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Gli USA lasciano Falluja

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(16 Dicembre 2011) Enzo Apicella

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(Iraq occupato)

Nota informativa sui partiti comunisti in Iraq

(20 Giugno 2004)

Il Partito Comunista Iracheno (PCI) ha accettato nel luglio 2003 di entrare nel "Consiglio Governativo" nominato dal proconsole statunitense Paul Bremer. Nel corso dell'anno trascorso il PCI ha condiviso il percorso di questo organismo, accettando tutti i suoi successivi atti:
- la formazione di un esecutivo a settembre 2003;
- l' "Accordo sulle misure politiche" stretto con Bremer a novembre, che prevedeva un'assemblea costituente costituita di notabili nominati dall'alto;
- l'adozione nel marzo 2004 della "Legge di amministrazione dello Stato iracheno durante il periodo di transizione" (una sorta di bozza di costituzione), che dopo le enormi manifestazioni di gennaio contro l' "Accordo" di novembre, ribaltava le decisioni di quattro mesi prima, prevedendo un'assemblea costituente eletta, e fornendo un quadro entro cui si sarebbe dovuto svolgere il processo costituente;
- la copertura politica data alle forze della coalizione nella loro offensiva militare contro Falluja e contro la milizia di al Sadr a partire da aprile;
- la formazione del governo Allawi a maggio;
- l'accettazione dello scioglimento della sua milizia armata da far confluire nelle forze armate irachene a giugno;
- nello stesso mese il silenzioso abbandono della "Legge di amministrazione dello Stato iracheno durante il periodo di transizione" adottata tre mesi prima, grazie alla risoluzione del consiglio di sicurezza dell'ONU n. 1546, che conferma la decisione di arrivare a un'assemblea costituente eletta, ma senza il quadro di garanzie democratiche previsto a marzo.

In ogni situazione il PCI ha difeso le decisioni del "Consiglio Governativo", affermando che le decisioni prese erano le migliori possibili data la "complessa situazione" esistente in Iraq, e il rapporto di forze esistente all'interno del "Consiglio Governativo", e tra questo e l' "Autorità provvisoria della coalizione" (cioè Bremer, il vero centro del potere iracheno). Questo posizione è stata smentita dai fatti, come ha evidenziato il ribaltamento delle decisioni di novembre, grazie alle manifestazioni in favore della democrazia dirette dal clero sciita.

Il PCI ha mantenuto nel corso dell'anno una prospettiva a favore di "una pacifica e relativamente veloce transizione dal precedente periodo dittatoriale a un Iraq federale e democratico, dove la legge e il rispetto dei diritti umani siano le norme prevalenti". Per questo fa "appello a tutto il popolo per consolidare la sua unità patriottica e sociale e per intensificare la sua cooperazione fraterna". Il PCI si considera parte dell'insieme delle "forze democratiche e patriottiche", a cui assegna due compiti: "(1) Far terminare l'occupazione e assicurare un veloce trasferimento del potere agli iracheni in modo che la sovranità nazionale venga riassicurata; (2) sradicare le eredità e le influenze del precedente regime dittatoriale, e costruire un regime democratico". Le influenze del precedente regime dittatoriale da sradicare ("per evitare che riemerga una nuova dittatura") sono di ordine "politico, psicologico e ideologico". Il PCI afferma che "il Consiglio Governativo non è che un mezzo tra altri nella nostra lotta per la realizzazione della sovranità e dell'indipendenza nazionale e per la creazione delle basi della democrazia": il PCI, "in quanto forza patriottica riunificante, unificante e che difende sempre gli interessi superiori del paese, deve incarnare la coscienza del popolo e l'unità nazionale nella sua politica e nella sua pratica. Il Partito diventerà allora una vera forza, che trascinerà tutto il movimento patriottico, pilastro del più ampio movimento democratico, a combattere per la fine dell'occupazione straniera e per ricostituire la sovranità e l'indipendenza nazionali, rigettando l'oppressione sotto tutte le sue forme, e stabilendo le basi di uno stato iracheno democratico moderno, basato sui diritti dei cittadini e la giustizia sociale". Riguardo alla situazione militare in Iraq e alle azioni della "resistenza", il PCI è passato da una posizione attenta e articolata rispetto agli obiettivi colpiti e alle dinamiche locali, fino all'ottobre 2003, a una condanna senza appello e senza eccezioni delle azioni armate, arrivando ad affermare nel dicembre 2003 che la mancanza di sicurezza nel paese era dovuta soprattutto a una repressione non sufficientemente "efficace e risoluta" dei gruppi della "resistenza" da parte delle forze della coalizione, e che le azioni militari giustificavano la presenza sine die degli occupanti della coalizione. Nell'aprile 2004, di fronte all'offensiva militare della coalizione contro Falluja e la milizia di al Sadr, pur essendo d'accordo sull'obiettivo dell'offensiva militare, ha protestato per le "misure sproporzionate" usate dalla coalizione per combattere i "terroristi" (ma senza arrivare ad autosospendersi dal Consiglio Governativo come hanno fatto altre forze irachene in segno di protesta). Sul processo di transizione a un governo iracheno il PCI afferma che "si tratta di un processo complesso, che potrà essere effettuato con successo solo quando verranno soddisfatte tutta una serie di condizioni preventive. Assicurare le risorse materiali e umane per proteggere la nuova autorità è una condizione tra le più importanti. Questo signica la creazione di un esercito, di una forza di polizia e di altri organi per ridurre le forze terroriste, i residui del precedente regime e tutte le forze ostili al cambiamento democratico".

In un'intervista rilasciata il 20 aprile 2004 all'organo del Partito comunista della Gran Bretagna, il "Morning Star", il membro del Comitato centrale del PCI Salam Ali, esprime tutta la tensione a cui è sottoposto il suo partito a livello internazionale: "Il popolo iracheno non ha bisogno di lezioni su come gestire le sue cose. Il popolo, con la sua più grande esperienza, conosce molto bene i suoi nemici. Alcuni analisti di sinistra (non penso in modo intenzionale) dànno l'impressione che ci sia qualcuno che vuole dare delle lezioni e dirci cosa fare. Queste cose non ci servono. Solo dei regimi democratici che rappresentano la volontà del popolo possono ergersi contro l'imperialismo. Saddam si è rivelato una tigre di carta. E' crollato nel giro di due giorni. A noi serve appoggio, non lezioni".

Il Partito Operaio Comunista (POC) si è sempre opposto al "Consiglio Governativo" ("adesso è peggio che con Saddam - invece di avere un Saddam Hussein adesso abbiamo 25 Saddam Hussein con un programma di tipo islamico politico ancor più restrittivo"). Si è sempre tenuto distante dai dibattiti e dalle mobilitazioni sulla transizione a un potere iracheno, e rifiuta qualsiasi identificazione "nazionale e patriottica". Per il POC non esiste alcun "diritto all'autodeterminazione" al di fuori del contenuto sociale di questa autodeterminazione. Per questo motivo si oppone alla "resistenza", che associa a residui ba'thisti e all'Islam politico, sunnita o sciita, e promuove la creazione di un "terzo campo" tra forze imperialiste e il "fascismo islamico" (un conflitto tra "due forze reazionarie"), il terzo campo "dei lavoratori e dell'umanità". "La lotta degli operai e dei lavoratori contro l'esercito occupante è inseparabile dalla lotta contro le forze reazionarie e la loro visione medievale e da incubo della società [che vogliono costruire]".

"La sinistra internazionale vuole che ci arrendiamo alle forze e ai gruppi che cercano di massacrare e annichilire non solo i comunisti, ma qualsiasi persona laica e amante della libertà che si oppone agli islamisti... Pochi nel mondo sono stupidi quanto la sinistra tradizionale, che incoraggia e appoggia un terrorista contro l'altro in un conflitto come questo. Questa è la verità nascosta di un movimento antiguerra che rimpicciolisce e con un peso sempre minore sul corso degli eventi".

Il POC si è quindi concentrato sulle mobilitazioni sociali, organizzando strutture di donne e dei disoccupati, e fondando nel dicembre 2003 un sindacato sotto il proprio controllo, che si oppone sia a quello sotto controllo del PCI (riconosciuto dal Consiglio Governativo come unico rappresentante dei lavoratori), sia a quello del vecchio regime ba'thista.

Al di fuori del PCI e del POC vi sono poche altre formazioni che si proclamano "comuniste". Alcune, nate da una serie di scissioni in senso "patriottico" del PCI a partire dalla metà degli anni '80, sono indistinguibili dalle formazioni nazionaliste arabe e irachene. Negli anni '90 si è riformato il vecchio Partito Comunista Iracheno (Comando Centrale), vecchia scissione di sinistra del PCI della fine anni '60, e distrutto dalla repressione e dai tradimenti nel corso degli anni '70. Questa formazione ha base a Londra, e ha lo stesso linguaggio "patriottico" del PCI ma (ben più coerentemente del PCI) lo utilizza contro il Consiglio Governativo. Altre piccole formazioni comuniste, scissioni di sinistra del PCI nel corso di quest'ultimo anno, sarebbero attive soprattutto tra gli studenti universitari e tra gli intellettuali.

Il PCI, credendo di poter essere "partito di lotta e di governo" (un governo fantoccio d'altronde, senza alcun potere, e un partito che non fa alcuna lotta, timoroso della "complessa" situazione e dei suoi equilibri), seguendo una logica ferrea è scivolato sempre più nella copertura "a sinistra" delle forze anglostatunitensi. Mantiene una retorica "patriottica", che contrasta sempre più con il suo ruolo effettivo di totale subalternità al vero centro di potere in Iraq, fino ad oggi Bremer e domani John Negroponte. Il tradimento che ha compiuto quest'anno verso i lavoratori e gli oppressi iracheni avrà un peso ancor maggiore dei suoi precedenti errori politici, dapprima con la subordinazione totale alla direzione Qassem dal 1958 e poi con la subordinazione totale a Saddam Hussein negli anni '70. Allora quell'orientamento suicida venne assunto sulla base delle pressioni e dei legami che il PCI aveva con Mosca, e rispondevano a interessi della politica regionale sovietica. Vennero assunti dolorosamente, con scissioni e polemiche che si trascinarono per anni.

Oggi l'orientamento assunto risponde a una dinamica strettamente interna del PCI, di tipo socialdemocratico (come molti altri ex partiti comunisti): un partito il cui unico orizzonte è la costruzione di "uno stato democratico moderno", in cui assicurare un mercato capitalista, privatizzazioni controllate e investimenti stranieri (pur mantenendo un controllo statale dei redditi petroliferi), e in cui cerca di ritagliarsi un ruolo specifico come portavoce dei lavoratori (in quanto specifico settore sociale tra i tanti esistenti) nelle loro richieste relative alle condizioni di vita e alla giustizia sociale - purché siano settoriali e non contrastino con gli equilibri esistenti e con l'orizzonte strategico prefissato.

L'occupazione angloamericana e lo scioglimento dell'esercito e degli apparati di sicurezza (solo questi ultimi contavano ben più 100.000 uomini!), ha distrutto il vecchio stato borghese iracheno. In una situazione largamente anarchica l'unica struttura di potere effettiva sono gli eserciti occupanti, senza radici nella struttura sociale irachena. La casta burocratica ba'thista si è disintegrata, con il suo padre-padrone arrestato su delazione mentre si nascondeva in un buco sotterraneo, abbrutito e senza contatti di sorta, ma tenendosi ben stretto qualche pacco di dollari. La borghesia irachena, fino a un anno fa totalmente dipendente dal vecchio stato ba'thista, appare oggi allo sbando. I settori politici della vecchia emigrazione che oggi siedono al Consiglio Governativo hanno basi popolari ristrette, e una rappresentatività ben limitata. Se una qualsiasi forza politica si pone come obiettivo la ricostruzione di uno stato iracheno borghese, non può non allearsi con le forze d'occupazione anglo-americane. Non vi sono altre basi possibili. Questa è la logica del percorso di quest'ultimo anno del PCI.

Il POC non si pone in quest'ottica. Il suo obiettivo strategico non è la ricostruzione di uno stato borghese in Iraq. Individua correttamente l'Islam politico come una forza politica estremamente reazionaria, da combattere senza compromessi. Il suo "indifferentismo" verso lo sbocco politico della crisi irachena lo porta tuttavia ai margini della vita politica, senza peso "sul corso degli eventi". La grande battaglia democratica diretta dal clero sciita attorno a Sistani a cavallo tra il 2003 e il 2004 contro l' "Accordo" di novembre ha riunito le più grandi manifestazioni che l'Iraq ha visto da decenni. L'Islam politico ha intercettato una esigenza democratica di massa di cui nessun'altra forza si era presa carico. Il PCI era una controparte, cofirmatario di quell' "Accordo", il POC era semplicemente assente. Caratterizzare la vasta offensiva militare angloamericana dell'aprile-maggio 2004 come uno scontro tra "due forze reazionarie" ha fatto perdere di vista al POC che in gioco vi era ben di più della legittimazione di al Sadr, o dei gruppi armati sunniti operanti a Falluja. La posta in gioco era il possibile reingresso delle masse irachene nella lotta contro le truppe di occupazione, al di là delle attuali direzioni della "resistenza", e, in prospettiva, contro di esse: a dimostrazione il fatto che lo stesso al Sadr, dopo aver proclamato uno sciopero generale (a cui il POC si era opposto), ha fatto marcia indietro dopo la prima settimana di mobilitazioni, per il timore di perdere il controllo della situazione. Nel frattempo lo sciopero si era, in modo spontaneo, generalizzato (almeno a Baghdad), paralizzando tutte le strutture pubbliche, e aveva trascinato ondate di diserzioni nelle fila della polizia irachena. Da allora (era il 9 aprile) al Sadr non ha fatto più appello a mobilitazioni di massa, ma ha mobilitato contro gli angloamericani solo e unicamente la sua milizia (portandola di fatto al massacro, vista la disparità delle forze).

La critica e la polemica con la sinistra irachena non possono farci dimenticare la situazione eccezionale e difficile che vive (ben diversa da quella vissuta quotidianamente da noi!), e la dedizione dei suoi militanti. La confusione strategica e politica evidenziata dai suoi orientamenti caratterizza (sia pure in diverso modo) larga parte della sinistra del "primo mondo". La critica e la polemica con la sinistra irachena non può essere disgiunta quindi da una (auto)critica e da una polemica all'interno della "nostra" sinistra.

A cura di Ilario Salucci

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