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(23 Febbraio 2010) Enzo Apicella
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Il Sudan di Sabina

Mondocane fuorilinea (22/6/04) di Fulvio Grimaldi

(27 Giugno 2004)

Vale la pena raccontare come capitai per la prima volta in Sudan. Correva l’anno 1971. Fresco come un bucaneve, giravo il mondo e scrivevo e fotografavo di guerre e rivoluzioni per giornali di sinistra come “Giorni-Vie Nuove”, “Astrolabio”, “Sette Giorni”. I giornali di sinistra pagano poco e a soprassalti: serve a mantenere alto il morale dell’inviato e persuasivo il carattere progressista della testata. Dopo essermi fatto tutta l’Eritrea a piedi con il Fronte di Liberazione Eritreo (quello buono; l’altro, l’FPLE, cristiano, ma caro ai marxisti e oggi al potere con USA e Israele, s’è visto come è andato a finire), le esauste risorse mi avevano costretto nell’ostello della gioventù di Khartum. Incrociai un giovane funzionario del Ministero dell’Informazione, militante del Baath, panarabo, nazionalista e socialista (quello al potere in Siria e con Saddam in Iraq), determinato a far sentire alle sinistre terzomondiste in Italia le ragioni della rivoluzione sudanese. Quella del colonello Ghaafar Nimeiry, emulo di Nasser e dei Giovani Ufficiali della grande decolonizzazione araba. Mi prese con sé su una jeep e mi fece attraversare mezzo Sudan all’inseguimento del presidente che visitava città, villaggi, aziende, progetti di sviluppo. Lo beccammo nel sud, nella città di Wau, mentre cenava a una tavolatona all’aperto con ministri e notabili locali. Mi inserii tra frutta e whisky (Sudan allora laicizzato e dunque sbevazzone) e venni accolto dal Raìs e avvolto da una calda notte equatoriale, frastornata di cicale e di racconti del presidente che si spensero solo alle prime luci dell’alba.

Tutti a parlare di Sudan, di questi tempi. E già questo dovrebbe suscitare sospetti. Da qualche mese si sono intensificati i notiziari, i reportage sulla catastrofe umanitaria e politica determinata nella regione occidentale del Darfur dal governo di Omar el Bashir. Esercito e squadracce miliziane che si accaniscono su poveri profughi, eserciti di liberazione che si sollevano a difesa delle popolazioni discriminate quando non macellate, morti e fuggiaschi a gogò, la fame che imperversa per colpa del regime, le agenzie umanitarie che non glie la fanno, quelle dei diritti umani che sparano un dito sempre più lungo e puntuto – pare il naso di Pinocchio…- verso Khartum. E rivedo un film già visto allora. Nimeiry mi spiegò in lungo e in largo come la sua lotta antineocoloniale avesse provocato ogni sorta di incazzatura degli ex e neo-colonialisti: britannici, preti, europei vari, israeliani. Dicono tutti che la guerra separatista del Sud “animista e cristiano” (ci sono stato al Sud, a Giuba, di cristiano ci sono quattro chiese, una marea di santini comboniani, ma il 90% della popolazione crede ai suoi dei di acqua, terra, aria e fuoco), contro le soperchierie degli integralisti islamici al governo, sia iniziata nel 1981. Invece iniziò vent’anni prima, con gli stessi istigatori di oggi, appena il Sudan aveva tentato di avviarsi sulla via di una vera indipendenza. Tagliare i fili della memoria, come quando nessuno ricorda che gli USA tutte le guerre le hanno iniziate facendo prima un gran botto, tipo 11 settembre, da attribuire al “nemico”. Ora tra le “efferatezze” del Sudan manca solo un suo missile su Disneyland, con 4000 bimbetti disintegrati (e pensare che nel 1997 Khartum, che se l’era trovato tra i piedi, offrì agli USA l’estradizione di Osama bin Laden. Quelli risposero: non c’interessa, speditelo in Afghanistan!).

Fin da quando la rivoluzione nazionalista e laica, con la nazionalizzazione delle risorse strategiche, con scuole e sanità, si affermò in Sudan, negli anni ’60, inziarono i casini nel Sud delle etnie negroidi. C’era già allora l’esercito di liberazione del Sud (SPLA), c’era già a capo John Garang, un generale fellone diventato gangster e combattuto più da bande rivali, in competizione per le ricchezze minerarie e lignee dell’Equatoria, che dall’esercito governativo. C’erano già allora le spie e le armi di Israele e Regno Unito, poi sarebbero arrivati anche gli statunitensi. Mentre la copertura mediatica e ideologica veniva fornita dai missionari comboniani, dall’800 nel paese con monaci, suore, aziende, affari finanziari e brighe eversive. Anche se allora mancava l‘appiglio dell’”integralismo islamico” e dell’”emarginazione del Sud nero, animista e cristiano”. In quell’anno Khartum aveva investito nel Sud, lasciato dagli inglesi in preda al tipico sottosviluppo da colonialismo ( inglesi poi sconfitti con il generale Gordon nel 1885 in una delle più gloriose battaglie degli oppressi contro gli oppressori) quasi la metà del bilancio di uno Stato di cui quella regione era un sesto. E’ la società era stata laicizzata ed emancipata: indimenticabili le donne, alte, color fondente, con gli spacchi fino al bacino, che suonavano la tarantella sul pentagramma dei miei pensieri.

Poi ci furono le trattative, i compromessi, gli accordi di pace. Ma regolarmente la rivolta si riaccendeva, anche se più tra rivali della secessione che tra questi e il potere centrale. Così per tutti gli anni ’70 e ’80. Coloro che da fuori rimestavano nel sangue e nei progetti di rapina, non si rassegnavano a lasciare in piedi e unito il più grande paese arabo e dell’Africa. Finalmente ora, nel 2004, rinunciato alla Sharìa per tutti, accordata una vasta autonomia al Sud, comprensiva della gestione di buona parte dei proventi petroliferi (petrolio sospettato al tempo di Nimeiry, confermato quando un golpe portò al potere una spia degli inglesi, il Mahdi, iniziato ad estrarre da cinesi, canadesi ed europei sotto l’attuale governo di Bashir), concordato un referendum su indipendenza o unità entro sei anni, il governo riteneva di poter far godere a uno dei popoli più evoluti e gentili del mondo la sua meritata dose di progresso e pace. Niente. Grandi paesi del Terzo Mondo, grandi unità di diversi, grandi potenzialità non possono restare in vita. L’imperialismo preferisce la Croazia fascistizzata, la Bosnia mafizzata, il Kosovo snaturato, il Kurdistan narcotrafficante, gli sciti sprofondati nel Medioevo, i sunniti alla fame, e magari i padani con per capitale l’ombelico di Bossi e per confine là dove arriva il raglio di Castelli, preferisce tutto questo a ciò che storia, solidarietà, destino e progetto comune avevano messo insieme. In particolare, l’imperialismo e il suo rostro sionista hanno sul piloro la nazione araba, ancora rabbrividiscono al pensiero di cosa fece negli anni ’50 e ’60 ai cugini inglesi, agli alleati francesi, perfino agli straccioni all’iprite italiani. Sennò cosa avrebbe miscelato in provetta a fare, l’imperialismo, uno Stato ebraico là dove da millenni stavano palestinesi? Sennò a cosa servirebbe mai il Piano neocon-neonazi del “Grande Medioriente” dal Marocco all’Afghanistan (Iran, Turchia e Afghanistan con la nazione araba non c’entrano niente, ma servono a diluirla), il genocidio dei renitenti palestinesi, dei troppo arabi iracheni, gli attentati Cia-Mossad in Arabia Saudita, Turchia, Marocco, la mazzetta di 3 miliardi di dollari all’anno allo stalliere Mubarak, le sanzioni alla Libia, il terrorismo “islamico-Cia” in Algeria e, ora, il perenne terremoto innescato da Langley in Sudan?

Perciò, appena conclusa in Kenya la pace nel Sud, ecco che i mastini da guerra, addestrati da San Pietro, Mosè e Mickey Mouse, sono ripartiti alla carica nell’ovest. Il coro si va facendo assordante, strepitano tutti: come sempre, i comboniani forniscono l’indiscutibile testimonianza oculare e informazione obiettiva, ONU e FAO, preoccupate, parlano di difficoltà nel far arrivare i rifornimenti, Amnesty International e ONG ancora più occhiute sollevano i vessilli dei diritti umani finiti nelle sabbie roventi della repressione islamista. E subito spuntano ben due “eserciti di liberazione nazionale”, tipo UCK kosovaro, chissà da chi muniti di armi moderne, e subito appaiono milizie terroristiche che agiscono per conto del governo e commettono stragi di innocenti (e magari sono gruppi di autoprotezione aiutati, sì, dal governo, ma contro le provocazioni degli eversori mercenari del complotto imperialista). E subito c’è anche un paese, il Chad, guardacaso miserrimo e di obbedienza statunitense, che si presta a soccorrere i profughi – Centomila? Un milione? – ma non ha di che nutrirli e se li vede appassire tra le mani. Non circola neanche un inviato di qualche giornale o tivù da quelle parti, ma tutti sfanfareggiano di indicibili massacri: centomila?, Un milione? Tre milioni a rischio…

Così anche la giornalista, una di quelle vere, di “Liberazione”, Sabina Morandi.

Titola “Sudan, la guerra che non fa notizia”. Ammazza, Sabina, se non fa notizia! Ma se si sono dati tutti appuntamento sull’imminente decapitazione del Sudan, velinari, analisti, corsivisti, provocatori, esperti, tutti saldamente, come te, ancorati alla loro seggiola con sguardo sul Bar Pippo. Ci fai rabbrividire, come quei tuoi colleghi dei grandi media, vi cola sangue misto a resti cerebrali dalla penna: “Ogni giorno le condizioni di vita uccidono tra i sei e gli otto bambini, fra poco moriranno 300.000 persone di fame, almeno diecimila morti nell’ultimo anno e mezzo, fra 800mila e un milione di profughi”. La fonte? Human Rights Watch, figurarsi ! Basta il tono:”Il governo Sudanese è responsabile di pulizia etnica e di crimini contro l’umanità. Nel Darfur vige il terrore”. Vi ricorda qualcosa? Il Kosovo forse? O le armi di distruzione di massa di Saddam? O i poveri “dissidenti” di Cuba? O i tibetani sterminati dai cinesi? E vai, Sabina, con le citazioni e con le fonti. Manca nessuno. Kofi Anan, l’ONU, il Fronte di Liberazione del Darfur, le Acli (quelle che addestrano mercenari con istruttori israeliani), Caritas, Comboniani… Non manca che la CIA, ma c’è UsAid, che è uguale, forse peggio, chiedilo ai latinoamericani, visto che sei capace di dar credito alla più fetecchia delle fetecchie tra le agenzie di penetrazione imperialista USA E un minimo di memoria storica, di sapienza geopolitica e di occhi aperti sull’offensiva imperialista e neocoloniale contro i popoli con le risorse, contro le grandi nazioni, contro i governi refrattari alla prostituzione della sovranità. Quanto meno, se proprio ami spassionatamente l’Ansa e la CNN, un microscopico dubbio!

Occhio, Sabina, stai in un giornale di sinistra, un giornale che dovrebbe rappresentare un altro mondo, altre verità. Invece sei uguale a “Libero”, a “Repubblica”, al New York Times”, a Giuliano Ferrara, Gad Lerner e Paolo Mieli, “first class journalist”, come dice Rina-Fede-Gagliardi. Forse neanche tu sei comunista e quindi, per forza, ti manca la chiave di lettura. E poi stai accanto a chi ci ossessiona e ci intossica un giorno sì e l’altro pure con la trappola neocon-neonazi della “spirale guerra-terrorismo”, ch’hai da fa… Magari se dessi un po’ retta al tuo attuale e mio antico collega Annnibale Paloscia (non per nulla come me di scuola Paese Sera, lo ricordo per irrorarmi un po’ della sua bravura) che dietro alle cortine di fumo dell’Ansa e della CNN ci sa guardare, le fonti alternative le sa trovare, la puttanata, per esempio, dei 300 ceceni a Nassiriya la sa dimostrare falso alibi dei nostri nuovi carri e elicotteri con cannoni da 120, per spazzare via altro che 300 civili sui ponti…Che tonfo, Sabina! Hai concluso addirittura così: “Inutile aggiungere che abbandonare i profughi del Darfur al loro destino sarebbe semplicemente un crimine”. E allora vai con l’intervento umanitario! Come con i kosovari, vero? Questa l’ha proprio dettata Rumsfeld.

Ci sono stato nel Darfur, pochi anni fa, per il TG3, con un eccezionalmente bravo ambasciatore italiano che amava il Sudan forse più del suo stesso paese e ne sapeva grandezze, misteri, pericoli e nemici. C’era già allora la siccità, quella che, tra le altre cose, noi stiamo infliggendo, con i nostri giochetti climatici, a chi non ha i ghiacciai delle Alpi o dei poli alle spalle e i condizionatori alle finestre. Mentre penetravamo dal semideserto in un deserto sempre più deserto, con colonne di lunghi stracci bianchi migranti a piedi verso Est alla ricerca di acqua, l’ambasciatore distribuiva le taniche d’acqua ammonticchiate sul fuoristrada a gente in capanne isolate, gente con bambini o gonfi , o stecchiti al collo, che si doveva piegare controvento per non essere spazzata via dalla bufera di sabbia. E il governo ne aveva già accolto quasi tre milioni (dal Sud – chissà perché venivano tra i tagliagole islamici del Nord? – e dall’Ovest) in campi profughi dentro e attorno a Khartum, sfamati quasi senza aiuti ONU. Quando rientrai mi imbattevo in giornali, come quello di Sabina Morandi, che non parlavano di sciagure naturali, o piuttosto indotte dalle malefatte degli “sviluppati”, ma che parlavano di terribile repressione degli agricoltori dell’Ovest e del Sud del paese, a opera di arabi nomadi istigati dal governo islamico. Non mi restava che digrignare i denti.

Fra poco, vedrete, ci toccherà solidarizzare con l’Intifada sudanese, e lo faremo, come con quella palestinese e irachena, alla faccia degli sciacalli e dei pappagalli, ma qualcuno parlerà di terroristi integralisti all’interno della “spirale guerra-terrorismo”. Sabina, non ci cascare. Chiedi consiglio a Annibale. Non ne possiamo più di una stampa, presunta alternativa, che si fa trombetta delle patacche imperiali

Fulvio Grimaldi

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