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Crisi, debito e disuguaglianza

Si acuiscono i contrasti di classe

(29 Giugno 2012)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in ciptagarelli.jimdo.com

Si acuiscono i contrasti di classe

foto: ciptagarelli.jimdo.com

di Francisco Umpièrrez Sànchez; da: rebellion.org; 26.6.2012

Dopo la crisi bancaria scoppiata nel 2008 è arrivata la recessione. E con la recessione è giunto il più grande dei mali della crisi capitalista: la disoccupazione. E con l’aumento della disoccupazione diminuiscono i contributi per la sicurezza sociale e la riscossione fiscale. Lo Stato si impoverisce e deve indebitarsi con il capitale privato.

Ciò nonostante, la crisi non è crisi allo stesso modo per tutti. Ci sono persone che continuano ad arricchirsi in epoca di crisi. Diminuiscono i salari, ma non quelli dei grandi dirigenti.
Ci sono imprese che chiudono, ma altre aumentano i loro profitti.

E, nonostante la crisi o, meglio, grazie alla crisi, i capitalisti monetari e tutti i gestori dei risparmi e dei fondi pensione riscuotono maggiori interessi per il denaro prestato che in tempi di vacche grasse. Continua ad esserci molto mercato e poco Stato.

E’ a livello globale che questo fatto è più evidente. La contraddizione tra l’interesse comune e l’interesse individuale continua a dominare nel mondo. Sono sempre i pochi, e i loro interessi, che si impongono sugli interessi dei molti. Ma gli economisti riformisti - che stanno all’interno delle forze progressiste, che hanno tribune migliori e a cui si tributa più rispetto - restano sempre indietro. Ma di questo parlerò più avanti, nell’ultima parte di questo lavoro.

Debito

Il sistema capitalista genera ingiustizie economiche grandi e piccole. Ma in relazione alla crisi finanziaria tutto il mondo guarda con occhio critico le banche. Vengono presentate come i colpevoli principali della crisi. Hanno gestito male i risparmi della società. Hanno dato denaro a chi non dovevano. Non hanno preteso le dovute garanzie. Ma se questo è successo, il problema non sta nelle banche ma in coloro che lo hanno permesso. Ora si parla di de-regulation. E da lì si arriva ai governi conservatori e alle loro politiche economiche neo-liberiste. Si cercano colpevoli.
Ma non li si troveranno nel modo in cui succede nel mondo giuridico: dopo aver dichiarato qualcuno colpevole, lo si manda a marcire in carcere. Invece saranno semplicemente segnalati e, al massimo, odiati e vilipesi.

Il debito delle banche è davvero debito delle banche? Si e no. Le banche devono denaro ai risparmiatori e agli investitori. Ma le famiglie e le imprese devono denaro alle banche. Il problema è che ci sono molte famiglie ed imprese che non possono far fronte ai loro crediti. Tutto il mondo ha speso più di quanto poteva. Così che la colpa è delle famiglie e delle imprese. Il sistema del credito falsa la domanda. Attraverso il credito le imprese e le famiglie si presentano sul mercato con un potere di acquisto che non è il loro ma quello dei risparmiatori. Questa falsificazione della domanda ha fatto sì che i prezzi dei terreni e delle case andassero alle stelle. Si gonfiarono più del dovuto. Quindi scoppiò la bolla immobiliare e i prezzi del settore immobiliare caddero in picchiata. I nuovi padroni delle case, gli ipotecati, videro la loro ricchezza perdere valore vertiginosamente. Molti già non potevano più far fronte all’ipoteca. Gli attivi delle banche, soprattutto la parte che aveva a che fare con il settore immobiliare, videro anch’essi diminuire il loro valore.

E’ arrivata la recessione. La disoccupazione è aumentata e si è distrutto del capitale. La morosità sta facendo strage. Il debito bancario ha dovuto essere riscattato. Gran parte di questa follia della spesa l’ha dovuta pagare lo Stato. I funzionari hanno perso parte dei loro salari e i cittadini hanno perso parte delle prestazioni sociali. Il debito privato si è trasformato in debito pubblico. Tutti stiamo pagando quello che si sono portati via i promotori, i costruttori, i padroni del suolo e i banchieri durante il periodo della bolla immobiliare. In cosa consisterebbe il fare giustizia in questo caso? Nel richiedere a tutti questi settori, ai promotori, ai costruttori, ai padroni del suolo e ai banchieri la restituzione di tutto il denaro che hanno guadagnato in più. Oltretutto è questo stesso denaro, o una parte di esso, quello che appare sul mercato reclamando grandi interessi per essere prestato allo Stato.

Disuguaglianza

Ho passato l’ultimo mese leggendo il libro di Paul Krugman intitolato “Finitela con questa crisi!”. Ho anche letto con attenzione l’articolo di Joseph Stiglitz intitolato “Il prezzo della disuguaglianza”.

I due denunciano il seguente fatto: “Durante il ‘recupero’ del 2009 e 2010 l’1% degli statunitensi con maggiori entrate si è trovato con un aumento del 93% della rendita”.

L’accumulazione di ricchezza in poche mani è stata così esagerata negli ultimi venti anni che intellettuali relativamente onesti, come Krugman e Stiglitz, non riescono ad accettarlo. E’ un’irrazionalità. E’ impossibile giustificare queste entrate in funzione del lavoro realizzato. E accettano che l’idea di un mercato efficiente e di attori economici razionali sia una falsità, una menzogna, un’illusione. Il mercato capitalista è irrazionale. Genera enormi disuguaglianze.

Ma non solo in tempo di crisi … sempre.

E’ ammirabile “il coraggio” di Stiglitz e di Krugman che condannano questi fatti, ma essi restano comunque indietro. Il loro spirito riformista può più dell’urgenza dei cambi profondi che la realtà reclama. Non osano mai mettere in discussione la proprietà privata. E la causa di questo, il fatto che l’1% dei cittadini statunitensi possano possedere il 93% delle rendite generate nel periodo 2009-2010, è la proprietà privata dei mezzi per produrre ricchezza, più specificamente la proprietà privata dei mezzi monetari.

A questa crisi con il suo fondo evidente -, una continua generazione di disuguaglianze economiche estreme - non si pone fine solo con politiche keynesiane, ma limitando seriamente il campo di azione della proprietà privata. Né le banche, né i fondi di investimento, né le grandi corporations possono essere in mani private. Sono i moderni tiranni. Sono quelli che sottomettono gli Stati. Sono il male.

Rimanere a metà, limitarsi a reclamare politiche keynesiane è restare sulla soglia della giustizia.

Non voglio congedarmi senza trascrivere per voi alcune parole scritte da Emgels e Marx nella Glossa marginale critica n. II del capitolo IV della Sacra famiglia, che viene proprio a puntino rispetto a ciò di cui parliamo: “L’economia politica precedente partiva dalla ricchezza suppostamente generata dalle nazioni attraverso il movimento della proprietà privata, per arrivare alle sue considerazioni apologetiche su questo regime di proprietà. Proudhon parte dal lato opposto, che l’economia politica copre sofisticamente, dalla povertà generata dal movimento della proprietà privata, per arrivare a considerazioni che negano questo tipo di proprietà”.

E’ questa radicalità che manca a Krugman e a Stiglitz. Arrivano alle porte della critica. Denunciano che l’1% degli statunitensi possiede il 93% delle rendite generate nel periodo 2008-2010, ma non legano questo fatto alla proprietà privata. Credono che la proprietà privata possa continuare ad esistere e che le disuguaglianze possano essere risolte. Non vedono opposizione tra questi due aspetti economici. Credono che la povertà e la proprietà privata dei mezzi di produzione siano conciliabili.

Sono coscienti della povertà generata da questa crisi, ma non arrivano a pensare ciò a cui, 170 anni fa, era già arrivato Proudhon: che la povertà, e non solo la ricchezza, è generata dal movimento della proprietà privata. E, conseguentemente a questo risultato - la continua e sistematica generazione di povertà – bisognerebbe difendere la negazione della proprietà privata.

Ma a Stiglitz e a Krugman succede ciò che è successo a Keynes: viveva così preoccupato che gli altri lo identificassero con il socialismo che non ebbe mai dubbi nel mettere bene in chiaro che era un fermo difensore della proprietà privata.

E’ questa la principale contraddizione del riformismo borghese: non voler riconoscere la necessità del socialismo per la difesa cieca della proprietà privata.

(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

Centro di Iniziativa Proletaria G. Tagarelli - Milano

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