fans di saddam Hussein per augurare la sconfitta all’imperialismo nordamericano ed europeo in Iraq. Ma (nonostante l’esistenza, nei tre casi, di collaborazionisti al servizio dell’impero) bisognava augurarsi tutte queste sconfitte, fatto a cui il fallimentare slogan “né-né” non dava significato (anche se, letteralmente, poteva rappresentarci non essendo noi, di fatto, sostenitori né della NATO né di Gheddafi).

Non c’è bisogno di essere troppo perspicaci per intuire l’odore di petrolio della minaccia imperialista alla Libia, alla Siria e all’Iran.

Sappiamo che Gheddafi, prima sottomesso all’imperialismo, progettava dal 2009 misure come la ri-nazionalizzazione del petrolio (e, per i più smemorati o a chi crede più ai mezzi di propaganda capitalista che a quelli alternativi segnalo il link : http://youtu.be/ZG8QvEoFKwg).

In ogni caso, quando accade un intervento straniero di carattere imperiale, l’antimperialismo non si basa sulla qualità democratica dell’invaso (e neanche nella sua qualità di “socialista”), ma sulla qualità saccheggiatrice dell’invasore. In questo senso i “né-né” non sono scesi in piazza come hanno fatto per la guerra in Iraq. Cioè, con loro la propaganda di guerra dei media capitalisti ha funzionato, e questo ha voluto dire la fine dell’anti-colonialismo storico.

Il massimo che abbiamo avuto da loro è stato una condanna dei metodi brutali impiegati dai ribelli, seguita da una condanna “verso ogni violenza”- così, in generale.
Non possiamo essere d’accordo neache su questo. Una rivoluzione è violenta per definizione. Il problema non è che i ribelli siriani e libici usino la violenza, ma perchè la usano.

La NATO non appoggia le FARC, né i Naxaliti (1). La NATO, e neppure la stampa capitalista, non appoggia i rivoluzionari autentici.

La NATO non difende i popoli massacrati (andatelo a dire ai Palestinesi). L’imperialismo non aiuta i popoli contro i loro tiranni (non ditelo a noi, nipoti di quelli che persero la Guerra contro il fascismo).

Chi lo sa se il prossimo scalino della scalata imperiale, della lotta per il controllo geopolitico e energetico del pianeta, non sarà l’Iran? E, per disgrazia, nel caso scoppi un conflitto di queste proporzioni, con i nostri doveri antimperialista ancora da compiere (qui, nell’arrogante metropoli), senza una sola manifestazione contro la guerra convocata e portata avanti, una volta di più bisognerà chiedersi quanto ci impiegheranno alcuni ad inventarsi una “rivoluzione popolare” in Iran.


(1) Così sono chiamati i ribelli maoisti in India.Il termine deriva dal villaggio di Naxalbari, nello Stato del Bengala Occidentale, dove nel maggio del 1967 scoppiò una rivolta di contadini poverissimi contro i latifondisti locali.

Manuel Navarrete: Professore dell’Università di Siviglia, attivista sociale e membro del sindacalismo di base.
da: lahaine.org; 1.4.2012
(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

Manuel Navarrete

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