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Bolivia, la nazionalizzazione dell'energia elettrica: un effetto delle proteste sociali

(6 Maggio 2012)

Scritto da El militante (Bolivia)

03 Maggio 2012


I militanti della Tendenza Marxista Internazionale in Bolivia danno il loro pieno sostegno alla nazionalizzazione della societá TDE (Transportadora de Electricidad SPA) decretata da Evo Morales nel giorno della Festa del Lavoro.

Le nazionalizzazioni sono la migliore risposta al clima di scioperi e manifestazioni che vive il paese e marcano la differenza tra il governo di Evo Morales e quelli neoliberali. Facciamo appello alla classe lavoratrice, nazionale e internazionale, a difendere le nazionalizzazioni, lottare per completarle e porle al servizio della costruzione di una societá con uguaglianza e giustizia sociale: il socialismo.



Reazioni alla nazionalizzazione


La TDE fu comprata nel 2002 dalla società spagnola Red Electrica Internacional SAU, della quale lo stato spagnolo detiene una partecipazione azionaria del 20%. Questa società controlla in Bolivia il 73% degli elettrodotti che portano l’energia elettrica dalle centrali fino alle società di distribuzione locali, e soddisfa l’85% delle attuali necessitá di distribuzione dell’energia elettrica. Dopo la nazionalizzazione delle centrali di Guarachi, Valle Hermoso e Corani, nel 2010, e quella odierna, lo Stato boliviano diventa il principale produttore e trasportatore di energia elettrica a livello nazionale.
La stampa e le organizzazioni degli imprenditori spagnoli hanno reagito alla nazionalizzazione di TDE in modo isterico e arrogante. Un articolo de El Pais considerava che la motivazione presentata da Evo Morales per giustificare la nazionalizzazione, e cioè la mancanza di investimenti, sarebbe nient’altro che un “artificio retorico” per giustificare un furto. Intervistato da El Mundo il vicepresidente della Confederazione Spagnola delle Organizzazioni degli Imprenditori, Arturo Fernandez, definiva “impresentabile” la nazionalizzazione e chiedeva al governo spagnolo di prendere misure drastiche per difendere investimenti che in passato avrebbero “risolto i problemi economici” boliviani e dell’America Latina.


Come “risolsero” i nostri problemi


TDE fu privatizzata, come tutte le societá pubbliche e le risorse boliviane, a prezzo stracciato (39 milioni di dollari) e con la promessa che iniezioni di capitale straniero avrebbero migliorato la nostra capacità produttiva, la qualitá e la copertura dei servizi essenziali. Per capire meglio che cosa rappresentò la privatizzazione del settore energetico e come gli investimenti, in questo caso di imprenditori spagnoli, avrebbero “migliorato” la nostra vita, è necessario citare qualche dato.
Quando nel 2002 la Red Electrica Internacional compró TDE, quest’ultima societá aveva 620,5 Km di linee elettriche a bassa tensione, che portano l’energia trasformata al consumatore finale, e 1.572 Km di linee ad altissima tensione, che sono di distribuzione. Nel 2010 invece le linee ad altissima tensiones controllate da TDE si estendevano per 2.023,35 Km, mentre le linee a bassa tensione per il consumo finale si erano ridotte a 241,6 Km. La lunghezza totale delle linee elettriche gestite da questa societá era cresciuta in 10 anni di solo 72 Km circa.
La strategia societaria assunta dalla proprietá spagnola era di concentrarsi esclusivamente nel trasporto, potenziando le linee ad alta tensione verso le regioni a maggior consumo elettrico, dove l’energia è comprata da cooperative o societá distributrici. Cosí per poter illuminare la vita di 25 mila famiglie boliviane nel Beni, il governo ha dovuto sobbarcarsi i costi della costruzione di una rete di 370 Km, dalle linee di TDE fino alla regione in questione. E mentre il 13% delle famiglie boliviane, principalmente ma non solo nelle zone rurali, continuano a vivere senza energia elettrica, la TDE massimizzava i suoi profitti, portandosi fuori del paese 38 milioni di dollari annui, con investimenti minimi o nulli. Cosí hanno risolto i problemi.


Lavoratori boliviani e lavoratori spagnoli


Commentando le belligeranti dichiarazioni del governo spagnolo contro la nazionalizzazione di Repsol YPF in Argentina, il deputato di Izquierda Unida Alberto Garzon disse molto giustamente che quella “non è la guerra dei lavoratori spagnoli”. La guerra del reazionario governo spagnolo contro il diritto di Bolivia o Argentina a essere autosufficienti energeticamente e permettere che tutte le nostre famiglie abbiano accesso ai servizi essenziali, non è ovviamente la guerra dei lavoratori spagnoli. Ma la guerra in difesa di queste nazionalizzazioni è la guerra che unisce la classe lavoratrice di Spagna, Bolivia e Argentina.
Compagno lavoratore spagnolo: l’unico modo per evitare che lo Stato spagnolo di banchieri e imprenditori carichi sulle tue spalle gli effetti delle nazionalizzazioni in Bolivia e Argentina, cosí come caricano sulle spalle di tutti i lavoratori del mondo gli effetti di una crisi che non abbiamo nè voluto nè provocato, è lottare a tua volta per la nazionalizzazione di banche e aziende di Spagna, che sfruttano il tuo lavoro e considerano i tuoi e i nostri diritti un “artificio retorico”.
Indennizzi e controllo operaio
Il ministro dell’economia del governo spagnolo, Luis de Guindos, si è dichiarato sicuro che il governo boliviano indennizzerá con un prezzo giusto la nazionalizzazione. Per le ragioni che abbiamo appena spiegato, crediamo che non debba esserci nessun indennizzo. Risarcire le multinazionali doveva essere un modo per portare avanti le nazionalizzazioni senza isolare Bolivia nel contesto mondiale e mantenere allo stesso tempo un clima di protezione e incentivo agli investimenti. Inevitabilmente questa pratica si è trasformata in un modo di sviare risorse dalla soddisfazioni di necessitá sociali, come il salario, verso la compensazione di speculatori.
I tribunali internazionali dove Bolivia è stata citata in giudizio dalle multinazionali che erano proprietarie delle societá nazionalizzate, hanno emesso sentenze sempre e solo a favore delle multinazionali. È il caso, scandaloso, di ENTEL (che fu di TELECOM ITALIA, che violó ogni accordo con la Bolivia e fece sparire la metá del patrimonio immobiliare della societá boliviana di telecomunicazioni), di TRANSREDES o della Societá Guarachi, la principale centrale elettrica del paese. La multinazionale britannica RURELEC, che era propietaria del 50% di Guarachi, pretende un indennizzo di 142 milioni di dollari, dopo aver lasciato Guarachi con debiti per 240 milioni di dollari, una somma che equivale al 71% di tutto il patrimonio della societá. Le sentenze dei tribunali internazionali saranno sempre a favore del “sacro diritto al profitto”. Il solo fatto di nazionalizzare, comprando o espropiando, allontana gli investitori stranieri. Il denaro degli indennizzi deve essere utilizzato per migliorare i salari, la casa, la salute e l’educazione, e a rafforzare le aziende nazionalizzate.
Durante il 2011 la centrale di Guarachi subì un danno a una turbina che genera elettricitá, causando una serie di black out nel paese, particolarmente nelle principali cittá. La causa di questo incidente non fu solo perchè le multinazionali che erano propietarie della centrale non avevano investito in tecnologia per aumentare la produzione. Il motivo principale è stato che un picco non pianificato nella domanda di energia ricadde sulla centrale – la principale del paese – senza che le centrali private che generano ancora un 30% dell’elettricitá potessero farvi fronte. E perchè i lavoratori di Guarachi, che sono quelli che conoscono direttamente la centrale, non giocano nessun ruolo nella pianificazione e il mantenimento della stessa, così come i lavoratori in generale non giocano nessun ruolo nella pianificazione dell’economia. Questo esempio spiega perchè è necessario completare e generalizzare le nazionalizzazioni e metterle sotto controllo operaio.


La classe operaia e le nazionalizzazioni


I rappresentanti della classe lavoratrice boliviana hanno salutato e sostenuto pubblicamente la nazionalizzazione di TDE. In particolare si sono espressi a sostegno della nazionalizzazione Trujillo, il dirigente attuale della COB, la Centrale Operaia Boliviana, unica confederazione del paese, e il delegato dei lavoratori della azienda petrolifera nazionale YPFB, Mario Loza. Tuttavia la nazionalizzazione decretata il 1º maggio non ha frenato l’ondata di proteste dei lavoratori boliviani, mobilitati contro il decreto che aumenta il salario in modo insufficiente, e l’altro che dispone la giornata lavorativa di 8 ore, contro le 6 attuali, per i lavoratori della salute, tra i quali infermieri e ausiliari sono tra i peggio pagati del paese.
Il sostegno a misure come la nazionalizzazione non è un fatto distinto dalla lotta della classe lavoratrice per i suoi diritti, ma nella lotta per i suoi diritti la classe lavoratrice deve sostenere attivamente le nazionalizzazioni e a partire dalle nazionalizzazioni è necessario trovare la strada per “condurre su un binario realmente rivoluzionario” e spingere in avanti la rivoluzione, come afferma il documento politico dell’ultimo congresso della COB.
Se non si fa questo, se non si unisce la lotta per le rivendicazioni immediate alla lotta politica generale, è facile cadere nell’adattamento opportunista al governo, senza poter segnalare i suoi errori, o nello sterile estremismo sindacale. E non si educano i lavoratori a ruolo che debbono giocare. Davanti a la nazionalizzazione di TDE, i lavoratori devono lottare perchè si completino le nazionalizzazioni e si introduca il controllo di operai e contadini sui diversi rami della produzione e nella pianificazione dell’economia.
Questo è anche l’unica strada a disposizione del governo per frenare l’ondata di proteste nel paese. Dire invece che con irresponsabili pretese salariali i lavoratori vogliono sottrarre denaro destinato a investimenti sociali e produttivi e metterli contro il resto della popolazione, serve nell’attuale contesto solo a difendere gli spettacolari profitti che le banche private, gli imprenditori nazionali e le multinazionali stanno realizzando, attraverso indennizzi, interessi sul debito pubblico interno, la speculazione e il contrabbando, che permettono loro di accaparrarsi la quota maggiore della ricchezza del paese. E provoca pericolose scissioni nel movimento di massa, che è e continua ad essere il vero motore della rivoluzione e l’unica forza a disposizione del governo, anche e soprattutto per far fronte alle avverse reazioni internazionali alle nazionalizzazioni.



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