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Ben bella: morta l’icona algerina dell’indipendenza

Morto ieri a 95 anni il simbolo della lotta al colonialismo francese, proprio nel cinquantenario dell’Indipendenza di un Paese rimasto fuori dall’onda di proteste della "Primavera Araba"

(12 Aprile 2012)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in nena-news.globalist.it

Ben bella: morta l’icona algerina dell’indipendenza

foto: nena-news.globalist.it

IKA DANO

Roma, 12 Aprile 2012, Nena News - Otto giorni di lutto nazionale annunciati per commemorare Ahmad Ben Bella, il simbolo della lotta algerina per l’Indipendenza dalla Francia, morto ieri all’età di 95 anni nella capitale Algeri. Un riconoscimento ad un icona che - pur considerato il fondatore dell’Algeria post-coloniale che festeggia quest’anno i suoi primi 50 anni - con il Fronte di Liberazione Nazionale al potere dai tempi dell’Inpendenza ha avuto rapporti molto turbolenti.

Ben Bella, chiamato a servire nell’esercito francese contro l’Italia e la Germania fasciste e onorato di una medaglia al valore da De Gaulle dopo la sua distinta prestazione militare nella battaglia di Montecassino del 1944, scopre il suo spirito anti-colonialista tornato in patria. Qui, l’8 maggio del 1945, l’esercito francese massacrava Algerini in protesta nelle cittadine di Sétif, Guelma e Kherrata. Nel 1954, Ben Bella fonda clandestinamente il Comitato Rivoluzionario di Unità ed Azione, quello che diventerà il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN). Con l’inizio dell’insurrezione armata del 1 novembre, inizia la Guerra d’Indipendenza algerina, sigillata dodici anni dopo da FLN e Francia con gli Accordi di Évian del 1962. Al potere come Primo ministro eletto dal Comitato Centrale del FLN per soli tre anni, Ben Bella incentra la sua politica sulla ricostruzione delle infrastrutture e sul modello socialista di riforme agrarie di nazionalizzazione dei latifondi, prima in mano ai francesi, e di riforme del sistema di educazione, e rafforzando –in nome del Panarabismo - i rapporti con l’egiziano Gamal Abd Al Naser.

Nel tentativo di restituire popolarità al FLN dopo la guerra, limita l’influenza delle altre formazioni politiche e istituisce il culto della sua persona, che non lo protegge però dal colpo di stato del suo ministro della Difesa Houari Boumediene nel 1965. Da allora, diventa persona “non grata” e viene posto agli arresti domiciliari, per poi essere esiliato in Svizzera fino agli Anni ’90. “Perdonato” dal regime nel 1991, Bella partecipa alle elezioni con il Movimento per la Democrazia in Algeria, che prende solo il 2% dei voti e viene dichiarato illegale nel 1997. Il boicottaggio della vittoria elettorale del partito islamista “Fronte Islamico di Salvezza Nazionale" (FIS) a quelle stesse elezioni sarà l’inizio della Guerra civile, costata 200 000 vittime civili.

“Oggi perdiamo uno dei più coraggiosi leader dell’Algeria moderna”, ha dichiarato ieri il presidente in carica Abdelaziz Bouteflika prima di annunciare otto giorni di lutto nazionale.

La sua morte coincide con il cinquantenario dell’Indipendenza algerina, che il 5 luglio gli Algerini festeggeranno con sentimenti contraddittori, consapevoli che le “aspirazioni nazionali impersonificate da figure come quelle di Ben Bella non hanno trovato realizzazione”, come scrive l’agenzia Al Arabiya. E si celebrerà con lo stesso regime a capo del Paese, rimasto incolume dalla “Primavera Araba”, non certo perché l’insoddisfazione popolare sia minore di quella in Tunisia o in Egitto.

La classe politica algerina controlla 150 milioni di riserve statali in valuta estera e basa il suo potere su due elementi fondamentali: le rendite petrolifere e l’apparato militare, di fatto al governo. Mentre la popolazione non è beneficiaria della redistribuzione della ricchezza energetica, lo Stato ha sinora saputo mantenere la lealtà dell’esercito, a cui sono stati alzati retroattivamente gli stipendi del 50% subito dopo le prime manifestazioni e i casi isolati di immolazione del febbraio 2011.

Se il desiderio di giustizia sociale e di libertà politiche della popolazione sarebbe paragonabile a quello degli altri Stati arabi, la capacità del regime nello strumentalizzare le differenze interne tra Berberi e Arabi, provincia e capitale, Islamisti e “democratici” è tale da vanificare i tentativi di coesione della protesta. E c’è dell’altro: la storia dell’unico Paese arabo che ha raggiunto l’Indipendenza con una guerra ha insegnato alla popolazione il prezzo della protesta - da scontare con le violente repressioni del regime - , e l’incertezza del risultato. “Perché l’Algeria è stata risparmiata dalla Primavera Araba? Per rispondere a questa domanda, bisogna guardare alla storia dell’Algeria - scrive Narrimane Benakcha sul Journal of International Affairs - Sembra che stiamo aspettando una rivoluzione che è in realtà già successa”. Nena News

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