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    Rio 20 anni dopo, il pianeta è più malato

    (16 Giugno 2012)

    15 giugno 2012

    Summit di Rio, tutto è cambiato. La conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo che si concluderà nella città brasiliana mercoledì prossimo, 22 giugno, sarà molto diversa da quella che si concluse nel giugno 1992.
    È cambiato l’ambiente. E sono cambiati i parametri dello sviluppo: o meglio, della crescita economica. I cambiamenti sono (quasi) tutti avvenuti in peggio. E questo a Rio, venti anni fa, nessuno se lo aspettava. Malgrado la Convenzione sui Cambiamenti Climatici, elaborata a Rio venti anni fa, è peggiorato il quadro dei fattori antropici che influenzano il clima. Nel 1992 la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera era pari a circa 360 parti per milione (ppm), oggi sfiora le 400 ppm. In questi 20 anni, invece di stabilizzarsi, le emissioni di gas serra sono aumentate del 45%.
    Malgrado la Convenzione sulla Diversità Biologica, elaborata a Rio venti anni fa, il numero di specie che scompaiono ogni anno sul pianeta aumenta. E a velocità accelerata. Ormai, come sostiene l’ International Union for Conservation of Nature (Iucn) sono a rischio di estinzione il 30% degli anfibi, il 25% dei mammiferi e il 21% degli uccelli.
    Malgrado la Convenzione contro la Desertificazione, elaborata a Rio venti anni fa, i deserti continuano ad avanzare. E non c’è alcun’attività coordinata di contrasto.
    Non solo i Paesi del mondo non hanno ottemperato agli impegni assunti con l’Agenda 21, ma continuano a finanziare le attività inquinanti. Ogni anno, secondo la rivista scientifica Nature, il mondo invece di disincentivare l’uso dei combustibili fossili lo incentiva con sussidi che ammontano alla stratosferica cifra di 650 miliardi di dollari. Mentre con altri 300 miliardi di dollari incentivano l’agricoltura e la pesca non sostenibili. In pratica, non solo non ottempera agli impegni di Rio ma, ogni anno, con 1.000 miliardi di dollari il mondo finanzia le attività che tradiscono lo spirito e la lettera di Rio.
    In breve, 20 anni dopo Rio il mondo è ecologicamente meno sostenibile.
    Anche la produzione di ricchezza è cresciuta. In venti anni, in valore assoluto, il Prodotto interno lordo del mondo è pressoché raddoppiato. Nuove economie emergenti non solo si sono affacciate sulla scena, ma hanno assunto una posizione tendenzialmente dominante. Centinaia di milioni di persone, in questi Paesi, sono uscite dalla povertà e hanno raggiunto condizioni di relativo benessere. Ma altri miliardi di persone in tutto il mondo sono in condizioni di estremo disagio. E la disuguaglianza è aumentata, invece di diminuire.
    In breve, 20 anni dopo Rio il mondo è socialmente meno sostenibile.
    Questa sensazione di peggioramento delle condizioni – accentuata in Europa da una crisi finanziaria ed economica che dura da quattro anni – si avverte anche nell’aria: a Rio, venti anni dopo, c’è meno entusiasmo.
    Tuttavia non si riparte da zero. E non mancano neppure gli esempi positivi. In fondo, nell’ambito dei negoziati sui cambiamenti del clima, ci sono almeno due fatti, magari piccoli, ma di segno positivo. Il protocollo di Kyoto, tutto sommato, ha funzionato. Alla fine di quest’anno i Paesi di antica industrializzazione che lo hanno firmato raggiungeranno il risultato di una riduzione, media, del 5% nelle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990. E, inoltre, tutti gli altri – compresi Stati Uniti, Cina, India, Brasile e Sud Africa – si sono impegnati, lo scorso anno a chiudere entro il 2015 un negoziato globale vincolante. Non è moltissimo. Non è quanto chiedono gli scienziati. Ma non è neppure poco.
    Ecco un primo obiettivo, minimo ma non inutile, che può essere raggiunto tra una settimana a Rio + 20: rafforzare questo accordo. Impegnare solennemente tutti davanti all’opinione pubblica mondiale.
    Anche in tema di conservazione della diversità biologica non sono davvero molti i passi avanti. Tuttavia non mancano i buoni esempi. Il principale riguarda proprio il Paese ospite, il Brasile. Dal 2004 a oggi il taglio degli alberi nella foresta amazzonica è diminuito del 78%. Una diminuzione del tasso di deforestazione, voluto dall’ex presidente Lula, che molti ritenevano impossibile.
    Il successo conseguito dal Brasile è significativo. Intanto perché l’Amazzonia svolge un ruolo decisivo sia nei cambiamenti climatici – è il maggiore polmone verde del pianeta – sia nella conservazione della biodiversità: è il maggiore hot spot di diversità biologica del pianeta. E poi perché è stato conseguito da uno dei Paesi a economia emergente che si accinge a giocare un ruolo geopolitico sempre più importante. Quello brasiliano è un buon esempio.
    Questo successo carioca indica che la sostenibilità ecologica non è affatto un lusso, non impedisce affatto ai Paesi di nuova industrializzazione di aumentare la propria ricchezza.
    Un altro esempio piccolo ma positivo è quello della Corea del Sud. Negli ultimi venti anni il Paese asiatico ha fatto registrare una crescita economica seconda solo a quella della Cina. Ma ha anche fatto registrare una sensibile diminuzione dell’indice di Gini e dunque della disuguaglianza sociale. Inoltre la Corea è diventa una dei leader mondiali della «green economy».
    Insieme Brasile e Corea dimostrano che quella di Rio 1992 – raggiungere la sostenibilità ecologica e sociale – non è un’utopia. Ma un obiettivo ragionevole.

    Pietro Greco - l'Unità

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