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Le forze comuniste e le elezioni europee del 13 giugno 2004

Lettera inviata a Liberazione il 7/7

(13 Luglio 2004)

Dal momento che ha avuto inizio, nel nostro come in altri partiti, la discussione relativa alle prospettive aperte dal voto europeo del 13 giugno, sarebbe forse opportuno produrre un quadro, sintetico ed esaustivo, dei risultati ottenuti dalle diverse forze comuniste e della sinistra di alternativa.
Anche per aggiornare, dopo il voto, la nostra discussione sul Partito della Sinistra Europea (SE).
Tra le forze comuniste, oltre al dato positivo del PRC, spiccano i risultati ottenuti dal Partito Comunista Greco (9,5%), miglior dato elettorale dal 1990, dai comunisti portoghesi nella tradizionale coalizione CDU (9,2%), da AKEL di Cipro (27,9%, pur in flessione rispetto al picco delle politiche) e, soprattutto, dai comunisti cechi, che si attestano al 20,3%, massimo storico, e divengono la seconda forza politica del paese.
Al contrario, i comunisti francesi (5,2%), dopo la boccata di ossigeno delle ultime e recenti regionali, non migliorano di molto il dato fortemente negativo delle politiche del 2002, perdendo così 4 seggi rispetto alle europee 1999, mentre i comunisti slovacchi non riescono a superare lo sbarramento del 5%.
Tra le forze di alternativa, tiene solo la PDS tedesca.
I greci del Synaspismos, pur migliorando il dato negativo delle politiche del marzo 2004, arretrano rispetto alle precedenti europee (perdendo così 1 dei 2 seggi a Starsburgo), mentre IU spagnola raggiunge un nuovo minimo storico dopo le politiche del marzo di quest’anno (4,1% insieme ad Iniziativa per Catalogna-Verdi ed 1 solo parlamentare eletto contro i 4 del 1999 –il secondo si iscriverà al Gruppo dei Verdi-).
La PDS ceca, poi, ottiene lo 0,07%.
Le liste di ispirazione trotskista perdono i 5 rappresentanti francesi di LO-LCR, ferme al 3,5% e possono contare solamente sul parlamentare eletto in Portogallo nelle file del Blocco di Sinistra.
Da registrare, infine, la sostanziale tenuta dei partiti nordici.
Se questi sono i numeri, nel nuovo GUE-NGL le forze aderenti alla SE possono contare su 16 dei 40 componenti il gruppo europeo, perdendo 6 seggi rispetto alle europee del 1999.
D’altra parte, comunisti greci, portoghesi, ciprioti e ceco-moravi raggiungono, grazie all’apporto dei nuovi paesi, 13 parlamentari europei (contro i 5 eletti da greci e portoghesi nel 1999).
Se si considerano i soli partiti comunisti, poi, a seguito della decisione ufficiale di ceco-moravi (CC del 26 giugno) e slovacchi (Congresso del 26-27 giugno) di collocarsi come semplici “osservatori” rispetto alla SE, 15 eurodeputati risultano fuori dal partito europeo e solo 7 dentro.
In questo contesto è davvero difficile sostenere che l’appartenenza alla SE, una cultura politica di rottura col “comunismo novecentesco” ed un orientamento “europeista” (vale a dire tutto interno al progetto UE, che non ne contesta le fondamenta strategiche, simile alle correnti di sinistra della socialdemocrazia) sarebbero gli ingredienti fondamentali del successo.
Sarebbe forse, alla luce dei dati, più semplice sostenere il contrario.
Successi ed insuccessi appaiono assai più legati alle dinamiche nazionali, a partire dal legame dei diversi partiti coi rispettivi popoli e movimenti operai.
Quando questo legame di massa è forte, il non essere parte della SE, il riferimento ideologico al leninismo oppure, ancora, un atteggiamento di opposizione strategica all’UE non appaiono certo come elementi in grado di condizionare negativamente il consenso.

Marcello Graziosi
(Modena)

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