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(14 Novembre 2010) Enzo Apicella

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Un’altra democrazia è possibile

(6 Maggio 2012)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.webalice.it/mario.gangarossa

“Ogni Stato, persino la repubblica più democratica,
non è altro che una macchina con cui una classe schiaccia un'altra classe.”
(Lenin)

La vita reale educa con più efficacia di centinaia di ragionamenti e gli effetti devastanti della crisi rimettono in discussione convinzioni e certezze che solo occasionalmente la propaganda comunista, prodotta da pochi e limitata nei mezzi, era riuscita a scalfire.
Sono bastati pochi mesi, i primi vagiti del governo direttamente gestito dai rappresentanti di un capitale ferito dalla depressione e alla spasmodica ricerca di nuovi profitti capaci di fermarne la corsa verso il baratro, per costringere TUTTI gli strati sociali – non solo la classe operaia che ne paga le conseguenze peggiori – ad aprire gli occhi di fronte alla concreta possibilità di finire nel calderone dei reietti della società, dei poveri, dei disperati a cui resta la sola alternativa del suicidio.
Monti e i suoi sodali hanno tolto le pensioni e chi sperava in una vecchiaia tranquilla, hanno trasformato il RICATTO del licenziamento in un DIRITTO dei padroni garantito per legge, hanno imposto tasse e balzelli che dissangueranno chi vive del proprio lavoro e che faranno scompisciare dal ridere i detentori delle grandi ricchezze imboscate nei paradisi fiscali.
E, nonostante le lagnose richieste di chi “sinistrosamente” continua a immaginare una “politica equa” che “colpisca i grandi patrimoni”, l’unica “patrimoniale” messa all’ordine del giorno è quella degli esattori di Equitalia che fra qualche mese colpiranno le case degli operai e dei pensionati (ancora da pagare con mutui usurai), le piccole botteghe artigiane, le officine e … i pollai. Le Banche e i Palazzi vescovili ne sono rimasti esenti per il rispetto dovuto al “sacro e ai suoi sacerdoti”: il dio della Finanza e il dio del Vaticano da sempre alleati nell’amministrazione dei beni materiali e spirituali delle “pecorelle” da tosare.
I manager continueranno a intascare i loro ricchi emolumenti (pari al salario di centinaia di operai) nell’attesa di essere chiamati a dare il loro piccolo contributo (ovviamente gratuito) al governo dei “tecnici”, mentre il nuovo aumento dell’iva costringerà milioni di persone a risparmiare sul pane e sulla pasta, dopo aver risparmiato sulla scuola e sulle medicine.

Sempre più il sistema capitalistico appare non come il sistema in cui TUTTI possono godere dell’OPPORTUNITÁ di arricchirsi o, comunque, dell’opportunità di migliorare le proprie condizioni di vita, ma come il sistema in cui la stragrande maggioranza della popolazione comincia ad avere la CERTEZZA che nel suo futuro – è in quello dei propri figli – sta di casa solo la miseria.
Non la miseria vista in televisione, quella delle lontane bidonvilles di Rio o di Calcutta, la fame dei poveri “negretti” da aiutare nella questua domenicale con l’obolo alla Caritas, ma la PROPRIA miseria che ha la faccia anonima dell’ufficiale giudiziario che ti pignora casa e auto, o quella più familiare del sindacalista di turno che ti comunica (per conto dell’Azienda) il tuo licenziamento.
Non c’è da stupirsi quindi se, di fronte all’incertezza (che a volte rasenta perfino la disperazione) di chi vede abbattersi sulla sua tranquilla quotidianità una tempesta non prevista e forse nemmeno immaginata, i primi a farne le spese siano i mediatori storici del consenso sociale, i sacerdoti della democrazia borghese, i partiti politici che nel passato hanno governato le contraddizioni del capitale regalando “paccate” di miliardi (oggi rubricati come “debito pubblico”) ai detentori del potere economico in cambio di qualche briciola ai “meno fortunati”; “meno fortunati” ai quali comunque veniva garantita una precaria “sicurezza”, quel tanto che bastava a tenerli buoni e a non spingerli a mettere in discussione il sistema di sfruttamento capitalista.

Il 2% di “consenso” che i sondaggi danno ai partiti politici borghesi è più o meno equivalente alla quantità di persone che vivono di “politica”, il 50% di elettori che dichiara di non volere andare a votare (o di essere indeciso su chi indirizzare il proprio voto) da il segno esatto di quanto è profondo il solco fra il sentire comune della gente e l’involucro ormai obsoleto di una “democrazia” che non riesce più ad assolvere il suo ruolo storico di strumento di mistificazione dei conflitti e che si palesa sempre più, per dirla con Lenin, come “la dittatura della borghesia, la dittatura degli sfruttatori sulle masse lavoratrici”. Una DITTATURA paludata da pretenziosi abiti di corte: la Costituzione, l’Uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, le Rappresentanze popolari designate nei periodici riti elettorali; abiti sempre più ridotti a laceri brandelli che a malapena nascondono le vergogne di un cadavere in putrefazione.
Perché ci si meraviglia allora se di fronte all’abdicazione del trio Alfano-Bersani-Casini (in realtà una chiara scelta politica di sopravvivenza di fronte a un “lavoro sporco” troppo “rischioso” ma “necessario”) e all’appoggio (sia pure semiclandestino) alla macelleria sociale partorita dalla fervida mente di tecnocrati conservatori il cui unico impegno è rastrellare risorse per garantire gli investitori in titoli di stato, il 32,% degli italiani (secondo un recente sondaggio Acli) vede la “rivoluzione” come unico mezzo per trasformare l'Italia ?
Certamente nessuno si illude che domani quel 32% di “rivoluzionari” si ritroverà a marciare su Palazzo Chigi al canto della Varsovienne, magari voteranno Grillo o finiranno nelle fila di una destra estrema sempre più aggressiva e capace di aggregare consensi come in Francia e in Grecia ma, di certo, è un dato significativo è nuovo per la stagnante situazione italiana dove, dal dopoguerra a oggi, la palude del “moderatismo” costruita attorno all’egemonia di un’ampia classe medio-borghese ha infettato perfino ampi settore proletari costringendo il conflitto di classe nella camicia di forza della “concertazione” e dell’accomodamento.

Quella che viene chiamata “antipolitica” è un prodotto spontaneo della presa di coscienza di larghe masse popolari di fronte alla contraddizione fra la loro precaria esistenza e i privilegi, ormai vissuti come odiosi, della ristretta classe dominante e dei loro servi “politicanti”. Quando una vecchietta si uccide perché gli sono stati tolti 300€ dalla sua già miserabile pensione (la stessa somma che si spende per un coperto in una cena elegante “da Giannino”) è chiaro che cresca la rabbia e l’esecrazione verso coloro che sulla crisi navigano con la stessa agilità dei fuoribordo di lusso (di cui sono proprietari) assolutamente non tassati perché “portano ricchezza” e perché … battono bandiera straniera ed è troppo difficile individuarne i proprietari.
Quella che viene chiamata “antipolitica” sono i primi germi dell’odio di classe contro gli sfruttatori. Sarà indirizzato male, ma è un bene che ci sia. Che i ricchi se ne stiano chiusi, insieme ai loro lacchè, nei loro resort a 5 stelle, protetti da guardie armate dagli sputi e dall’esecrazione del resto della popolazione, è un bel passo avanti in un paese che fino a ieri partecipava commosso ai funerali di una sanguisuga dello stampo di Agnelli o si mostrava sentitamente addolorato per “l’incidente sul lavoro” di questo o quel “riformatore giuslavorista” inventore della precarietà diffusa e di massa.

... ma

“Chi soffia sul vento dell'antipolitica genera una tempesta (devastante) chiamata autoritarismo” scrive sul blog ufficiale di Rifondazione un anonimo funzionario di quel partito … e, aggiunge Vendola: “Il nostro problema è ricostruire la democrazia, la credibilità delle forme organizzate per fare politica.” … mentre Diliberto nel suo stile perentorio non ha dubbi: “L’antipolitica è sempre di destra ed è sempre contro la democrazia. Gli scandali, le ruberie e la corruttela producono, inevitabilmente, l’invocazione dell’uomo forte, del salvatore della patria.”

Patetici questi difensori della democrazia borghese fedeli fino in fondo alle illusioni da bottegai che ne hanno caratterizzato il percorso politico. Per decenni ci hanno spiegato le “magnifiche sorti e progressive” di una politica riformista che passo dopo passo ci avrebbe condotto in “un altro mondo possibile”, hanno legato i loro destini, e quelli di chi li ha sostenuti e gli ha dato credibilità e consenso, alle politiche antioperaie di una borghesia di “sinistra” che li ha ripagati con un bel calcio nei fondelli quando ha pensato di non avere più bisogno dei loro buoni servizi.
Eppure non perdono il vizio. Perfino in questi giorni, con una campagna elettorale in sordina in cui si nota l’assenza dei politici di grido dei maggiori partiti borghesi ben consci che la loro faccia è ormai troppo sputtanata per presentarla agli elettori, li vedi lì sui palchi, a chiedere un voto per il “buon governo delle città” … assieme ai sostenitori parlamentari di Monti e incuranti che, ormai, perfino l’ultimo sprovveduto ha capito che votare, al massimo, servirà a decidere chi saranno i nuovi esattori locali delle tasse imposte dal governo centrale.
Da sempre teorici della subordinazione di classe in cambio di qualche sgangherata seggiola alla mensa del padrone, non capiscono che il loro tempo è finito e che non è più possibile lucrare comodi posticini all’interno delle “istituzioni” agitando qualche rossa bandiera di facciata. Che il tempo del “conflitto ordinato”, del “rispetto delle regole” ha lasciato il posto al “disordine” e alla violenza di una catastrofe sociale senza precedenti.

E allora, come sempre accade ai “riformisti” quando spazi per le riforme non ce ne stanno proprio più, eccoli di colpo trasformati in prefiche del malaugurio. “Attenti! Questo è il migliore dei mondi possibili! Guai a voi se solo vi sognate di voler ribaltare la tavola a cui anche noi, in un passato recente, siamo stati comodamente seduti! Il fascismo è alle porte! Il nemico, l’uomo forte rischia di travolgerci tutti!”
Ora a prescindere che paventare “l’uomo forte” mentre l’UOMO FORTE “non eletto con metodi democratici” ci sta già al governo, legifera fottendosene della volontà della maggioranza del paese, usa il ricatto economico come arma di dissuasione di massa, teorizza e pratica le peggiori ricette della peggiore destra economica, è perlomeno … fuorviante, bisognerebbe provare a spiegare a queste persone che “l’autoritarismo” non ha bisogno dei carri armati e dei manganelli per svolgere egregiamente il suo ruolo.
Spiegare che nel paese del massacro di Genova e della Diaz, dove la tortura non è reato e i torturatori fanno carriera senza eccessivi problemi, se non abbiamo ancora visto i carri armati agli angoli delle strade e i marò rastrellare le fabbriche è solo perché il livello dello scontro è ancora basso e non si sono ancora viste proteste di massa pari per intensità a quelle della Grecia o della Spagna. Ma è tempo perso.

A chi non sa nemmeno immaginare una “democrazia” diversa da quella inventata dalla borghesia per meglio governare e perpetuare il suo potere, a chi guarda con sospetto e paura la rabbia che monta nel paese, a chi non riesce a vedere altro che protesta “qualunquista” dove, invece, i comunisti vedono la disperata e ancora confusa ricerca di un’alternativa capace di ribaltare “lo stato di cose esistente”, è tempo sprecato provare a spiegare la superiorità di una democrazia “diversa e possibile” che nasce nelle fabbriche e nei posti dove si lavora e si stenta quotidianamente la propria vita di sfruttato. La democrazia che nasce dalla lotta di classe e che a questa lotta è intrinsecamente legata, la democrazia dei soviet. Esistono oggi gli spazi per poter lanciare la parola d’ordine: un CONSIGLIO OPERAIO dovunque il padrone (e il suo governo) conduca il suo attacco, un consiglio operaio dovunque occorre organizzare la resistenza e la lotta, un consiglio operaio capace di diventare il punto di aggregazione territoriale degli strati sociali che subiscono le conseguenze della crisi, indirizzarne le scelte e sottrarle all’influenza dei demagoghi di turno ?
A me pare di si. Anche se non è un compito facile.
Agli operai e agli altri lavoratori, stanchi di continuare a “decidere una volta ogni qualche anno, quale fra i rappresentanti della classe dominante li rappresenterà e li opprimerà” bisogna insegnare che c’è una sola democrazia da difendere. Il loro diritto di organizzarsi e lottare contro gli sfruttatori.
5 maggio 2012

Mario Gangarossa

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