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Un cambiamento di paradigma: l’unica via d’uscita

(12 Giugno 2012)

Traduzione di Raffaella Accroglianò (in asud.net)

mano color

Gli sforzi per realizzare uno sviluppo sostenibile sono falliti soprattutto perché non è stato modificato il paradigma economico predominante e il capitalismo sfrenato è lontano da qualsiasi modello sostenibile. È compito dello Stato farsi il principale promotore della sostenibilità, fomentando un’ampia alleanza con la società civile e il mondo degli affari per promuovere con decisione un modello di sviluppo realizzabile.




La difficoltà nel raggiungere le mete dello sviluppo e del benessere umano ha le radici nel fallimento del paradigma economico dominante, cosa che ci presenta il problema di cambiare il capitalismo da dentro o da fuori. La nostra risposta è che il cambiamento deve avvenire da dentro. Le crisi economiche ricorrenti hanno evidenziato la debolezza dei principi sui quali si appoggia il modello neoliberista. Ciò nonostante, i suoi principi continuano a imporsi come l’unica strada per lo sviluppo.


Negli ultimi due decenni l’economia mondiale è stata colpita da crisi reiterate con un denominatore comune: la speculazione nei mercati finanziari che porta a investimenti in strumenti speculativi e ad alto rischio. Alla lunga, le eccedenze del capitale e le norme poco rigorose hanno generato bolle e un surriscaldamento dell’economia che hanno condotto alla crisi.

La distanza tra il discorso e i fatti


Dalla pubblicazione del Rapporto della Commissione Mondiale sull’Ambiente e lo Sviluppo (Commissione Brundtland) nel 1987, il termine “sviluppo sostenibile” si è convertito in un punto di riferimento per la comunità internazionale. Avendo come precedente la Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente Umano del 1972 e il

Rapporto della Commissione Indipendente sui Problemi Internazionali dello Sviluppo (Commissione Brandt), la Commissione Brundtland definì lo sviluppo sostenibile come “quello che garantisce le necessità del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future nel soddisfare le proprie necessità”.


La promozione del concetto di “sviluppo sostenibile” si raggiunse in occasione del Vertice della Terra del 1992, con l’adozione della Dichiarazione di Rio sull’Ambiente e lo Sviluppo e dell’Agenda 21. In questi due documenti, i paesi firmatari si compromisero a conseguire la crescita economica legandosi a direttrici per lo sviluppo sostenibile. In seguito, nell’ambito del Consiglio Economico e Sociale dell’ONU, si stabilì la Commissione sullo Sviluppo Sostenibile come organismo incaricato di seguire gli accordi.


Il concetto di sostenibilità esplora la relazione tra lo sviluppo economico, la qualità ambientale e l’equità sociale. Include una prospettiva di lungo periodo e un punto di vista integrale dell’azione, che riconosce la necessità della partecipazione di tutte le persone al processo. D’accordo con la Commissione Brundtland: “lo sviluppo sostenibile è un processo dinamico di cambiamento in cui lo sfruttamento delle risorse, il destino degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e il cambiamento istituzionale si realizza considerando le necessità del futuro oltre che quelle del presente”.


Ciò nonostante, nel fare un bilancio dei progressi del paradigma si constata un grande distanza tra il discorso e le azioni. La rilettura dei documenti emanati dai diversi

Vertici delle Nazioni Unite dedicati allo sviluppo rendono conto che dal Vertice di Rio, il discorso a favore dello sviluppo sostenibile è stato accompagnato da nozioni come quella di sviluppo umano e sicurezza umana.


Ciò non significa che la nozione si sia rafforzata e che sia diventata una priorità nelle agende internazionali. Al contrario, la promozione di questo paradigma ha subito seri alti e bassi come risultato di diversi fattori, che vanno dalla differenza di percezione delle priorità e del finanziamento tra Nord e Sud, passando per la riduzione al “minimo accettabile da tutti” delle mete, fino ad arrivare alla preminenza dell’agenda di sicurezza tradizionale a partire dagli attacchi terroristici dell’11 settembre a Washington e New York.


Allo stesso tempo, i paesi sviluppati hanno lasciato da parte la nozione di “sostenibile”per favorire la loro crescita economica e mantenere gli standard di consumo eccessivo delle loro popolazioni. Mentre nei paesi in via di sviluppo, la cura dell’ambiente non è stata necessariamente una priorità, ha anche prevalso la logica del cercare prima la crescita e dopo lo sviluppo. Così, nonostante che nell’ambito delle Nazioni Unite, gli Stati si siano espressi a favore dello sviluppo sostenibile, non c’è stata la volontà politica di portare avanti un programma integrale che permettesse di realizzarlo in tutto il pianeta.


Di contro, l’ampiezza, la multidimensionalità e le ripercussioni in materia economica, sociale e ambientale del paradigma dello sviluppo sostenibile, sono ancora lontani dall’essere compresi, sia da parte di coloro che prendono le decisioni come dalla popolazione in generale. Anche se dalle Nazioni unite si è insistito sui tre pilastri del processo e diverse ONG lavorano per promuovere il suo carattere multidimensionale, l’idea della sostenibilità è stata associata fondamentalmente con la protezione dell’ambiente. Questa prospettiva ha avuto negli ultimi anni un nuovo impulso dovuto ai disastri naturali, al riscaldamento globale e alle sfide della transizione energetica. Così, per esempio, il tema dell’economia verde si è posizionato tra le priorità dell’agenda dello sviluppo sostenibile.


È necessario includere queste circostanze nell’ambito del sistema internazionale che ha incorporato i postulati neoliberisti come paradigmi per lo sviluppo. In accordo con questa visione, la democrazia elettorale e la libertà dei mercati avrebbero insite in loro stesse il desiderato benessere; motivo per il quale gli Stati dovevano retrocedere dalle loro funzioni e lasciare attuare le forze del mercato. Questo modello ha mostrato i propri limiti molto presto, grazie alle ricorrenti crisi economiche e all’ampliarsi delle divisioni sociali che hanno messo la globalizzazione di fronte ad una vera e propria crisi etica.

Da Rio alla Dichiarazione del Millennio: buone intenzioni, poveri risultati


I precedenti del movimento a favore dello sviluppo sostenibile e del mettere la persona al centro degli sforzi di sviluppo, risalgono alla decade degli anni settanta e ottanta del secolo passato, con la creazione delle Commissioni Indipendenti sulle Questioni Internazionali dello Sviluppo (Commissione Brandt), del Disarmo e Sicurezza (Commissione Palme) e della già menzionata Commissione Brundtland.


Fu nella prima metà della decade degli anni’90, quando i temi dello sviluppo acquisirono particolare rilevanza, cosa che si rifletté nei vari Vertici realizzati e nella nascita dei concetti di sviluppo umano e sicurezza umana, intimamente vincolati con l’idea dello sviluppo sostenibile. La fine della Guerra Fredda permise di ampliare l’agenda internazionale e di incorporare i cosiddetti “nuovi temi” che si estesero sia all’agenda dello sviluppo sia a quella della sicurezza.


In realtà si trattava di fenomeni che esistevano già da decenni, ma la disputa ideologica bipolare li aveva relegati in secondo piano. Dalla prospettiva del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP), la breccia tra Nord e Sud era aumentata a causa del paradigma che aveva pensato che la crescita economica avrebbe portato automaticamente più benefici per la società e che preferì gli aggiustamenti strutturali al tema dello sviluppo [1]. In questo modo dalle Nazioni Unite ebbe impulso una nuova agenda per lo sviluppo che aveva l’obiettivo di confrontare le grandi disuguaglianze che si riflettevano, ad esempio, nella crisi umanitaria in Africa e il retaggio della “decade persa” in America Latina. La cosa curiosa è che, nonostante queste critiche, il modello neoliberista divenne ancora più forte e fu proprio in seno a tale modello che si pretese di dare impulso al paradigma dello sviluppo sostenibile.


Nel 1990 sono state realizzate la Conferenza Mondiale sull’Educazione per Tutti e la Seconda Conferenza delle Nazioni Unite sui Paesi Meno Sviluppati. Quello stesso anno, con un gruppo di specialisti come Mahbub ul Haq e Amartya Sen, l’UNDP propose un concetto alternativo: il punto di vista dello sviluppo umano, che si definisce come un processo di ampliamento delle possibilità delle persone e di miglioramento delle capacità umane (la diversità delle cose che le persone possono essere o fare nella vita) e le libertà, affinché le persone possano vivere un vita lunga e sana, avere accesso alla conoscenza e a un livello di vita dignitoso, e partecipare alla vita della propria comunità e nelle decisioni che incidono sulla loro vita [2].


Il concetto di sviluppo sostenibile ebbe una spinta definitiva nel 1992 con la Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo (CNUMAD) a Rio de Janeiro. Il Vertice, al quale parteciparono 108 Capi di Stato ebbe come risultato l’adozione di tre documenti generali (la Dichiarazione di Rio, l’Agenda 21 e la Dichiarazione sulle Foreste); la creazione della Commissione delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile, e la firma della Convenzione sul Cambiamento Climatico, la diversità biologica e la desertificazione.


La Dichiarazione di Rio include 27 principi per le azioni relative allo sviluppo sostenibile, che toccano temi di grande importanza come le politiche della prevenzione, le responsabilità comuni ma differenziate e il principio che “chi contamina paga”. Ugualmente l’inclusione, per la prima volta, del principio del diritto allo sviluppo (Principio 3) significò l’affermazione, per la prima volta, di questo diritto in uno strumento internazionale approvato per consenso. Dal canto loro, i 40 capitoli dell’Agenda 21 offrono un ampio quadro per ottenere la transizione allo sviluppo sostenibile e misurare gli avanzamenti verso la meta [3].


Va' segnalato che uno degli aspetti più importanti della Conferenza fu la decisione di promuovere un movimento sociale, con un ampio consenso, a favore di questo modello. Il Vertice fu pensato al fine di avere un grande impatto sulle istituzioni internazionali, i governi nazionali e locali, il settore privato e la società civile organizzata in giro per il mondo. In questo modo la CNUMAD fu la prima conferenza internazionale che permise pieno accesso a una quantità di organizzazioni sociali e contribuì allo sviluppo di un vertice indipendente [4].


Continuando con la tendenza a mettere le persone al centro dello sviluppo, nel suo Rapporto sullo Sviluppo Umano del 1994, il Programma di Sviluppo dell’ONU propose una nuova visione della sicurezza che sfida la prospettiva tradizionale centrata negli Stati e nella componente militare. La sicurezza umana significa essere liberi dalle costanti minacce della fame, delle malattie, […] e la repressione […e] protezione nei confronti di perturbazioni improvvise e pregiudizievoli per le nostre vite quotidiane [5]. Il concetto si fonda sulla logica dello sviluppo umano e comprende la sicurezza economica, politica, alimentare, sanitaria, ambientale, personale e comunitaria.


Quello stesso anno si realizzò a Bridgetown, Barbados, la Conferenza sullo Sviluppo Sostenibile dei Piccoli Stati Insulari in Via di Sviluppo (PEID). Fu la prima conferenza che trasformò l’Agenda 21 in un piano d’azione per un gruppo di paesi. Il Programma d’Azione delle Barbados (BPoA, in inglese) e la Dichiarazione delle Barbados stabilirono le azioni e le misure specifiche che avrebbero dovuto realizzarsi a livello nazionale, regionale e internazionale per appoggiare lo sviluppo sostenibile dei paesi del PEID [6].


In questo modo, nei primi anni’90 in seno alle Nazioni Unite emerse un movimento per lo sviluppo centrato sul benessere e la dignità delle persone. L’interesse della comunità per questi temi si rifletté nella realizzazione di varie riunioni internazionali dedicate all’alimentazione (Conferenza Internazionale sulla Nutrizione nel 1992 e il Vertice Mondiale sull’Alimentazione nel 1996), diritti umani (Conferenza Mondiale sui Diritti Umani nel 1993), popolazione (Conferenza Internazionale sulla Popolazione e Sviluppo nel 1994 e CIPD+5 nel 1999), insediamenti umani (Seconda Conferenza dell’ONU sugli Insediamenti Umani o Habitat II nel 1996) e l’uguaglianza di genere (Quarta Conferenza Mondiale sulla Donna Beijing nel 1995 e Beijijng + 5 nel 2000).


Tra gli aspetti evidenziati dalle Dichiarazioni e dai Piani d’Azione che furono prodotti da questi incontri, spiccano: a) l’insistenza nel collocare le persone al centro del processo di sviluppo; b) la necessità di dare impulso a un programma integrale per soddisfare le necessità umane di base; c) l’impegno di ridurre le disuguaglianze e facilitare modi di vita sostenibili; e d) la promozione della sostenibilità ambientale, specialmente nei vertici sulla popolazione e sugli insediamenti umani.
In questo senso, per esempio, la Dichiarazione emanata dal Vertice di Copenhagen sullo Sviluppo Sociale riconosce che: “lo sviluppo economico, lo sviluppo sociale e la protezione dell’ambiente sono componenti interdipendenti dello sviluppo sostenibile e si rafforzano mutuamente, cosa che costituisce la cornice dei nostri sforzi tendenti a ottenere una migliore qualità della vita per tutte le persone” [7].


Nel 1997, in adempimento dell’accordo raggiunto con il Vertice di Rio, si celebrò a New York il periodo di sessioni straordinarie dell’Assemblea Generale dell’ONU (Vertice della Terra + 5) [8]. L’obiettivo era valutare i progressi del Vertice di Rio e fissare delle priorità per il futuro. Sulla base dei rapporti preparati per il periodo delle sessioni, i governi riconobbero che l’ambiente globale aveva continuato a deteriorarsi, le fonti rinnovabili si continuavano a utilizzare a un ritmo chiaramente insostenibile, la quantità di persone che vivevano in povertà era aumentata e il divario tra i ricchi e i poveri si era allargato, sia all’interno dei paesi come tra questi.
Inoltre le differenze tra Nord e Sud influenzarono le discussioni. Non si rispettarono gli accordi – che i paesi donatori si erano assunti a Rio – di incrementare l’aiuto ufficiale allo sviluppo (AOD) e trasferire tecnologie ecologicamente razionali. Piuttosto, la AOD era diminuita di una media del 0,34% del PIL dei paesi donatori nel 1991 a un 0,27% nel 1995 [9].


Come conseguenza di queste divisioni, il documento finale della sessione (Piano per l’Esecuzione Ulteriore dell’Agenda 21) incluse una quantità minima di nuovi impegni per l’azione. Anche se non vennero presi degli impegni finanziari concreti, i governi si accordarono su una dichiarazione generale che manifestava che i paesi sviluppati avrebbero dovuto adempiere agli impegni presi a Rio in relazione all’AOD e che si sarebbero dovuti “intensificare gli sforzi” per invertire la tendenza discendente dal 1992 [10].


Alla fine degli anni ’90, la crisi etica della globalizzazione economica neoliberista risultò evidente. Le disuguaglianze sociali sempre maggiori, tanto tra Nord e Sud come all’interno dei paesi, l’indebolimento dello Stato come garante del bene comune e la reiterazione delle crisi economiche si convertirono nel nuovo Leviatano.
Insieme alle crisi arrivarono i movimenti di giustizia sociale che sostenevano “un altro mondo è possibile”. Le loro prime grandi manifestazioni pubbliche ebbero luogo nella città di Seattle, nell’ambito del Millenium Round dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) nel novembre 1999. A partire da questo momento, tutti i Vertici che riunirono le grandi potenze economiche mondiali, così come le istituzioni finanziarie internazionali, si convertirono nell’obiettivo delle manifestazioni del movimento. La sua presenza ai vertici internazionali, come quello di Bangkok e il Vertice del G-7 a Okinawa nel 2000, fece conoscere il movimento per la giustizia sociale come nuovo attore, in uno scenario internazionale nuovo e complesso.


Nel 2000 le 189 nazioni riunite nel Vertice del Millennio, fecero reiterate dichiarazioni sulla disuguaglianza mondiale, la povertà, la salute e l’alimentazione. Menzionarono anche temi fondamentali come la riforma dell’ONU, la lotta contro l’HIV/AIDS, l’educazione, la protezione dell’ambiente, la sicurezza internazionale e, concretamente, le guerre tra etnie in Africa. La dichiarazione finale del Vertice esprimeva la crisi etica della politica internazionale e l’economia del nuovo millennio. Secondo la Dichiarazione del Millennio, i leader mondiali non erano prodighi di tentativi per liberare l’umanità dalla guerra, la povertà estrema, la minaccia di disastro ambientale e nel promuovere la democrazia e lo Stato di Diritto.


In teoria gli otto Obiettivi di Sviluppo del Millennio (ODM) e i loro 21 traguardi obbediscono alla logica di fomentare lo sviluppo umano. Nei fatti, i traguardi furono ridotti a quelli “minimi accettabili da tutti”. È il caso della riduzione della povertà in base al guadagno, considerando che, secondo gli ODM, una persona non è più povera se vive con 1,25 dollari americani al giorno; o dell’educazione, visto che gli ODM limitano il traguardo considerando solamente l’educazione primaria.


Il settimo ODM è “garantire la sostenibilità ambientale”. Eppure l’incorporazione dei principi dello sviluppo sostenibile nelle politiche e nei programmi nazionali e la riduzione della perdita delle risorse ambientali (traguardo /A) sono impegni che erano già stati stabiliti nel Vertice della Terra del 1992. Ugualmente il traguardo 7B, che tra le altre cose si riferisce alla perdita della biodiversità biologica, la deforestazione e l’emissione di ossido di carbonio, non stabilì degli impegni concreti sui livelli di riduzione.


Da Johannesgurg a Rio+20: tra la Guerra al Terrorismo e calamità ambientale


Nel 2001 fu realizzato a Porto Alegre, Brasile, il primo Foro Sociale Mondiale, che riunì il movimento mondiale per la giustizia sociale. Si trattò di un esercizio parallelo al foro “Per la costruzione cittadina del mondo” di Parigi. In entrambi i casi, l’obiettivo era analizzare la situazione attuale e proporre alternative alle forme predominanti [11]. La società civile ha contribuito in modo determinate alla promozione dello sviluppo sostenibile. Lo scambio d’idee e conoscenze permette di unire gli sforzi a livello internazionale, mentre questi movimenti stimolano cambiamenti a partire dal livello locale attraverso il lavoro diretto con le persone.


Gli attacchi terroristici dell’11 settembre del 2001 a Washington e New York segnarono il ritorno della realpolitik nell’agenda internazionale. La lotta contro il terrorismo si convertì in una priorità, non solo negli Stati Uniti, ma anche in tutte le agende internazionali, oscurando l’agenda dello sviluppo.


Il mondo si polarizzò a partire dalla logica del “con me o contro di me” dell’amministrazione di George Bush. Gli Stati Uniti riconfigurarono il loro sistema di sicurezza e difesa e, con l’appoggio delle Nazioni Unite, intrapresero la guerra contro l’Afghanistan. In questo modo, alla crisi etica della globalizzazione neoliberista si unì la crisi congiunturale della sicurezza [12].


Un anno dopo si celebrò a Monterrey, Messico, la Conferenza Internazionale sul Finanziamento allo Sviluppo. Il Consiglio di Monterrey chiese ai paesi sviluppati di adottare misure concrete al fine di canalizzare lo 0,7% del loro PIL come AOD per i paesi in sviluppo, e di destinare tra lo 0,15 e lo 0,20% del loro PIL ai paesi meno avanzati. Questi obiettivi furono riaffermati nella Terza Conferenza delle Nazioni Unite sui Paesi Meno Avanzati. Il documento non stabiliva obiettivi chiari per quanto riguarda la quantità di risorse che avrebbero dovuto essere utilizzate per poter fomentare lo sviluppo attraverso l’investimento straniero diretto o attraverso altri flussi di capitali privati [13].


D’altro canto, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite riconobbe che gli avanzamenti in materia di sviluppo sostenibile durante la decade degli anni ’90 era stata deludente. La povertà e l’esclusione sociale aumentarono insieme con il degrado dell’ambiente. Per questo motivo, oltre a fare il suo abituale bilancio dei progressi dell’Agenda 21, il Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile (Rio+10) celebrato a Johannesburg fu pensato come un “vertice incentrato sull’applicazione delle misure”.


Ciò nonostante, fu un’altra volta impossibile raggiungere degli accordi concreti sui nuovi trattati né fu possibile rinegoziare l’Agenda 21. Si stabilirono alcune mete, come, ad esempio, ridurre della metà il numero delle persone che non hanno accesso ai servizi di base di bonifica per il 2012 e ottenere una riduzione importante della perdita della biodiversità entro il 2010. Nel mentre, le tematiche relative agli AOD e al trasferimento di tecnologie da Nord a Sud continuarono a generare grandi divisioni tra i paesi.


Quell’anno al Vertice del Gruppo dei Otto (G8) a Gleneagles, Scozia, i paesi più sviluppati del mondo si impegnarono ad aumentare i fondi per l’AOD da 80 mila milioni di USD nel 2004 a 130 mila milioni (a prezzo costante del 2004) per il 2010, un equivalente di 0,36% del prodotto nazionale lordo combinato.


I chiaroscuri si convertirono in una costante nelle riunioni dedicate ai temi dello sviluppo, mentre si privilegiava l’agenda tradizionale sulla sicurezza unita ai problemi di terrorismo e organizzazioni criminali internazionali, specialmente a causa dell’acuirsi della guerra in Afghanistan e della disastrosa guerra in Iraq. In questo scenario le diverse crisi del sistema cominciarono a confluire.


Da una lato la crisi ecologica cominciò a essere sempre più evidente con l’aumento dei disastri naturali e dei conflitti per le risorse, come quello del Darfur, tutti frutto del riscaldamento globale. Nel 2007, per iniziativa della Gran Bretagna, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite discusse la questione, che acquisì una notevole importanza essendo irrimediabilmente associata ai problemi di sicurezza a tutti i livelli. A ciò va aggiunta la sfida della transizione energetica – dall’esaurimento dei combustibili fossili fino alla necessità di incrementare i combustibili alternativi per non continuare a danneggiare l’ambiente – la crisi alimentare, vincolata non solo all’accesso agli alimenti ma anche alla loro qualità e ai loro prezzi, che a livello mondiale aumentarono considerevolmente a partire del 2005.


Assistiamo, infine, a quella che è considerata come la peggiore crisi economica dalla Grande Depressione del 1929. La crisi attuale ha avuto origine nel cuore del capitalismo con la bolla delle ipoteche e il collasso delle istituzioni finanziarie, tanto emblematica come quella di Lehman Brothers. Molto presto la crisi si è espansa in tutto il mondo, così come le sue ripercussioni sociali. Tuttavia, dato che ha avuto origine direttamente nel centro dell’economia mondiale, essa ha generato un’importante riflessione sulla necessità di ridefinire la relazione tra lo Stato e il mercato, così come di regolare l’economia. In effetti, contrariamente alle crisi economiche dei decenni precedenti, questa volta l’esplodere della crisi e le risposte davanti alle sfide della stessa si trovano nuovamente nello Stato.


È giusto segnalare che, oltre che mettere a rischio la realizzazione degli Obiettivi del Millennio, gettando milioni di persone nella povertà e nella disoccupazione, la crisi economica ha colpito la già pregiudicata cifra dell’AOD. Nel 2009 la quantità destinata per l’AOD dai 23 membri del Comitato di Aiuto allo Sviluppo dell’OCDE era di 120 mila milioni di USD, cosa che significava una diminuzione del 2,2% nominale in relazione al 2005. Di conseguenza, il deficit per il 2010, in relazione all’obiettivo di Gleneagles, è stato di 18 mila milioni. Soltanto cinque paesi (Danimarca, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi e Svezia) mantengono una proporzione dell’AOD rispetto al reddito nazionale lordo che supera l’obiettivo dell’aiuto dell’ONU dello 0,7%.

Conclusioni


La mancanza di etica dell’economia internazionale, particolarmente dei mercati finanziari, si nutre contemporaneamente dell’assenza di norme e regolamenti, che a loro volta danno impulso alla speculazione. Il modello neoliberista favorisce la ricerca di introiti facili e rapidi. Questa situazione è anche alla radice della differenti crisi economiche, della disuguale distribuzione della ricchezza e dell’aumento del numero di persone che vivono in estrema povertà.


Il modello socioeconomico predominante nel mondo ha ridotto la loro visione sullo sviluppo umano, che certamente era più ricca all’inizio, col Rapporto Brundtland e gli obiettivi del Vertice della Terra. Oggi questa visione si è ridotta a un minimo che è più una scusa morale che una reale volontà di risolvere il problema.


Per questo, i progressi nell’agenda dello sviluppo sostenibile sono stati graduali e limitati. Dipendono direttamente dalla volontà politica degli Stati, non solamente per fare accordi su obiettivi, risorse e cronogrammi, ma anche per la loro esecuzione, valutazione e monitoraggio. I paesi sviluppati puntano a obiettivi e mete minime, mentre evitano di stabilire obiettivi, mete e impegni più concreti e ambiziosi.


La crescita economica e la stabilità monetaria non equivalgono da sole a minore povertà. Finché non si risolvono i problemi strutturali della distribuzione non equa delle entrate e della ricchezza, sarà molto difficile progredire nella lotta contro la fame e la riduzione della povertà, e si riduce la capacità di realizzare gli Obiettivi del Millennio o qualsiasi altra cosa. Deve precisarsi che, oltre ad essere imprescindibile aumentare l’AOD, se veramente vogliamo ridurre le disuguaglianze attuali abbiamo bisogno di indicatori più precisi per misurare la povertà nel mondo. Il problema è che tutto il sistema di monitoraggio e gli indicatori sono parte dell’attuale paradigma di crescita economica e risponde dunque alle sue logiche.


La comunità liberale alla quale ha aderito il mondo attuale, e la sua visione dell’economia mondiale, ha generato una narrativa nella quale le persone interpretano il loro intorno e danno un senso alle loro condizioni di vita particolari e sociali. Per questo è importante modificare questa narrativa che permette che i leader mondiali, capi di Stato o di governo, riformulino la loro interpretazione della realtà e, per tanto, la forma nel disegnare e valutare le politiche pubbliche.


Per questo motivo il cambiamento di paradigma deve essere accompagnato da un rinnovato quadro discorsivo-concettuale e dallo sviluppo di nuovi indicatori per misurare il benessere sociale. Qualsiasi calcolo dei progressi in materia di sviluppo e benessere sociale deve andare oltre la metodologia chiusa in una versione economico-monetarista che riduce i fenomeni complessi e multidimensionali come la povertà, a una costruzione concettuale stretta dalla quale si derivano indicatori minimi. Per questo deve continuare la discussione sulla definizione di nuovi obiettivi di sviluppo, che vadano oltre le categorie di crescita economica. Si ha bisogno di un nuovo insieme di indicatori di povertà e di altri problemi, che significhino una profonda ridefinizione della società internazionale, dello Stato e della stessa umanità.


La crisi attuale che sta attraversando il sistema internazionale nel suo insieme apre la possibilità di ripensare la relazione tra lo Stato e il mercato e il paradigma neoliberista che ha predominato per vari decenni. Come evidenziò il Rapporto Brundtland: “come ultima istanza, lo sviluppo sostenibile dipenderà dalla volontà politica dei governi che devono prendere decisioni critiche in materia economica, ambientale e sociale”. www.ecoportal.net

Alejandro Chanona - Gruppo di Riflessione sulle Prospettive Globali di Sviluppo – Universidad Nacional Autónoma de México (UNAM) – http://www.socialwatch.org/es


Riferimenti:
[1] Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP), “Orígenes del enfoque de Desarrollo Humano”, hdr.undp.org/es/desarrollohumano/origenes.

[2] Ibid.

[3] Cfr. Nazioni Unite, “Rio Declaration on Environment and Development: application and implementation Report of the Secretary-General”, (E/CN.17/1997/8), Commissione dello Sviluppo Sostenibile, Quinta Sessione, (7-25 aprile del 1997).

[4] Il vertice permise l’accesso totale a un’ampia gamma di organizzazioni non governative e favorì lo sviluppo di un Vertice della Terra, indipendente, in un luogo vicino. Cfr. Robert W. Kates, Thomas M. Parris, and Anthony A. Leiserowitz, “What is sustainable development?, Goals, Indicators, Values and Practice”, Environment: Science and Policy for Sustainable Development, vol. 47, n.3, 2005.

[5] UNDP, “Nuove dimensioni della sicurezza umana”, Rapporto sullo Sviluppo Umano, 1994.

[6] Entrambi i documenti enumeravano quindici aree prioritarie per l’azione: cambiamento climatico e elevamento del livello dei mari; disastri naturali e ambientali; gestione dei rifiuti; risorse marine e costiere; acqua dolce; risorse terrestri; energia; turismo; biodiversità; istituzioni nazionali e capacità amministrativa; istituzioni regionali e cooperazione tecnica; trasporti e comunicazioni; scienza e tecnologia; sviluppo delle risorse umane; e realizzazione, monitoraggio e analisi. Cfr. UNESCO, Intersectoral Platform for Small Island Developing States, From Barbados to Mauritius, portal.unesco.org/

[7] Dichiarazione di Copenaghen sullo Sviluppo Sociale, adottata nel Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sociale, Copenaghen, 1995, www.un.org/documents/

[8] Assemblea Generale dell’ONU, Piano per l’Ulteriore Esecuzione dell’Agenda 21, adottato nel periodo di sessioni speciali dell'Assemblea Generale, Vertice per la Terra + 5 (New York: 19 settembre 1997).

[9] Dipartimento dell’Informazione Pubblica dell’ONU, Earth Summit Review Ends with Few Commitments (Il Vertice per la Terra termina con pochi impegni), comunicato stampa, (New York: 27 giugno 1997).

[10] Idem

[11] Attraverso il Foro Mondiale Sociale il movimento per la giustizia sociale ha ottenuto una definizione delle mete del suo attivismo traducendolo nel “modello di una società alternativa”, i cui fondamenti sono: il rispetto della dignità di ogni essere umano; la difesa del patrimonio comune dell’umanità; la promozione della democrazia; la sostenibilità ambientale; l’esercizio della non violenza; il rispetto per l’identità e la diversità; il mettere l’economia al servizio degli esseri umani; la difesa del diritto alla cultura; la solidarietà tra i popoli e le persone; e la creazione di strutture sociali che permettano di vivere in condizioni di libertà, uguaglianza e fraternità. “Carta dei Principi del Foro Mondiale Sociale” in Foro Sociale Mondiale, (8 giugno 2002), www.forumsocialmundial.org.br

[12] Alejandro Chanona, “El sistema internacional: viejos dilemas y nuevos retos. La crisis de septiembre de Estados Unidos y su gran oportunidad”, in J.L. Valdés-Ugalde, D. Valadés, comps., “Globalidad y Conflicto. Estados Unidos y la crisis de septiembre”, Editorial UNAM, CISAN, IIJ, (Città del Messico, 2002), pp. 65-73.

[13] Organizzazione delle Nazioni Unite, Progetto di documento finale della Conferenza Internazionale sul Finanziamento per lo Sviluppo, Conferenza Internazionale sul Finanziamento per lo Sviluppo, (Monterrey, Messico: 18-22 marzo 2002), www.un.org/spanish/

Alejandro Chanona

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