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(29 Gennaio 2011) Enzo Apicella
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Presidenziali egiziane: il gioco del rinvio

(22 Giugno 2012)

scrutin

Nessun annuncio giovedì, probabilmente non giungeranno dati certi neppure domenica. Il risultato delle presidenziali viene rinviato sine die con l’alibi del riconteggio delle schede motivato dalle accuse di brogli che i candidati si sono scambiati reciprocamente. E’ stato più che altro Shafiq a insistere sull’ipotesi, attuando quasi una scusante non richiesta perché al primo turno proprio lui era stato al centro delle denunce presentate da Sabbahi. Il socialista puntava il dito sul voto che l’ex generale aveva ricevuto di nascosto da tanti militari, che per legge non possono recarsi alle urne. Come in un disegno preordinato ora il Consiglio Supremo delle Forze Armate lancia il gioco del rinvio. Il clima che si respira giorno dopo giorno è pesante e lo è l’imbarazzo che segue. Anche l’occhio d’un osservatore potente come Hillary Clinton si mostra contrariato dai rinvii (sarà un gioco delle parti?) perché al punto in cui si trova l’Egitto un Presidente dovrebbe averlo, fosse pure il non amato Fratello Mursi. A lui i conteggi ufficiosi, più naturalmente quelli di parte, ma anche gli exit poll di istituti accreditati accordano la vittoria con un buon distacco (circa un milione di voti sull’avversario). La forzatura del rinvio pilotato può rappresentare l’ennesima spettacolarizzazione che la nazione mostra di sé, anche nelle fasi più importanti e drammatiche. Ma può soprattutto sondare fino a che punto la Giunta Tantawi, che predica il passaggio delle consegne mentre di fatto stabilisce unilateralmente la conservazione e il rafforzamento del proprio potere, possa tirare la corda.
Piazza Tahrir è tornata a riempirsi, prevalentemente di militanti ed elettori islamici che hanno subìto lo scippo d’una maggioranza parlamentare conquistata con un voto trasparente e inoppugnabile. I leader del partito (Libertà e Giustizia) seppure con fermezza dichiarano che anche davanti a colpi di mano la protesta resterà pacifica. Ieri Al-Shater, che avrebbe dovuto essere al posto di Mursi, l’ha ribadito con interviste rilasciate anche a noti quotidiani europei “Siamo determinati a usare tutti i mezzi a disposizione, specialmente di pressione pacifica e sfida legale, ma rigettiamo assolutamente violenza e conflitti armati come quelli occorsi in Libia e Siria”. Al-Shater non ha voluto commentare le ultime manovre del Csfa che rilanciano il controllo militare sugli stessi organi supremi della nazione quali il Presidente, ha sottolineato come “l’Esercito ha più volte ribadito che il 30 giugno lascerà il potere. Il popolo s’aspetta questo”. Il suo popolo di sicuro. Quello di Alessandria o Ismailya dove Mursi ha trionfato, e gli attivisti di Tahrir pure. Ma l’altro Egitto che s’è stretto attorno a Shafiq la pensa diversamente. Nella capitale l’ex mubarakiano ha stravinto col 57,7% sopravanzando di mezzo milione di voti il Cairo islamista. Su quest’Egitto - che non vuole aria di rivolta e detesta l’Islam politico, che non si confronta in strada perché lì si fa sostituire da poliziotti e magari baltagheyah, - fa leva la lobby di Tantawi per continuare non solo a esistere ma a decidere, esautorando Parlamento, Presidente e Costituzione da scrivere. Facendo leva su questa metà di popolo non è detto che il braccio di ferro con l’altra parte sia indolore. La primavera del 2011 non lo è stata affatto.

22 giugno 2012

Enrico Campofreda

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