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Mavi marmara due anni dopo: una ferita aperta

Cade oggi il secondo anniversario dell’assalto israeliano alla nave passeggeri turca Mavi Marmara (9 morti). Ankara pero' non si arrende e vuole perseguire i responsabili

(1 Giugno 2012)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in nena-news.globalist.it

Mavi marmara due anni dopo: una ferita aperta

foto: nena-news.globalist.it

GIORGIA GRIFONI

Roma, 01 giugno 2012, Nena News - “Torneremo a Gaza”. E’ quanto ha dichiarato ieri Bulent Yildirim, capo della Ngo islamica turca IHH, organizzazione proprietaria della Mavi Marmara che il 1 giugno del 2010 subì l’arrembaggio della marina militare israeliana a largo delle coste di Gaza. Nell’attacco morirono otto attivisti turchi e uno turco-americano. La nave, rimessa a nuovo, è pronta a partire insieme a una nuova flottiglia, nonostante l’ultima missione avesse causato la rottura delle relazioni Israele-Turchia. Ankara, da parte sua, qualche giorno fa ha rinviato a giudizio quattro comandanti israeliani – tra cui Gabi Ashkenazi, Capo di Stato Maggiore militare - con l’accusa di omicidio nei confronti dei civili turchi. Tel Aviv, comunque, può dormire sonni tranquilli: l’unico pericolo sarebbe l’estradizione dei quattro nel caso visitassero un paese che ha accordi di questo genere con la Turchia. Ma, come dichiarato dal ministro degli esteri Danny Ayalon “stiamo controllando per capire se il rischio esiste realmente”.

LA “FREEDOM FLOTILLA”. Il 31 maggio di due anni fa la Mavi Marmara era in navigazione verso il porto di Gaza assieme ad altre cinque imbarcazioni battenti bandiere americana, turca, greca e svedese, cariche di aiuti umanitari e 10.000 tonnellate di calcestruzzo destinate alla popolazione prigioniera del blocco israeliano imposto alla Striscia dal 2007. Salpate dalle coste di Cipro con a bordo 610 attivisti - tra cui parlamentari, scrittori e il premio nobel per la pace Mairead Corrigan – furono intercettate dalla marina israeliana nelle acque internazionali di fronte alla Striscia. Tel Aviv aveva dichiarato in precedenza che non avrebbe acconsentito alla violazione del blocco: una violazione volta non solo al rifornimento della popolazione, ma soprattutto alla sollevazione dell’opinione pubblica verso il regime illegale dettato dallo Stato ebraico ai ghazzawi.

LE VERSIONI. La risposta di Israele fu l’organizzazione dell’operazione navale “Brezza Marina”: un abbordaggio dal mare e dagli elicotteri che, se per le prime cinque navi non aveva causato particolari incidenti, per la Mavi Marmara si è invece trasformato in uno scontro tra soldati e attivisti. Il bilancio è stato di nove vittime tra questi ultimi e dieci feriti tra i militari. Le versioni sono discordanti: secondo l’esercito israeliano, gli attivisti della Mavi Marmara si sarebbero organizzati in gruppi con spranghe, bastoni e coltelli e avrebbero attaccato i soldati – che, stando a quanto da loro dichiarato, avrebbero solo voluto convincere le persone a gettare le “armi” - al loro arrivo a bordo. Stando a quanto raccontato da alcuni attivisti, invece, i soldati si sarebbero calati sul ponte lanciando lacrimogeni e in seguito avrebbero aperto il fuoco, causando la morte di nove persone. Alcune immagini riprese dalle telecamere della nave e mostrate dall’esercito israeliano vedono gli attivisti intenti ad aggredire i commando, mentre le testimonianze degli attivisti non possono essere comprovate da immagini e video: i militari, una volta a bordo, avrebbero sequestrato tutte le schede di memoria in loro possesso.

In seguito agli eventi, le relazioni tra Israele e Turchia si sono lentamente sgretolate. I rapporti diplomatici sono stati interrotti del tutto lo scorso settembre, dopo le mancate scuse del premier israeliano alla sua controparte turca. Le commissioni d’inchiesta organizzate per l’accaduto hanno sollevato polemiche e critiche. Molto controverso è il rapporto della Commissione delle Nazioni Unite, presieduta dall’ex premier neozelandese Geoffrey Palmer e pubblicato nel settembre scorso, cheha scagionato Tel Aviv dalle accuse giustificando l’arrembaggio come legittima difesa. Numerose organizzazioni non governative, attivisti e una parte dell’opinione pubblica ha accolto il rapporto con aspre critiche in quanto, di fatto, legalizza il blocco israeliano di Gaza. Il rapporto va ad aggiungersi a una serie di sentenze, tra cui l’ultima della Corte Penale Internazionale dell’aprile scorso, destinate a legalizzare l’occupazione della Striscia: secondo il tribunale internazionale, infatti, i crimini commessi a Gaza da parte di Israele nell’operazione Piombo Fuso non potranno essere giudicati, in quanto la Palestina “non esiste”. Nena News.

Nena News

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