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    (Capitale e lavoro)

    Poveri che lavorano

    (27 Giugno 2004)

    I sociologi li chiamano "i poveri che lavorano". I governi invece li usano a fini statistici, per poi poter raccontare in tv che è diminuita la disoccupazione. Sono i 4 milioni di precari creati in questi anni dalla rivoluzione della flessibilità iniziata con il pacchetto Treu e proseguita con la legge Biagi.

    Risultato: oggi in Italia c'è un esercito di lavoratori privi di garanzie, mal pagati, utilizzati dalle imprese per competere con le altre tramite l'abbattimento del costo del lavoro. Se n'è accorto persino il quotidiano la Repubblica, storico sostenitore della via flessibile all'occupazione, che ieri ha pubblicato un'inchiesta basata sui dati Cgil e la ricerca del Censis. La fotografia che ne viene fuori è eloquente. Innanzitutto viene smentita la favola per cui il contratto atipico per i giovani sarebbe un'opportunità, un trampolino che consente di fare un'esperienza di lavoro che in seguito favorisce la conquista di un'occupazione stabile.

    Per capire quanto sia falsa questa affermazione è sufficiente analizzare la figura del "co. co. co. ", acronimo che sta per "collaboratore coordinato e continuativo". Dei due milioni e mezzo assunti con questo tipo di contratto, secondo le posizioni denunciate all'Inps, il 55, 7% vive al nord, il 23, 6% al centro e il 20, 7% al sud. Se si esamina l'età dei co. co. co, si scopre che il 53,1% ha un età compresa tra i 30 e i 49 anni. A causa della scarsa consistenza dei contributi versati, per molti di essi si prospetta una vecchiaia con pensioni da fame. A questi vanno aggiunti 250 mila lavoratori interinali e una vera moltitudine di appesi ai contratti più disparati: part time, apprendistato, formazione lavoro, stagionali, associazione in partecipazione. Tra le vittime della flessibilità, cresce il numero di coloro che lavorano in strutture pubbliche o enti locali: esclusa la scuola, sono 256mila.

    Centro di documentazione e lotta

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